MATRIMONI GAY WATERS NON HA DUBBI: “OBIETTIVO? CAMBIARE IL SIGNIFICATO DI
FAMIGLIA E GENITORIALITÀ”
Intervista a John Waters, giornalista che nel 2015 si è opposto al
referendum pro-matrimonio gay in Irlanda. Sui mutamenti prodotti dai matrimoni
gay avverte: “L’obiettivo a lungo termine è quello di trasferire il ruolo di
“genitore di diritto” dai genitori reali allo Stato”
di Carlo
Mascio - 04/04/2016
Matrimonio egualitario, rivoluzione antropologica, omofobia, dinamiche
totalitarie, crisi dei concetti tradizionali di famiglia e genitorialità. Sono
solo alcune delle parole e delle espressioni che sono entrate prepotentemente
nel dizionario del dibattito pubblico, ultimamente anche in Italia in seguito
alle vicende legate all’introduzione delle Unioni Civili. John Waters è un
giornalista irlandese noto per la sua ferma opposizione al referendum che nel
2015 ha fatto si che l’Irlanda divenisse il primo paese al mondo ad inserire
nella Costituzione, per via referendaria, la parità tra matrimonio
eterosessuale e quello omosessuale. Matchman News lo ha contattato per
conoscere meglio la sua esperienza e analizzare in modo approfondito il
variegato panorama delle questioni connesse ai matrimoni gay.
Mr. Waters, nel 2015 l’Irlanda è diventato il primo
paese al mondo ad inserire nella Costituzione, per via referendaria, la parità
tra matrimonio eterosessuale e quello omosessuale. Sappiamo che Lei si è
battuto fortemente per impedire che questo potesse accadere. Ci può spiegare il
motivo di fondo che l’ha spinta a scendere in campo?
I motivi erano tanti. Il più importante era l’idea che, equiparando
costituzionalmente una coppia gay con quella tra un uomo e una donna, cioè
padre e madre, l’emendamento serviva a
dissolvere il significato di un concetto fondamentale come quello di
“naturale”, com’è in effetti la capacità procreativa della coppia
maschio/femmina. Sostenendo l’ «uguaglianza» per le relazioni omosessuali, la
Costituzione irlandese non può più estendere la sua protezione alle relazioni
genitori-figli basate sulla biologia, in quanto ciò può essere considerato
discriminatorio nei confronti delle relazioni che, per loro natura, escludono
la possibilità di genitorialità biologica per entrambi i partner. La modifica equivale quindi ad una
negazione della natura e del microcosmo fondamentale della famiglia umana che
risale agli inizi della specie. Ed è davvero così radicale. Ho anche deciso
di combattere l’emendamento quando ho osservato
la natura essenzialmente fascista della lobby gay in azione, rendendomi
conto che in realtà questo movimento aveva raggiunto una comprensione profonda
delle tecniche manipolative che, di fatto, hanno consentito di bypassare la
democrazia.
Proprio per le sue posizioni contro il matrimonio gay
lei è stato etichettato come “omofobo” e “bigotto” probabilmente anche da chi
fino a poco tempo prima lavorava con lei. Raccontando brevemente la sua
esperienza, ci può dire il perché di questa reazione violenta?
L’accusa di omofobia è stata mossa contro di me prima di tutto da una drag
queen in televisione, senza alcuna prova. In seguito lei ha ritirato l’accusa e
poi l’ha riproposta, anche se nulla di nuovo fosse effettivamente accaduto. In
gran parte, tutto questo è dovuto al
fatto che sono cattolico, e, grazie a questa circostanza, ho potuto
sperimentare il paradosso di essere accusato di bigottismo da persone che, nel
fare ciò, esercitavano e mostravano il proprio bigottismo. In realtà, anche se
io sono un cattolico, la mia obiezione
alla ridefinizione del matrimonio non è derivata principalmente dalla dottrina
cattolica, bensì è il risultato della mia esperienza come sostenitore dei
diritti dei padri e dei figli. Ma niente di tutto questo è stato preso in
considerazione, dato che l’intero establishment dei media in Irlanda si era
trasformato in un vero linciaggio, andando continuamente alla ricerca di
persone da accusare di bigottismo, sia che l’accusa fosse fondata sia che essa
non lo fosse. La reazione dei miei cosiddetti colleghi giornalisti sarebbe
stata scioccante per me se non fossi stato a conoscenza già da tempo della grottesca corruzione ideologica che infetta
praticamente tutto il giornalismo moderno, situazione che peggiora sempre
di più a causa della concorrenza del web. Ho constatato questo anche
prima, anzi proprio dal momento in cui ho iniziato a scrivere di paternità,
ormai quasi 20 anni fa. È una storia molto lunga, che spero di raccontare in
modo più appropriato in un libro di prossima pubblicazione.
Nel corso della conferenza che ha tenuto a Roma lo
scorso 4 marzo per la Fondazione Magna Carta, lei ha affermato: “Le lobby gay
sono gestite da soggetti invisibili che progettano qualcosa di più radicale: no
i diritti dei gay o diritti umani, bensì togliere i diritti ai padri e alle
madri”. Perché questi “soggetti invisibili” hanno questo obiettivo? In
sostanza, se a “guadagnarci” non sono le famiglie, i padri e le madri e nemmeno
i gay, allora tutto questo va a vantaggio di chi?
In realtà, l’aspetto che ho voluto sottolineare è che le campagne sul
matrimonio gay sono solo un elemento di
un quadro molto più ampio, che è essenzialmente quello di cambiare la natura
stessa e il significato dei concetti di “famiglia” e “genitorialità”. Ho
spiegato le origini di questa ideologia, facendo riferimento alla Scuola di
Francoforte, che ha cercato di reinventare il marxismo come arma culturale
volta a regolamentare i rapporti umani, la famiglia e la genitorialità. In ogni
caso, possiamo notare un elemento importante: le stesse categorie di attivisti
sono coinvolte in una serie di questioni diverse ma tra loro strettamente
collegate, questioni che sono vagamente classificate come “libertà”, quali
aborto, matrimonio gay, maternità surrogata, ecc. In un certo senso, il matrimonio gay altro non è se non
l’ariete che viene utilizzato per demolire i modelli normativi e quanto viene
dato per scontato.
L’obiettivo a lungo termine è quello di
trasferire il ruolo di “genitore di diritto” dai genitori reali allo Stato, al quale poi sarebbe
consentito di “riallocare” i bambini ad altri adulti, più o meno a suo
piacimento. Se tutto questo appare inverosimile, vorrei semplicemente chiedere
alle persone di riflettere a partire da quando hanno iniziato a considerare il
matrimonio gay come un evidente diritto “umano” e “civile”. Oppure,
inviterei a guardare il loro giornale “liberale” preferito ed eseguire un
controllo, analizzando a partire da quale momento questo ha effettivamente
cominciato a pubblicare articoli sul matrimonio gay. La maggior parte delle
persone rimarranno molto sorprese dal risultato di tale indagine.
In Irlanda, il governo di centrosinistra guidato da
Enda Kenny è uscito sconfitto dalle ultime elezioni politiche, tanto da non
avere più la possibilità di formare una maggioranza con il suo alleato di
governo, il partito laburista, anch’esso pesantemente ridimensionato.
Secondo lei, in quale misura la sconfitta è stata determinata
dall’appoggio fornito dal premier irlandese all’introduzione del matrimonio
gay?
Ad una prima lettura molto superficiale, si dovrebbe dire che non vi è
alcuna connessione tra il risultato delle elezioni e il referendum. I due
eventi, infatti, sono di natura ben diversa. Eppure, ci sono indizi a dir poco
interessanti che vanno in questa direzione. Non solo il fatto che il partito
laburista – che era il più forte sostenitore del matrimonio gay fra i due
partiti di governo – è passato da 37 a soli 7 seggi in Parlamento, ma anche il
fatto che tra le “vittime” ci sono alcuni dei protagonisti principali della
questione. Non pretendo di affermare che il risultato sia una diretta
espressione del dissenso o della disapprovazione. Certamente, il profilo degli
elettori che si sono recati al voto questa volta probabilmente è stato molto
differente rispetto al referendum: molti elettori più anziani che hanno votato
questa volta non avrebbero votato affatto l’emendamento costituzionale dello
scorso anno, e molti degli elettori che hanno votato per la prima volta con il
referendum non avrebbe votato questa volta – per cui non ritengo che le persone
scontente abbiano votato contro il governo solo a causa del matrimonio gay. La
vedo più come la risposta di persone che sono state deluse su più campi – in
particolare sul campo dell’economia e sulle altre questioni connesse –persone
che hanno creduto veramente di essere rappresentate da questo governo, che si
sono fidate di quello che hanno detto i nostri politici relativamente alla
difesa dei nostri interessi in Europa e così via, ma che poi hanno constatato
che il risultato effettivo era molto vicino al contrario delle loro
aspettative. Ho la sensazione che, nel risultato delle elezioni, ci sia questo
messaggio tra le righe: “ci hai promesso
giustizia ed equità e tutto quello che ci ha dato è stato il matrimonio gay!”. Non
è un messaggio palese, ma più sottile, un po’ nascosto, come si addice ad una
situazione in cui il bullismo, la colpevolizzazione e la demonizzazione sono
state le armi più visibili utilizzate da quelli che spingevano per il
cambiamento. Pertanto, vedo il risultato come l’espressione di una reazione
profonda contro questa censura e l’essere stato vittima di questo bullismo: una
specie di ruggito di rabbia metafisica che viene fuori prevalentemente dalla
pancia dell’elettorato.
Ormai la
maggior parte dei paesi europei sta portando avanti la campagna per i diritti
LGBT. Tuttavia, i paesi dell’Est Europa, che cercano di difendere la famiglia
tradizionale, affermano qualcosa di interessante a tal proposito: “Noi sappiamo
bene cosa significa subire una ideologia [riferendosi all’ideologia comunista],
per questo non vogliamo subirne un’altra. Ecco perché vogliamo tutelare il
matrimonio tra uomo e donna nella Costituzione”. Cosa ne pensa? Veramente i
paesi dell’Est Europa sono maggiormente in grado di riconoscere quando è in
azione una ideologia?
Questo è molto interessante. Mi è stata rivolta una domanda simile che
sosteneva però il fatto che questi paesi hanno una mentalità principalmente
“tradizionalista” in molti casi dovuta ad una ricca eredità cattolica, ma non
ho trovato tanto convincente questa argomentazione. Nell’esperienza che ho vissuto, la Chiesa cattolica ha avuto paura di
esprimersi con chiarezza su questo problema a causa della sua vulnerabilità
relativa alla questione degli abusi sessuali sui bambini. Per questa
ragione, i paesi che si basano su quello che viene chiamato “tradizionalismo”
soccomberanno presto o tardi all’impeto del matrimonio gay, che è praticamente
irresistibile a causa dell’abilità dei suoi fautori nell’utilizzo delle
tecniche di propaganda, di indottrinamento sociale e di accesso alla mentalità
di massa della società tecnologica moderna. Quello che penso è che il mondo non potrà vedere la follia di questa
prospettiva fin quanto tutte le sue conseguenze non si siano manifestate nella
realtà. Questo significa che, nel tempo, i paesi che hanno deciso di
cambiare le loro Costituzioni e i sistemi giuridici al fine di estendere quello
che è chiamato “matrimonio egualitario” alle coppie gay, saranno costrette ad
ammettere che questo è stato un drastico errore. Mi interessa l’idea che le società con una più marcata esperienza di
totalitarismo ideologico possono avvertire i pericoli prima di altri.
Ci può essere qualcosa di interessante in questo. Ma vorrei sottolineare che la
cultura giovanile ora è profondamente contaminata da queste ideologie e questi
paesi subiscono l’influenza di tali culture giovanili e culture pop allo stesso
modo degli altri. Per questo resto della mia opinione, anche se non è impossibile
il fatto che lì possa emergere un barlume di speranza.
Da più parti si sente dire che i matrimoni e le
adozioni gay sono parte integrante di un preciso “progetto antropologico” messo
in atto anche con “dinamiche totalitarie”. Cosa ne pensa? E’ azzardato
parlare di “dinamiche totalitarie”?
Non è esagerato. La natura del progetto
è proprio questa. I suoi metodi, come ho spiegato nella mia relazione a Roma, sono
profondamente totalitari, poiché si basano sulla propaganda, sulla
demonizzazione, sulla colpevolizzazione dei potenziali dissidenti assunti a
capro espiatorio, sulla storpiatura di concetti e parole di uso quotidiano, e
così via. Tutte queste armi vengono
indirizzate alla reinvenzione dell’ antropologia umana, sotto le mentite
spoglie della “parità”. Infatti, basta analizzare la questione anche solo
per un breve momento per rendersi conto che l’ “uguaglianza” proposta è pari ad una riduzione dei diritti e delle
tutele che attualmente sono estese alle famiglie regolari e alle naturali
relazioni tra genitori/figli. In tal modo, questi diritti vengono fusi con
i nuovi diritti delle famiglie gay, ricevendo però una tutela molto inferiore
rispetto a prima. Questo è un aspetto talmente ovvio che sembra strano che non
sia stato compreso dalle varie società che fino ad ora hanno accolto il
matrimonio gay, ma è evidente che si tratta – appunto – di un omaggio al potere
totalitario del movimento in azione e del suo messaggio.
Oggi si sente parlare spesso di “crisi della paternità
e della maternità” e, di conseguenza, “crisi della famiglia”. Secondo lei qual
è la vera origine di questa crisi?
Le radici di questa crisi derivano essenzialmente dalla perdita del senso della trascendenza
nel mondo moderno. Una famiglia è una forma di trinità, proprio come il Dio cristiano,
che è Trinità. Queste due trinità sono profondamente legate tra loro nella
dottrina cattolica, ma il mondo rigetta questa realtà ereditata perché si crede
più “razionale” rispetto a quelli che sono venuti prima. L’uomo cerca un nuovo
modo per dimostrare il suo potere. Pertanto
“spodestare” Dio dal trono appare quindi una buona via per realizzare questo.
Il padre a capo della famiglia è stato infatti la prima vittima di questo
processo, proprio a causa della connotazione di Dio come Padre. Questo è stato
un obiettivo chiave della Scuola di Francoforte e, successivamente, delle
ideologie associate ai movimenti libertini degli anni sessanta. In realtà, ciò che sta accadendo è il rifiuto radicale
dell’ autorità in tutte le sue forme. Pertanto, ci stiamo spostando verso
tutto ciò che è opposto: verso tutto ciò che non è normale, non normativo, non
evidente, non di senso comune.
Lei ha detto più volte che è necessario condurre una
“guerra di buon senso per difendere la verità dell’uomo”. Alla luce di quanto
detto fino ad ora, dal suo punto di vista, quali sono gli strumenti per
condurre questa “guerra” e qual è la via da seguire per uscire da questa “crisi
antropologica”?
Questa è una bella domanda. Nel referendum dello scorso anno in Irlanda, ho
notato che anche persone che sembravano abbastanza ragionevoli erano tuttavia
ben disposte a mettere in discussione, ad esempio, il fatto che un bambino
abbia bisogno di un padre e di una madre. Questo è diventato un punto di
discussione quotidiano per persone che mai nella loro vita avevano ragionato
sull’idea che i padri e le madri potessero non essere indispensabili. Ciò può
avvenire solo attraverso una sorta di ipnosi
di massa, per cui le persone vengono effettivamente separate dai propri impulsi
razionali e dalle proprie capacità per ragioni ben calcolate.
Una serie di perversioni semantiche sono state introdotte
per via endovenosa nelle nostre società proprio in questo modo, rendendo
difficile per le persone recuperare il buon senso e la ragione. Tutto questo è
aggravato dal fatto che, oggi, nelle nostre società altamente tecnicizzate, il pensiero è diventato sempre più
astratto e scisso dall’esperienza e dalle cose reali. Abbiamo bisogno di
educare noi stessi a questo genere di cose, altrimenti finiremo per smantellare
tutto quello che ha permesso alla nostra specie di arrivare così lontano.
Il solo modo per combattere queste tendenze è rendere gradualmente le
persone consapevoli dei processi e dei meccanismi attraverso i quali vengono
fatte entrare in una sorta di “trance di irragionevolezza”. Per questo abbiamo bisogno di una leadership, e, affinché
questa possa emergere, dobbiamo spodestare
molti dei nostri leader esistenti, anche leader religiosi, dato che essi
stessi sono caduti in preda alla propaganda. Una folla, un gregge, ha una
propria psicologia, ed è proprio la consapevolezza di questa realtà a guidare
sempre più le discussioni pubbliche e le loro conseguenze nel campo del diritto
e della politica. La propaganda funziona
su quella parte di ognuno di noi che anela ad appartenere alla mandria.
Abbiamo bisogno di capire sempre più questa dinamica, guardare il suo
funzionamento sulla nostra mente e sui nostri pensieri e, quindi, trovare il
modo di invertire gli effetti su noi stessi e sugli altri.
Carlo Mascio
Nessun commento:
Posta un commento