Giovanni Paolo II è stato un grande
papa condottiero della libertà. Benedetto XVI è stato il vero illuminista – ha
inondato di luce razionale illuminata dalla fede – un occidente ottenebrato
dall’irrazionalità nichilista.
Ma né
l’uno né l’altro sono stati ascoltati da questa Europa in declino che sembra
correre verso il baratro.
Così – per uno spettacolare colpo di
fantasia del Conclave (e dello Spirito Santo) – è arrivato papa Francesco che
parla più ai piccoli e ai semplici cristiani che alle élite, alle accademie e
ai salotti. Col risultato che le élite non lo capiscono. Esce da tutti i loro
schemi mentali.
Ebbene, per sintonizzarsi con questo
pontificato secondo me bisogna leggere “Il Signore degli Anelli” di John R. R.
Tolkien. O meglio rileggerlo attraverso l’interpretazione che ne dà un monaco
benedettino, Giulio Meiattini, nel libro “La discrezione di Dio”.
Interpretazione che ha, sullo sfondo, il libro di Paolo Gulisano, “Tolkien: il
mito e la grazia”, opera che ha il merito di mettere a fuoco la cattolicità di
Tolkien.
OCCIDENTE
Padre Meiattini nota che lo
scenario su cui si muovono le vicende narrate dallo scrittore inglese è
“quello, storicamente determinato, della crisi contemporanea della civiltà
occidentale”, l’epoca di Spengler, Huizinga, Jasper.
Tolkien scrisse il suo poema epico
negli anni fra le due guerre mondiali, quando imperversavano i due orrendi
totalitarismi, nazista e comunista, e nuove minacce planetarie – come l’arma
atomica – venivano apparecchiate dalla scienza.
La Terra di mezzo “possiede alcuni
tratti fondamentali del Vecchio Continente, del mondo occidentale europeo” che
– in rovina – si trova a dover “fronteggiare un’immensa forza negativa,
violenta e distruttrice, che da Est, dalla terra di Mordor, allarga sempre più
il suo raggio d’azione”.
In questo quadro l’ultimo “baluardo
a difesa dell’Occidente” – come scrive Tolkien, è rappresentato dalla fortezza
di Minas Tirith, eretta degli uomini di Gondor. E’ ciò che rimane di quello che
fu il magnifico regno di Numenor (nome che significa appunto “regno
dell’Occidente”).
Negli anni in cui l’inglese Tolkien
scriveva l’Oriente era il luogo dei totalitarismi, dell’orrore e delle
ideologie assassine. Proprio perché egli non volle scrivere un poema allegorico
a sfondo politico, morale o religioso, ha creato un capolavoro che contiene
tutte insieme queste chiavi di lettura.
Così è attuale anche oggi che la
minaccia per l’Europa è cambiata. Infatti nella nostra epoca il tenebroso
oriente, la terra di Mordor e l’oscuro Sauron sono impersonati da altre forze.
Ma i Sauron di tutte le epoche sono accomunati dalla stessa menzogna: la
pretesa di porsi al posto di Dio.
LA
SPERANZA
Per questo – come scrive Gulisano –
“Il Signore degli Anelli rappresenta un autentico manuale di sopravvivenza tra
gli errori e gli orrori della modernità”.
Anche oggi del resto sentiamo
risuonare l’allarme apocalittico di Denethor, re di Gondor: “L’Occidente
soccombe. Avvamperà un enorme incendio e tutto scomparirà”.
Qual è dunque – per Tolkien – la via
della salvezza? Egli mette sulle labbra del grande e saggio Gandalf
l’intuizione più preziosa: “Le nostre forze sono state appena sufficienti
a respingere il primo assalto. Il prossimo sarà più massiccio. Questa guerra è
quindi senza speranza, come Denethor aveva intuito. La vittoria non può
raggiungersi con le armi”.
Sembrerebbe un’affermazione
disperata, ma poi Gandalf precisa: “Ho detto che la vittoria non si potrà
raggiungere con le armi. Spero ancora nella vittoria, ma non nelle armi”.
E qui c’è la sorpresa, la grande
intuizione di Tolkien, che poi è il paradosso cristiano. In chi Gandalf ripone
la sua speranza? In un Eroe solitario? In una pattuglia di arditi? In una
qualche stregoneria esoterica? In una nuova arma spettacolare e devastante?
No, nel giovane Frodo Baggins, uno
hobbit, un ragazzino inerme, senza alcun potere, senza alcun sapere, un
adolescente buono, semplice e inesperto.
E’ lui – la creatura meno tentata
dall’Anello (metafora del Potere) – che si prenderà il gravoso incarico di
avventurarsi nell’orrida terra del nemico e, in cima al monte Fato, gettare
l’Anello nel vulcano.
Quell’Anello va distrutto perché –
come dice Gandalf – “se Sauron lo riconquista, il vostro valore è vano e la sua
vittoria sarà rapida e totale… se invece l’anello viene distrutto egli
soccomberà”.
PER
VINCERE
A prima vista viene da obiettare:
perché non usare proprio l’anello di Sauron per sconfiggere lo stesso Sauron?
Tolkien mostra che questa è la tentazione di tutti, ma è anche l’inganno più
terribile e devastante.
“La salvezza dell’Occidente” scrive
padre Meiattini “non è dunque dipendente dal potere militare o tecnologico,
cose in cui Sauron non teme rivali e sulle quali edifica il suo regno,
distruttivo contemporaneamente della natura e dei legami umani più veri”.
La salvezza è di natura spirituale.
“La salvezza” spiega Meiattini
“dipende dal solitario cammino di un hobbit debole e inerme che porta, senza
cedervi, il peso della tentazione e che alla fine distrugge la tentazione
stessa, insieme all’anello che ne è l’oggetto e la fonte, vincendo non per
forza propria, ma per un colpo di scena della Grazia”.
Quella di Frodo, “il Portatore
dell’Anello”, è un’autentica Via Crucis, ma – osserva padre Meiattini – “chi
sceglie la via della debolezza e della povertà, proprio grazie alla sua totale
estraneità ai percorsi storici e mentali dell’autoaffermazione prevaricante del
soggetto, sfugge alla presa dell’Occhio e dell’Ombra. Questa è l’unica mossa
che Sauron non si aspetterebbe mai, l’unica che lo prenderebbe di sorpresa: che
qualcuno decidesse di disfarsi dell’Anello del potere, di distruggerlo, invece
di usarlo. Per lui questo sarebbe follia”.
E’ precisamente la “follia”
cristiana, la “follia” di un Dio onnipotente che si fa uomo e che si lascia
crocifiggere.
Conclude Meiattini: “la vera battaglia
che salva l’Occidente, perciò, non è quella che si combatte sotto i bastioni di
Minas Tirith, ma la battaglia del cuore, della mente e del corpo che in primo
luogo Frodo sostiene per tutti”.
IL
CAMMINO E LA GRAZIA
La sua “progressiva purificazione”,
il sostegno della Compagnia dell’Anello, preziosa pur essendo anche i suoi
membri soggetti alla caduta e al tradimento, come lui del resto (ma ce ne sono
anche puri e fedeli come l’amico Sam), infine certi aiuti come quel cibo degli
elfi, il “lembas”, che è una chiara metafora dell’eucarestia, segnano un
cammino spirituale che porta il giovane Frodo alla salvezza del suo mondo.
Frodo vince non con
l’autoaffermazione, ma proprio col sacrificio e la rinuncia. Del resto egli è
il vero antieroe.
Il Novecento (quel Novecento delle
ideologie che tanto hanno disprezzato il “piccolo borghese”) si è ubriacato con
il culto dell’eroe, del superuomo, del Capo, delle forze storiche (la Classe,
la Razza), delle entità divinizzate a cui sacrificare i popoli (il Mercato, lo
Stato, il Partito, la Rivoluzione, la Scienza). Da qui è venuta e viene la
minaccia e la rovina per la loro “pretesa divina”.
Invece la salvezza viene dal piccolo
e debole uomo singolo, dalla sua silenziosa offerta di sé. Secondo Meiattini “è
presente nell’opera di Tolkien una teologia della sostituzione vicaria che lo
avvicina ad altri grandi romanzieri cattolici come Bernanos, Mauriac, Gertrude
von le Fort”.
Vorrei aggiungere che lo avvicina ai
santi del Novecento (cito padre Kolbe e padre Pio per tutti). Ma Frodo, il vero
eroe del nostro tempo, è anzitutto il simbolo del bistrattato uomo semplice,
del singolo, il fante delle due guerre mondiali, il padre di famiglia, l’uomo
comune, il piccolo borghese, l’adolescente.
E’ soprattutto a lui che parla papa
Francesco chiamandolo a salvare il mondo. Non con le proprie forze, ma con la
Grazia.
Dice Meiattini: “è la grazia infatti
la protagonista invisibile, ma palpabile del Signore degli Anelli”. E’ solo la
Grazia che crea eroi veri.
Antonio
Socci
Tratto dal
blog “lo straniero”
9 giugno
2013
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