DA: CulturaCattolica.it
venerdì 12 giugno 2015
Riportiamo queste sofferte riflessioni di un nostro amico, a proposito degli «spunti di giudizio» pubblicati sul sito della Fraternità di CL, come contributo alla riflessione comune, nel desiderio certo di una fedeltà al carisma e al magistero della Chiesa
È da giorni che mi sto impegnando con
grande entusiasmo nel far conoscere e proporre a tutti la grande manifestazione
di base a favore della famiglia – “Difendiamo i nostri figli” – che si terrà a
Roma il 20 giugno. Improvvisamente, ieri pomeriggio, leggo un freddo dispaccio
di segreteria non firmato, gravido di grosse conseguenze: “Il Movimento (di CL)
in quanto tale ha deciso di non aderire all’iniziativa del 20 giugno”.
Leggo preoccupato il dispaccio. Ecco le mie prime considerazioni.
Il ragionamento che si dipana tra le righe, paret dalle affermazioni del documento di CL, e risponde con le parole di Giussani.
1. CL è nata per la passione all’educazione delle persone.
Mi vengono subito in mente le caratteristiche del richiamo educativo che fin dall’inizio della sua missione tra gli studenti don Giussani ha indicato: deciso come gesto, elementare nella comunicazione, integrale nelle dimensioni (cultura – carità – cattolicità), comunitario nella realizzazione (Il cammino al vero è un’esperienza).
2. Perché possano trovare nell’esperienza di fede il luogo adeguato per riconquistare le evidenze perdute sui valori.
Nel “Rischio Educativo” don Giussani ci insegna che: «Ciò che caratterizza l’esperienza è il capire una cosa, lo scoprirne il senso. L’esperienza quindi implica intelligenza del senso delle cose. E il senso di una cosa si scopre nella sua connessione con il resto, perciò esperienza significa scoprire a che una determinata cosa serva per il mondo». E nel “Senso Religioso” ci insegna: «Chiameremo “valore” l’oggetto della conoscenza in quanto interessa la vita della ragione. Il “valore” è la realtà conosciuta proprio in quanto interessa la vita della ragione».
3. E per poterli difendere (i valori) con la testimonianza della propria vita.
In un’intervista al settimanale “L’Europeo”, all’indomani della grande avanzata del PCI alle elezioni regionali di giugno, alla domanda: «Che cos'è per voi la fede?», don Giussani risponde: «È qualcosa di globale, di assoluto. La fede o investe tutta la personalità umana oppure resta una giustapposizione intellettualistica o, al più, un’intrusione sentimentale. Noi non crediamo alla separazione fra fede e politica. A una fede che non abbia alcuna incidenza sulla vita (e quindi su quella fondamentale espressione della vita che è la politica) io non ci crederei. Una fede di questo genere è un pezzo da museo. Come è un pezzo da museo il culto che viene “permesso” nei paesi socialisti».
4. Questo non vuol dire che il cristiano non abbia il dovere di opporsi alla deriva antropologica attuale. Occorre però chiedersi quale sia la modalità più adeguata, realistica ed efficace per farlo … La storia ha mostrato che andare in piazza non produce alcun effetto positivo e non arresta certi processi. (Non crediamo che in questo momento storico siano le manifestazioni di piazza a cambiare la concezione dell’uomo).
La manifestazione del “Family Day” (Roma, 12 maggio 2007), a cui ufficialmente partecipò anche CL, fermò, di fatto, i DiCo ("Diritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi"). Certamente una manifestazione di piazza non cambia la concezione dell’uomo, ma è uno strumento che, se usato con prudenza e in modo propositivo, può esercitare una pressione sulle forze politiche, può essere indicativo di una posizione culturale e può meglio esprimere che il sentire del popolo è differente dalla caricatura che di esso ne danno i media asserviti al mainstream dominante.
Il metodo è sempre dettato dall’oggetto in
questione e non fissato arbitrariamente dal soggetto – ci insegna don Giussani
ne “Il Senso religioso”. Qui l’oggetto in questione sono una serie di proposte
di legge che stanno per essere approvate dal nostro Parlamento. Se esse
venissero introdotte nel nostro impianto legislativo, contravvenendo anche ai
dettami della nostra Carta costituzionale, produrrebbero danni irreparabili nel
tessuto sociale della nostra Nazione. Quali altri strumenti abbiamo a
disposizione per operare una pressione politica a questo livello?
5. «In una società come questa non possiamo rivoluzionare niente con parole, associazioni, o istituzioni, ma solo con la vita, perché la vita è un grande fatto contro cui le derive ideologiche non riusciranno a vincere mai».
È un’affermazione di don Giussani. Ma cos’è la “vita” per don Giussani? «Tutto il mondo è posto nella menzogna. Il potere mondano tende a risucchiarci: allora la nostra presenza deve fare la fatica di non lasciarsi invadere, e questo avviene non solo ricordando e visibilizzando l'unità tra noi, ma anche attraverso un contrattacco. Se il nostro non è un contrattacco (e per esserlo deve diventare espressione dell'autocoscienza di sé), se non è un gusto nuovo che muove l'energia di libertà, se non è un'azione culturale che raggiunge il livello dignitoso della cultura, allora l'attaccamento al Movimento è volontaristico, e l'esito è l'intimismo. L'intimismo non è presenza, per l'intensità e la verità che diamo a questa parola. Nelle catacombe si crea un proprio ambito, quando non si può fare assolutamente in modo diverso e si è nel dolore dell'attesa di una manifestazione. La modalità della presenza è resistenza all'apparenza delle cose ed è contrattacco alla mentalità comune, alla teoria dominante e alla ideologia del potere; resistenza e contrattacco non in senso negativo, di opposizione, ma come lavoro. Per indicare e per definire l'esprimersi di una presenza secondo una dignità anche semplicemente umana non esiste che la parola lavoro: cioè portare dentro tutto, su tutto, l'interesse della nostra persona. La forza della nascita del nostro Movimento è solo questa e nessuno immagina ora la ricchezza di reazione che qualificava i nostri primi gruppetti di fronte a ogni pagina che si studiava o ad ogni cosa che avveniva» (Viterbo 1977).
6. Un cristiano che si mette contro qualcuno o qualcosa già sbaglia il passo.
«L’incontro è l’imbattersi in una differenza qualitativa, in una diversità: è l’imbattersi in una diversità che ti attrae. Nella misura in cui passa attraverso il filtro del paragone e del lavoro del giudizio, una diversità che ti attrae vuole dire una diversità che corrisponde di più al tuo cuore: ti attrae, è più bella; ti attrae, è più bella perché più vera, ché il bello è lo splendore del vero. L’incontro pone e impone questa esperienza, coincide con l’esperienza di una diversità che ti attrae, in quanto l’individuo o il gruppo in cui ti imbatti rischia se stesso dentro la realtà, dentro l’impatto con la realtà così come è concepita e sentita dall’ambiente in cui vivi: infatti, tu ricordi l’incontro fatto come l’imbattersi in qualcosa di differente, che attira. Differente da che cosa? Dalla mentalità comune, dal modo comune con cui viene concepito ciò che si considera, l’oggetto che si prende in esame. Quell’incontro è tale perché si scontra con l’immagine in voga, va contro, “pour se poser il s’oppose”, per porsi si oppone. È questa l’emergenza sperimentale dell’identità umana: quell’uomo o quel gruppo di gente ha una sua identità, diversa da quella determinata da tutta la trama dei fattori componenti l’aura sociale, il clima sociale o la realtà intera, così come viene guardata e concepita da tutti, favorita quindi e brandita dal potere. E la si sente più corrispondente, è una diversità che attrae: “Quello lì è diverso!”. Senza questo giocarsi non c’è incontro. L’individuo in cui mi imbatto diventa un incontro se lo trovo impegnato con la realtà, impegnato con le cose, e impegnato in modo diverso, con una diversità che mi attrae» (Ciò che abbiamo di più caro).
7. Sosteniamo e attuiamo una modalità d’intervento diversa, orientata al dialogo, al rapporto diretto con interlocutori della politica e della cultura sensibili. (La manifestazione del 20 giugno non sembra adeguata a favorire il necessario clima di incontro e di dialogo con chi la pensa diversamente).
Mi domando, realisticamente, in questo momento quali interlocutori sensibili della politica e della cultura sono realmente tesi, orientati a un dialogo autentico, non formale o interessato, sulle questioni antropologiche di fondo? «L'apertura senza limite, che è propria del dialogo come fattore evolutivo della persona e creativo di una società nuova, ha una gravissima necessità: non è mai vero dialogo se non in quanto io porto coscienza di me. È dialogo, cioè, se viene vissuto come paragone tra la proposta dell'altro e la coscienza della proposta che rappresento io, che sono io: non è dialogo, cioè, se non nella misura della mia maturità nella coscienza di me. Quindi è vero che il dialogo implica un'apertura verso l'altro, chiunque sia perché chiunque testimonia o un interesse o un aspetto che si sarebbe messo da parte, e perciò chiunque provoca a un paragone sempre più completo, ma il dialogo implica anche una maturità di me, una coscienza critica di quello che sono. Se non si tiene presente questo, sorge un pericolo grande: confondere il dialogo con il compromesso. Partire da ciò che si ha in comune con l'altro non significa infatti dire necessariamente la stessa cosa, pur usando le stesse parole: la giustizia dell'altro non è la giustizia del cristiano, la libertà dell'altro non è la libertà del cristiano, l'educazione nella concezione dell'altro non è l'educazione come la concepisce la Chiesa. C'è, per usare una parola della filosofia scolastica, una forma diversa nelle parole che usiamo, cioè una forma diversa nel nostro modo di percepire, di sentire, di affrontare le cose. Ciò che abbiamo in comune con l'altro non è tanto da ricercare nella sua ideologia, quanto in quella struttura nativa, in quelle esigenze umane, in quei criteri originari per cui egli è uomo come noi. Apertura di dialogo significa, perciò, saper partire da ciò cui l'ideologia dell'altro o il nostro cristianesimo fanno proposta di soluzione, perché fra ideologie diverse ciò che è in comune è proprio l'umanità degli uomini che portano quelle ideologie come vessilli di speranza o di risposta» (Il cammino al vero è un'esperienza).
8. A proposito, infine, della valutazione che il comunicato di segreteria di CL fa della posizione ufficiale del “Forum delle associazioni familiari”, non mi sembra che lo interpreti con lealtà nelle sue vere intenzioni di fondo. Ma lascio ai lettori il giudizio:
DIFENDIAMO I NOSTRI FIGLI (9 giugno 2015, Piazza San Giovanni, Roma)
Lettera del Presidente Francesco Belletti al popolo del Forum
«Carissimi amici,
fin dalla sua origine, il carisma principale del Forum, nella sua identità di associazione di associazioni, nel suo essere rete di secondo livello, è l'unità tra le nostre associazioni, insieme alla fedeltà alla Dottrina Sociale della Chiesa. Si tratta di un criterio prima di tutto interno, ma che riguarda anche l'ambito ecclesiale in senso lato. Ed è il criterio adottato anche di fronte all’importante iniziativa, emersa in questi ultimi giorni, che ci ha sollecitati tutti, promossa dal Comitato “Difendiamo i nostri figli”, che chiama le famiglie, alla scadenza ravvicinata di sabato 20 giugno, ad un’iniziativa di piazza a favore dei diritti della famiglia, di fronte ad uno scenario normativo e giuridico oggettivamente sempre più preoccupante.
L’iniziativa è intenzionalmente indirizzata direttamente alle famiglie, e anche i membri del Comitato sono presenti a titolo personale. Per questo, nel rispetto dell’evento, come Forum abbiamo scelto di non aderire direttamente. Guardiamo però con grande attenzione e simpatia questa iniziativa, perché dà finalmente voce ad un sentire di popolo. D’altra parte, da diversi mesi il Forum sostiene e attua una modalità di intervento diversa, orientata al dialogo, al rapporto diretto con interlocutori della politica e della cultura sensibili alle nostre proposte, alla promozione di eventi positivi, di formazione, di sviluppo educativo, di proposte progettuali alternative, rigenerative di un tessuto sociale e di orizzonte valoriale, per le famiglie e per la società.
In questa circostanza, in considerazione della delicatezza del momento storico e dell’urgenza delle scadenze, i soci del Forum credo che debbano e possano ipotizzare scelte strategiche differenti, anche di fronte all’evidenza che già diverse associazioni nazionali membri del Forum hanno manifestato orientamenti diversi, rispetto a questo appuntamento. In altre parole, ritengo che la pluralità di orientamenti delle associazioni nazionali non sia, in questo preciso momento storico, una violazione del patto associativo, quanto piuttosto la legittima possibilità di scegliere posizioni diverse, su un evento così rapidamente innescato. Assumendo così il principio di sussidiarietà interna come criterio prevalente, vista l’eccezionalità del momento storico. Non si tratta di chiamarsi fuori, per chi sceglie di non aderire, né, per chi promuove direttamente l’evento, di mettere la propria bandiera su un evento che sarà voce delle famiglie. E questo anche per i Forum presenti a livello territoriale, che possono essere non titolari, ma “facilitatori” di un libero movimento di mobilitazione delle famiglie.
Molte e diverse possono essere le modalità di azione per promuovere e difendere la famiglia e il suo ruolo sociale. Scegliere l’una o l’altra modalità operativa non significa negare la sintonia valoriale e culturale, ma piuttosto agire con soggettività e stili operativi diversi.
Conto di aver fatto chiarezza, davanti alle tante sollecitazioni ricevute, e credo che il nostro lavoro dovrà continuare con maggiore tenacia e determinazione, per raggiungere gli stessi obiettivi che anche “le famiglie in piazza” del 20 giugno vogliono ottenere.
Resto ovviamente a disposizione per ogni chiarimento che riteniate necessario.
Il nostro lavoro continua, con rinnovata convinzione».
Don Fabio Giovenzana
Cappellano all’Ospedale di Sesto San Giovanni
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