RODOLFO CASADEI
da TEMPI
PRIMA PARTE
«Reagiremo
ogni volta che la vita umana è minacciata. Quando il carattere sacro della vita
prima della nascita viene attaccato, noi reagiremo per proclamare che nessuno
ha il diritto di distruggere la vita prima della nascita. Quando si parla di un
bambino come un peso o lo si considera come mezzo per soddisfare un bisogno
emozionale, noi interverremo per insistere che ogni bambino è dono unico e irripetibile
di Dio, che ha diritto ad una famiglia unita nell’amore. Quando l’istituzione
del matrimonio è abbandonata all’egoismo umano e ridotta ad un accordo
temporaneo e condizionale che si può rescindere facilmente, noi reagiremo
affermando l’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Quando il valore della
famiglia è minacciato da pressioni sociali ed economiche, noi reagiremo
riaffermando che la famiglia è necessaria non solo per il bene privato di ogni
persona, ma anche per il bene comune di ogni società, nazione e stato» (San Giovanni Paolo II, Washington, 7
ottobre 1979)
«Riguardo alle
nozze gay credo che non si debba parlare solo di
una sconfitta dei principi cristiani, ma di una sconfitta
dell’umanità» (card. Pietro Parolin,
segretario di Stato Santa Sede, 26 maggio 2015).
«Il gender si
nasconde dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo
e alla violenza, promozione, non discriminazione ma, in realtà, pone la scure
alla radice stessa dell’umano, per edificare un ‘transumano‘ in cui
l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità.(…) Genitori
che ascoltate, volete questo per i vostri figli? Che a scuola – fin
dall’infanzia – ascoltino e imparino queste cose, così come avviene in altri
Paesi d’Europa? Reagire è doveroso e possibile, basta essere vigili, senza
lasciarsi intimidire da nessuno, perché il diritto di educare i figli
nessuna autorità scolastica, legge o istituzione politica può pretendere di
usurparlo. È necessario un risveglio della coscienza individuale e collettiva,
della ragione dal sonno indotto a cui è stata via via costretta». (card. Angelo Bagnasco, presidente
Cei, 23 marzo 2015)
«La Chiesa ha
una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche
in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria
come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere soprattutto
l’uomo contro la distruzione di se stesso. (…) Se non si rispetta il diritto
alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la
gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla
ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana
e, con esso, quello di ecologia ambientale». (Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n. 51)
«I nostri ragazzi,
ragazzini, che incominciano a sentire queste idee strane, queste colonizzazioni
ideologiche che avvelenano l’anima e la famiglia: si deve agire contro questo.
(…). Queste colonizzazioni ideologiche, che fanno tanto male e distruggono una
società, un Paese, una famiglia. E per questo abbiamo bisogno di una vera e
propria rinascita morale e spirituale».
(papa Francesco, Convegno ecclesiale della diocesi di Roma, 15 giugno)
(papa Francesco, Convegno ecclesiale della diocesi di Roma, 15 giugno)
Dovrebbe essere tutto molto chiaro, il
dovere dei cristiani di difendere la vita e la natura umana non solo con la
testimonianza personale ma anche con l’azione politica è qualcosa a cui non ci
si può sottrarre.
Eppure di
giorno in giorno aumenta il numero dei cattolici che criticano, ostacolano,
condannano, emarginano quei cattolici che si impegnano pubblicamente in difesa
dei bambini delle scuole materne ed elementari che si vorrebbe sottoporre a
quel lavaggio del cervello e condizionamento psichico chiamato “educazione al
gender” e contro il progetto di sfiguramento e reificazione dell’umano che sta
dietro la richiesta di legalizzazione delle unioni fra persone dello stesso
sesso.
A chi
partecipa a miti iniziative come le Sentinelle in piedi o la manifestazione “Difendiamo i nostri figli” del 20
giugno a Roma capita di essere accusati di insensibilità,
ideologismo, moralismo, militantismo, imposizione del punto di vista cristiano
a chi non è cristiano, violazione della libertà di scelta altrui, propensione allo scontro anziché al dialogo e
persino omofobia!
La cosa è triste, ma non certo inedita.
Sin dai primi anni dopo Cristo i cristiani hanno dato spettacolo delle loro
divisioni, e a volte è stato uno spettacolo cruento, che ha visto spargere sangue e
condannare al rogo non metaforicamente l’eretico di turno. Qualche progresso da
allora s’è fatto, normalmente la violenza fisica è evitata, ma quella morale
–fatta di parole alle spalle, esclusioni, rancori, disistima – purtroppo è
ancora molto comune. Temo che questo fenomeno durerà fino alla fine dei tempi,
come tutte le altre infermità della condizione umana.
Io parteciperò alla manifestazione di
sabato, e qui di seguito do le ragioni della mia decisione. Non esprimo giudizi
sulle scelte altrui diverse dalla mia, voglio solo motivare in positivo quello
che sto per fare, per evitare fraintendimenti ed equivoci e per restare in
dialogo con chi agisce diversamente.
Anzitutto non
c’entrano niente valori, principi, ideali. No, no: non c’entrano niente. La mia
partecipazione è anzitutto un tentativo di tradurre in pratica in una
situazione data i primi due comandamenti
del Decalogo, che sono rivolti a me come a ogni altro essere umano: Amerai
il Signore e Amerai il prossimo tuo come te stesso.
In secondo
luogo – ma è solo una distinzione per chiarezza di esposizione, in realtà il
secondo punto è solo un annesso del primo -, è il tentativo di denunciare e combattere l’ideologia
totalitaria che in modo strisciante sta prendendo il potere nel mondo
occidentale.
Ideologia del
gender chiamiamola per comodità, ma io propongo una nuova definizione, quella
di “postsessualismo”, perché è evidente che l’obiettivo ultimo del progetto
rivoluzionario è di abolire la differenza
sessuale come differenza data e fondante le istituzioni della società, in nome
dell’egualitarismo e dell’autodeterminazione del singolo individuo. Che
questa ideologia sia totalitaria non starò a spiegarlo con una dissertazione
filosofica, qui è meglio offrire qualche banalissimo esempio: quando un premio Nobel viene linciato sulla
piazza mediatica e costretto a dimettersi dall’universo
solo perché ha detto che le donne piangono più spesso degli uomini, quando una
ditta di pannolini è obbligata a ritirare una pubblicità perché in essa si
sottolinea che le bambine pisciano in modo diverso da quello dei maschi, quando
un pasticciere viene condannato da un tribunale non perché ha rifiutato di
vendere una torta a una coppia di persone dello stesso sesso, ma perché si è
rifiutato di scriverci sopra “Sì al matrimonio gay”, quella cosa di fronte alla quale ci troviamo si chiama totalitarismo,
e il fatto che pochi protestino di fronte a questi atti intimidatori e ingiusti
significa che il totalitarismo ha fatto breccia nelle menti così come nelle
legislazioni.
Cominciamo con la questione dell’amore per
il prossimo. I bambini ai quali è destinato l’indottrinamento psicopatogeno del gender
sono il mio prossimo, e in quanto uomo e cristiano sono chiamato a prendere le
loro difese, a fare qualcosa perché gli sia risparmiato questo male, a oppormi
all’ingiustizia che è fatta loro. Qui c’è un’aggressione, e quando c’è
un’aggressione il dovere di tutti gli esseri umani, in prima fila i cristiani,
è di difendere gli aggrediti. Su questo punto nessun uomo e nessun cristiano
possono mantenersi neutrali, in proporzione alle loro possibilità di intervento
hanno il dovere di intervenire. Davanti al male, all’ingiustizia, ai delitti
contro i più deboli e i più poveri, alla reificazione dell’uomo, alla negazione
della sua dignità, cristiani e uomini di buona volontà sono provocati ad agire.
Il comandamento dell’amore per il prossimo implica anche di battersi per
difendere l’orfano, il povero, la vedova.
Un mio amico
mi ha obiettato: «Così facendo tu intervieni a valle, sugli effetti, mentre
bisogna intervenire a monte sulla causa. La politica è poco efficace, perché si
occupa delle conseguenze, invece l’educazione è decisiva, perché cambia il
soggetto. Occorre concentrare le forze sul cambiamento del soggetto, così le
sue azioni diventeranno virtuose e rinuncerà a fare il male».
Sono
d’accordissimo che bisogna operare per il cambiamento del soggetto. Nobile cosa
è l’educazione, prevenire è meglio che curare, ma ahimè la realtà ci pone di
fronte a situazioni che richiedono interventi diretti, con un uso legittimo
della forza. Forza materiale o forza politica, a seconda delle circostanze. Al
mio amico ho replicato: «Amico mio, tu hai due figlie giovani. Se mentre le
accompagni a casa da una festa ti si avvicinano due mascalzoni, e uno cerca di
strappare la borsetta alla prima figlia, e l’altro molesta sessualmente la
seconda, tu cosa fai? Dici: “fermatevi, l’essere umano è chiamato a riconoscere
un bene nell’altro essere umano, voi siete migliori di così, venite a pregare
con me e sarete illuminati, guardate nei miei occhi e scoprirete l’amore di
Cristo”, oppure molli calci e pugni per dissuaderli dalle loro cattive
intenzioni? Cerchi di cambiare la coscienza che di sé ha il soggetto, o cerchi
di neutralizzare l’azione che quel soggetto sta compiendo?». L’amico mi ha
risposto che avrebbe difeso fisicamente le figlie dall’assalto, ma che poi si
sarebbe preoccupato di ritrovare i due manigoldi e di cercare di impegnarli in
un cammino di crescita umana. Perfetto, ho detto, allora siamo d’accordo.
Quando c’è un’aggressione, prima di tutto si risponde all’aggressione, in nome
del buon diritto degli aggrediti. Poi si dialoga e si educa. Se la controparte
è disponibile e interessata, perché nessuno è obbligato a dialogare con me o a
farsi educare da me.
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