mercoledì 21 settembre 2016

BASTA SANZIONI ALLA SIRIA E AI SIRIANI

Gli editoriali di SamizdatOnLine

Lo scopo della petizione ”Basta Sanzioni alla Siria” (qui il link per la sottoscrizione ) lanciata sulla piattaforma ‘Change.org’ è attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e della politica sul problema delle sanzioni.
Il momento è cruciale: entro fine mese si riuniranno i ministri degli esteri della UE per decidere se rinnovare o meno
le sanzioni contro la Siria. E’ sufficiente che un solo membro si opponga al rinnovo perché le sanzioni vengano sospese o meno.
Purtroppo, vista la scarsa attenzione che ha contrassegnato le riunioni precedenti dei massimi esponenti dei dicasteri, il rischio è che anche l’appuntamento di fine mese, visto gli enormi interessi geopolitici in gioco, si risolva ad un appuntamento di ‘routine’ tra burocrati incaricati di assolvere una mera formalità. Non nascondiamoci dietro ad un dito: le sanzioni sono in vigore perché sono state messe in atto per colpire il governo siriano, farlo collassare, fare il governo di transizione e tutto il resto.
Però, se certe scelte sembrano ‘inevitabili’ è anche vero che nel corso della nostra storia , il nostro Paese ha saputo opporsi a certe logiche: solo il coraggio delle scelte ci ha consentito di progredire.
Memori del nostro passato, del difficile percorso verso l’Unità Europea, è quanto mai necessario che l’Italia posta al centro del Mediterraneo come crocevia di popoli, si riappropri della sua tradizionale vocazione pacificatrice. E nella politica di accoglienza che la nostra politica sembra stia portando avanti anche a Bruxelles, votare per la continuazione delle sanzioni non aiuterebbe certo la diminuzione del fenomeno dei profughi, nè sarebbe coerente con i principi costituzionali che la politica dice di voler ulteriormente migliorare…  Inoltre, è altrettanto illogico che, mentre è in corso una difficilissima tregua e che gran parte del territorio siriano è occupato da Isis e da al Qaeda, nello stesso tempo, si continuano a comminare sanzioni che devastano il tessuto civile della nazione.
Le sanzioni sono inutili: Aiuto alla Chiesa che Soffre a gennaio ha fornito i dati precisi: le sofferenze e le privazioni che hanno patito i siriani hanno fatto più vittime della guerra.
E’ ormai evidente che il re è nudo; le sanzioni non servono il fine che dicono di perseguire: portano conseguenze atroci nella vita dei più deboli ed indifesi. La mancanza di merci in entrata, il gasolio, le sementi, i farmaci, i pezzi di ricambio per quel che rimane dell’industria,  precludono anche la possibilità di un’economia di sussistenza ed hanno consegnato milioni di persone alla dipendenza degli aiuti umanitari. Emblematico un episodio (non raro) accaduto nel villaggio di al Fua: mentre la Comunità Internazionale si ostina a mandare insufficienti colonne di aiuti umanitari, la cittadinanza lì protesta perché non ha conservanti per impedire al frumento di marcire nei silos. Ma innumerevoli casi concreti sono stati descritti in molte interviste dai firmatari della petizione.
In definitiva, le privazioni derivanti dalle sanzioni, lungi dal realizzare il proposito dell’occidente di indebolire l’apparato militare governativo, si sommano alle privazioni della guerra in corso da 5 anni che gravano innanzitutto sulla società civile. Per contro, le armi in Siria non mancano mai…
E’ evidente che l’embargo è stato applicato indiscriminatamente e si somma agli effetti degli strumenti di guerra. E sotto gli occhi di tutti che questo provvedimento è simile ad un assedio medievale,  e come tale,  deve essere cessato.

COSA VUOLE COMUNIONE E LIBERAZIONE

Illuminante intervista di Massimo Fini a don Giussani per L’Europeo del 3 ottobre 1975 
NO ALLA SEPARAZIONE FRA FEDE E POLITICA
Che cosa vuole Comunione e Liberazione
Questo movimento giovanile cattolico è oggi uno degli strumenti più efficaci della politica vaticana in Italia: il suo leader, don Luigi Giussani, ce ne spiega le linee
Uno degli strumenti più efficaci per l’intervento dei Vaticano nella vita politica italiana e per un mutamento nella struttura politica cattolica è il movimento dì Comunione e liberazione. Questo movimento sta acquistando una tale importanza che abbiamo ritenuto necessario andare a sentire il suo leader, don Luigi Giussani (intervista a cura di Massimo Fini. L’Europeo, 3 ottobre 1975, 22-23. ndr).

D – Don Giussani, dopo la mezza catastrofe del 15 giugno si parta insistentemente dì un nuovo partito cattolico che faccia dimenticare alla gente gli orrori di trent’anni di malgoverno dc. E voi di Comunione e Liberazione siete indicati da molti come il nucleo su cui questo nuovo partito si fonderà.
R – Niente di più falso. Noi siamo decisamente contrari alla creazione di un secondo partito cattolico.
D -Perché?
R – Per due buone ragioni. Immediatamente perché un secondo partito infiacchirebbe ancor di più la possibilità di incidenza dei cristiani nella vita politica. Più profondamente perché chi vuole un secondo partito cattolico non tiene conto, non accetta, non riconosce che l’ideale cristiano è l’unità espressa dai credenti, anche in politica. La realtà di popolo che vive nella Chiesa non può che tendere a un’espressione unitaria nella società.
D -Padre David Turoldo, in un violentissimo articolo comparso sul Corriere della Sera, ha detto di voi, di Comunione e liberazione, che fate dei passi indietro anche rispetto alla linea delle gerarchie ecclesiastiche, che insomma disattendete Concilio, il quale ha ammesso la possibilità, per i cattolici, di impegnarsi in partiti diversi dalla Democrazia cristiana.
R – Questa è una calunnia. Noi non disattendiamo un bel niente. Noi di Comunione e liberazione non gridiamo all’untore se c’è chi, nel mondo cattolico, pensa di prendere vie diverse dalla Democrazia cristiana, noi abbiamo anzi un rispetto doloroso e dolente per chi tenta altre vie. Però pretendiamo che non si dia dell’untore a noi, se crediamo che la tensione all’unità, anche politica, derivi naturalmente dal fatto cristiano vissuto o, per dirla con le nostre parole, se questa tensione è un «segno» della realtà del popolo cristiano. Questa, io credo, è una possibilità che il Concilio ci lascia. O no?
D -Di fatto però, per ridiscendere sulla terraferma, voi avallate in questo modo tutte le scelleratezze commesse dalla Democrazia cristiana anche se formalmente la criticate. Lei stesso, don Giussani, in un’intervista di non più di sei mesi fa, dopo aver detto peste e corna della DC, affermò testualmente: «Sia comunque ben chiaro che io voto e voterò ancora DC».
R – È vero, noi critichiamo la DC e, ci sia dato atto, anche duramente, durissimamente. Però io non vedo in questo, fra, la critica e il voto, proprio nessuna contraddizione. Io credo che il dovere di un cristiano sia innanzitutto quello di collaborare con altri cristiani, prima che con qualsiasi altra forza. Perché con costoro io avrò un punto di vista, antropologico o, se si vuole, storico più vicino, «a priori». Non vedo quindi i motivi dello scandalo. Lo stesso Althusser prima delle ultime elezioni politiche francesi criticava ferocemente il PCF ma poi invitava a votare questo partito. E ai suoi scolari che gli dicevano: «Sei in contraddizione» rispondeva: «Per niente, i comunisti restano comunque quelli a me più vicini nella concezione antropologica della storia». Perché quello che è concesso ad Althusser deve essere negato a noi?
L’INQUISIZIONE
D -Eppure c’è tutto un gruppo di «cattolici del dissenso» che dice no a questa DC e dice anche no a questo tipo di Chiesa. 
Macché. È la vocazione alla storia, che è una pazienza, non un’ira.
D -Voi di Comunione e liberazione vi sentite interamente dentro la Chiesa, rispettate e venerate le gerarchie, papa, tutto. Sarete allora disposti ad assumervi le responsabilità storiche della Chiesa cattolica, dall’Inquisizione all’Opus Dei.
R – La Chiesa è stata una forza di promozione umana enorme. Almeno fino a quando non è apparsa una concezione della fede diversa, di una fede separata dall’urgenza della vita. Questo è il portato dell’umanesimo. Il torto della Chiesa è di essersi lasciata investire da questa concezione umanistica, Di essersi lasciata permeare dallo spirito capitalistico, liberistico, materialista-ateo. Il grande errore è questo. Io comunque non voglio per nulla difendere o minimizzare certi atteggiamenti e metodi che sono stati in passato della Chiesa cattolica. Però il retrogrado non è chi faceva certe cose mille anni fa, ma chi le fa adesso. In questo giudizio sulla Chiesa non si tiene conto del «distingue tempora et concordabis jura».
D -Ci sono dei delitti cattolici recentissimi: per esempio la proibizione della pillola in un mondo che ha quale suo più grande pericolo e nemico quello della sovrappopolazione. Ogni bambino che nasce per ignoranza e che, per ignoranza, vive una vita di stenti e di miseria è un delitto di cui voi cattolici siete i responsabili.
R – Un momento. La Chiesa dice solo: «Ragazzi, non siate dei bambini, studiate seriamente il problema». La Chiesa dice solo questo. Ci sono dei sociologi di altissimo livello che sono nettamente contrari alla posizione borghese (che è oggi dominante) di un certo tipo di controllo delle nascite. È una soluzione, quella della pillola, troppo automatica, troppo disumana.
Se per rimediare al problema della sovrappopolazione si va contro un’altra legge fondamentale, di natura, si crea un’umanità peggiore, si sta più male dopo. Ed è anche l’ora di finirla con questa fola del dispotismo della Chiesa. La Chiesa è stata talmente dispotica che tutto il suo popolo se lo è lasciato diseducare dalla mentalità laicista. Sono secoli che la Chiesa, più o meno lentamente, si lascia scappare tutti. Ma andiamo! Siamo seri! È il potere laico, illuminista che da due secoli domina il mondo, due secoli, sia detto per inciso, dì ignoranza bestiale.
Ci rimproverate le scomuniche? Ma non c’è scomunica più totale, più violenta, più razzista nel senso più completo della parola di quella che ci viene, a noi cattolici, dal mondo radical-borghese d’oggi. L’ha detto persino il papa qualche giorno fa: «In Italia domina il terrorismo ideologico». E questo terrorismo non lo facciamo certo noi. Non è che questo ci preoccupi: noi siamo persuasi che niente ferma l’esperienza della fede. Ci possono ammazzare ma non ci possono fermare.
Come si è visto in Russia dove, dopo cinquant’anni della più feroce repressione ideale e ideologica che si ricordi, è sorto e vive il più grande movimento spiritualistico e di fede dei nostri tempi: il movimento del Samizdat.
D -Che cos’è per voi la fede?

R – È qualcosa di globale, di assoluto. La fede o investe tutta la personalità umana oppure resta una giustapposizione intellettualistica o, al più, un’intrusione sentimentale. Noi non crediamo alla separazione fra fede e politica. A una fede che non abbia alcuna incidenza sulla vita (e quindi su quella fondamentale espressione della vita che è la politica) io non ci crederei. Una fede dì questo genere è un pezzo da museo. Come è un pezzo da museo il culto che viene «permesso» nei paesi socialisti. E se c’è oggi un errore nella Democrazia cristiana è proprio questo: d’esser laica. Di pensare cioè che «Dio, se c’è, non c’entra con la vita», di credere che la vita è un campo dove l’uomo è il fabbricatore, il giudice totale del proprio destino.
D -È proprio questa concezione di «totalità» della fede che vi ha attirato l’accusa di integralismo, di manicheismo fideistico, di intransigenza.

R – Dispotico, integrista e manicheo è chi ci rivolge questa accusai È proprio il «segno» di una mancanza di «simpatia» metodologica, una simpatia senza la quale nessuna critica è accettabile e seria. Io non posso capire il marxismo se non mi apro «simpateticamente» a lui. Dico sempre ai ragazzi: «C’è un modo molto semplice per giudicare stupide delle cose intelligenti ed è quello di guardare le cose intelligenti da stupidi». È esattamente l’atteggiamento che si tiene verso di noi. Siamo integralisti perché ci presentiamo con una identità chiara che si innesta organicamente su tutto quel che facciamo? Perché abbiamo un orizzonte globale del nostro agire interiore ed esteriore? Questo, cari miei, non è integralismo, ma unità della personalità. È chiarezza.
D -Uno dei vostri leader ha detto: «O si è con, noi o si è contro di noi».

R – Insomma, o io sono marxista o non sono marxista. Chi è con noi vuoi dire che riconosce il mistero del Cristo. Perché o Cristo è Dio o non è Dio. Tertium non datur. E chi vede che Cristo non è Dio è contro di noi. Detto questo noi siamo apertissimi a tutte le esperienze umane, anche diverse dalle nostre. Perché in noi è profonda la persuasione che qualunque incontro è il mezzo con cui Dio ci chiama a una realizzazione di noi stessi. La valorizzazione del tentativo altrui, per noi, è un’adesione al Padre, a colui che fa la storia.
D -Don Giussani, non si capisce assolutamente che cosa ci sia al fondo della vostra ideologia, che diavolo di modello di sviluppo proponiate.

R – Noi siamo contro ogni forma di capitalismo, antico e nuovo, neo e non neo.
D -Vuoi dire con questo che siete marxisti?
R – No. Il marxismo «tout court» non ci va bene. Soprattutto non ci sta bene come è vissuto e attuato. Però tante diagnosi e tanti suggerimenti del tentativo marxista noi li abbiamo presenti e li utilizziamo. Se il marxismo fosse solo un metodo per impostare la vita sociale, noi non muoveremmo quasi obbiezioni. Noi siamo antimarxisti solo per una cosa: per la visione materialista e atea del marxismo che per sua natura si pone dispoticamente verso la realtà, che elimina chi la pensa in modo diverso. Io chiedo ai comunisti: che spazio avremmo noi per vivere la nostra esperienza cristiana se voi foste al potere? Nessuno. Ridurreste la religione a culto, a museo. La togliereste di peso dalla storia. Ebbene, a me questo tipo di religione non interessa. Se la religione fosse solo culto non andrei neanche in chiesa. Ho altro da fare.
IL DIVORZIO

D –Non siete marxisti, non siete capitalisti, non siete borghesi. Che cosa volete allora? 

R – L’ideale della Chiesa: la comunione. In termini laici una solidarietà reale che domini anche l’immagine della struttura, Una società in cui tutte le componenti originali, quindi tutte le tradizioni di popolo, trovino attiva partecipazione alla creazione e all’uso della cosa pubblica. Una concezione, in fondo, che non è tanto lontana da quella del laico Pasolini di cui io mi sento di sottoscrivere molte delle affermazioni.

D –Scendiamo dalle nebulose: voi siete stati contro il divorzio. 

R – Il nostro no al divorzio deriva dalla nostra concezione cristiana del rapporto fra l’uomo e la donna, fra l’uomo e la vita altrui. Politicamente il nostro no al divorzio viene da questo: se io sono persuaso che la «struttura naturale» del rapporto uomo-donna esige l’indissolubilità come ideale, be’, porre una legge in cui si dichiara che il matrimonio è dissolubile è affermare l’ideale opposto. E non si pretenda che noi si voti contro il nostro ideale, contro la nostra coscienza.

D –Lei, don Giussani, confonde volutamente la libertà di divorziare con l’obbligo di divorziare. Là dove noi pretendiamo libertà di scelta voi volete imporre un obbligo unilaterale. E Io stesso vale per l’aborto. Voi confondete la libertà di aborto con l’obbligo di aborto e gridate che non siete liberi solo perché gli altri (o meglio le altre) sono 1ibere di abortire o no. Il vostro amore di libertà, la vostra «apertura», finisce là dove inizia la libertà degli altri. Nel vostro mondo «ciellino» l’unica libertà, che concepite è quella che si voglia quello che imponete voi. Voi non divorziate? Ebbene, nessuno deve divorziare. Voi non abortite? Ebbene, nessuno deve abortire. 

R – Per me chi va contro la struttura della natura, chi fa un’esperienza contro natura è uno che fa male alla società e fa male anche a se stesso. La vita deve passare anche attraverso il sacrificio.

D –Torniamo sulla vecchia terra. Che ne pensate voi di Comunione e liberazione delle lotte operaie? 

R – Le lotte operaie partono da un principio giustissimo. Ma sono strumentalizzate dagli intellettuali. Gli operai sono vittime dell’intellettualismo di certe pseudo-avanguardie. Gli strumenti che dominano le lotte operaie sono, tante volte, quelli che più tradiscono la classe operaia. Salvo esigue minoranze con le quali noi di CL manteniamo rapporti affascinanti (minoranze dove il sentimento di una natura popolare e di una forza di redenzione sono ancora vivi) devo dire che la stragrande maggioranza della classe operaia, anche nelle sue frange extraparlamentari, è vittima dell’intellettualismo illuministico.

D –Eppure molti dirigenti delle avanguardie proletarie vengono proprio dall’esperienza di Gioventù studentesca, il nucleo primigenio di Comunione e liberazione. E non vi possono sopportare. 

R – Si tratta solo dell’antico, patologico odio verso il padre. Nulla più.

D –Che significato ha, don Giussani, il vostro antifascismo? 

Per noi è la condanna di un metodo, di tutta una antropologia, di una concezione della convivenza che è antitetica alla nostra. Il fascismo è disumano. Sì, disumano. Per noi il fascismo è uno dei fattori in cui si incarna un metodo disumano di convivenza.

D –Uno dei fattori? E quali sono gli altri? 

R – Noi di Comunione e liberazione diciamo che c’è un modo di vivere il rosso che, come metodo, non ha nulla da invidiare al nero.

D –Mi permetta, don Giussani, un’ultimissima domanda, personale, personalissima. Che cosa pensa dei gesuiti?
R – Io stimo moltissimo i gesuiti per la serietà umana con cui cercano di vivere la fede. I gesuiti hanno sottolineato, in epoche in cui nessuno ci pensava, dei valori che si sono resi urgentissimi nella nostra epoca. Oggi al volontarismo individualista dei gesuiti va forse sostituita una visione comunionale della vita, C’è oggi bisogno, più di allora, di una dimensione comunitaria dell’esistenza. Ma questi, peraltro, sono fattori che in una vita cristiana come quella dei gesuiti, e come spero la mia, non si escludono mai.


giovedì 15 settembre 2016

LA VERITA' SU PADRE HAMEL

Papa Francesco ha celebrato la Messa alle 7 di questa mattina nella cappella di Casa Santa Marta in segno di vicinanza ai familiari di padre Jacques Hamel e di tutta la comunità di Rouen. Un gruppo di 80 pellegrini della diocesi di Rouen, insieme al loro vescovo, mons. Dominique Lebrun hanno assistito alla Messa di suffragio per il sacerdote ucciso il 26 luglio nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray. 

Ecco il testo dell'omelia che il Papa ha pronunciato a braccio

Nella Croce di Gesù Cristo – oggi la Chiesa celebra la festa della Croce di Gesù Cristo – capiamo pienamente il mistero di Cristo. Questo mistero di annientamento, di vicinanza a noi, Lui essendo nella condizione di Dio – dice Paolo – non ritiene un privilegio di essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, a una morte di Croce”. Questo è il mistero di Cristo. Questo è un mistero che si fa martirio per la salvezza degli uomini. Gesù Cristo, il primo martire, il primo che dà la vita per noi, e da questo mistero di Cristo incomincia tutta, tutta la storia del martirio cristiano, dai primi secoli fino a oggi.


I primi cristiani hanno fatto la confessione di Gesù Cristo pagando con la loro vita; ai primi cristiani era proposta l’apostasia, cioè: “Dite che il nostro dio è il vero, non il tuo [vostro]. Fate un sacrificio al nostro dio o ai nostri dei”, e quando non facevano questo, quando rifiutavano l’apostasia venivano uccisi. Questa storia si ripete fino a oggi e oggi nella Chiesa ci sono più martiri cristiani dei primi tempi. Oggi ci sono cristiani assassinati, torturati, carcerati, sgozzati perché non rinnegano Gesù Cristo.
In questa storia, arriviamo al nostro père Jacques: lui fa parte di questa catena di martiri. I cristiani che oggi soffrono – sia nel carcere o con la morte o con le torture – per non rinnegare Gesù Cristo, fanno vedere proprio la crudeltà di questa persecuzione. E questa crudeltà che chiede l’apostasia, diciamo la parola: è satanica. E quanto piacerebbe che tutte le confessioni religiose dicessero: “Uccidere in nome di Dio è satanico”.

Padre Jacques Hamel è stato sgozzato nella Croce, proprio mentre celebrava il sacrificio della Croce di Cristo. Uomo buono, mite, di fratellanza, che sempre cercava di fare la pace è stato assassinato come se fosse un criminale. Questo è il filo satanico della persecuzione. Ma c’è una cosa, in quest’uomo, che ha accettato il suo martirio lì, con il martirio di Cristo, all’altare, una cosa che mi fa pensare tanto: in mezzo al momento difficile che viveva, in mezzo anche a questa tragedia che lui vedeva venire, un uomo mite, un uomo buono, un uomo che faceva fratellanza, non ha perso la lucidità di accusare e dire chiaramente il nome dell’assassino. E ha detto chiaramente: “Vattene, Satana!”. Ha dato la vita per noi, ha dato la vita per non rinnegare Gesù. Ha dato la vita nello stesso sacrificio di Gesù sull’altare e da lì ha accusato l’autore della persecuzione: “Vattene, Satana!”.
E questo esempio di coraggio, ma anche il martirio della propria vita, di svuotare se stesso per aiutare gli altri, di fare fratellanza tra gli uomini, ci aiuti, tutti noi, ad andare avanti senza paura.

Che noi – che lui dal Cielo, perché dobbiamo pregarlo, eh?: è un martire! E i martiri sono beati – dobbiamo pregarlo, che ci dia la mitezza, la fratellanza, la pace, anche il coraggio di dire la verità: uccidere in nome di Dio è satanico.


L’INCERTEZZA È FINITA

Sì alla comunione ai divorziati risposati

L’incertezza sull’interpretazione di Amoris laetitia, se cioè l’esortazione post sinodale conceda o meno la possibilità ai divorziati risposati di accostarsi alla comunione, è finita.

Il Papa ha detto di sì, in una lettera ai vescovi argentini della regione di Buenos Aires, che all’inizio del mese avevano inviato una circolare al clero locale.
Francesco spiega che “non c’è un’altra spiegazione possibile”.


 Un primo segnale sul fatto che l’apertura fosse chiara, Bergoglio l’aveva dato ad aprile, tornando dal viaggio a Lesbo. “Potrei dire di sì”, aveva ammesso rispondendo a una domanda specifica sul tema. Ora il Pontefice per la prima volta mette nero su bianco che di interpretazione possibile su quella faccenda ce n’è una sola, ed è quella che va contro “i cuori chiusi”, come ebbe a dire nel ben poco criptico discorso conclusivo del Sinodo. L’interpretazione dei vescovi argentini, definita “eccellente” dal Papa, pone l’accento sul percorso di discernimento necessario a valutare il riaccostamento all’eucaristia.

La lettera dei vescovi argentini intende offrire delle linee guida per l'applicazione del controverso capitolo ottavo della "Amoris laetitia", quello che riguarda i divorziati risposati.
E nel quinto e sesto dei dieci punti in cui articolano le loro indicazioni i vescovi ammettono che a coloro che si trovano in questa situazione può essere data l'assoluzione e la comunione sacramentale, anche quando non "non riescano a mantenere il proposito" di vivere tra loro in continenza sessuale.
Fin qui niente di nuovo. Perché non si contano i vescovi e i cardinali che già interpretano in questo senso "Amoris laetitia". Come numerosi sono anche coloro che non trovano formulata con sufficiente chiarezza tale "apertura" nell'esortazione postsinodale.
Ma questa volta c'è il papa che prende posizione. E sposa come unica giusta interpretazione del testo la prima:
"El escrito es muy bueno y explícita cabalmente el sentido del capítulo VIII de 'Amoris laetitia'. No hay otras interpretaciones. Y estoy seguro de que hará mucho bien".
"Il testo è molto buono e spiega in modo eccellente il capitolo VIII di 'Amoris laetitia'. Non c’è altra interpretazione. E sono sicuro che farà molto bene".

Un passaggio in particolare, contenuto nella lettera dei vescovi argentini, farà discutere, e cioè quando si sostiene che “quando non si può ottenere una dichiarazione di nullità”, l’impegno alla continenza “può non essere di fatto percorribile”. Nonostante ciò, però, “ugualmente è possibile un percorso di discernimento”. Soprattutto se di mezzo ci sono i figli, danneggiare i quali costituirebbe “una ulteriore mancanza”.

Intanto, passa il tempo e il cardinale Carlo Caffarra ancora aspetta che papa Francesco risponda alle sue domande sui punti più controversi di "Amoris laetitia":

O forse la risposta è già arrivata. Ma non a lui. Ai vescovi argentini.

LA CORTINA DI FERRO DI RATISBONA

Dieci anni fa il grande discorso sull’islam di Benedetto XVI


"Il discorso di Ratisbona si basa sulla forza che ha sollevato la cortina di ferro e abbattuto il Muro di Berlino”, scriveva il compianto André Glucksmann. Il 12 settembre 2006, Benedetto XVI fece ritorno in Baviera, la terra dove è nato e cresciuto, dove è stato ordinato sacerdote e ha iniziato a insegnare Teologia. All’Università di Ratisbona doveva tenere una lezione di fronte al mondo accademico. Ratzinger vi rivendicò le radici ebraiche, greche e cristiane della nostra fede, spiegando perché erano diverse dal monoteismo islamico e appoggiandosi a una citazione dell’imperatore Manuele II Paleologo. Sulla stampa internazionale, in tanti circoli cattolici, nella umma islamica, fu un linciaggio politico, religioso, diplomatico e ideologico nei confronti di Ratzinger. Il Papa per la prima volta nella storia del dialogo cattolico-islamico aveva posto una condizione fondamentale: chi si siede al tavolo deve rifiutare l’irrazionalità della violenza motivata dalla religione.

Gli islamisti presero sul serio Ratisbona: in Iraq staccarono la testa a padre Iskander, in Turchia martirizzarono don Santoro, in Somalia uccisero suor Lionella e a Malatya incaprettarono e giustiziarono gli stampatori di Bibbie. L’“operazione scuse” (anche se il Papa nel libro di Peter Sewald non pronuncerà mai la parola “scusa”) fu messa in campo dalla diplomazia vaticana e si chiuse con il viaggio in Turchia. Il leader turco  Erdogan umiliò il Papa, dedicandogli mezz’ora nella saletta vip dell’aeroporto di Ankara. Da allora, nessun alto ufficiale del Vaticano avrebbe più usato quella parolina che inizia per “i” e finisce con “m”. Dieci anni dopo, quella cortina di ferro è ancora in piedi.

Dal  foglio Redazione | 13 Settembre 2016
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Il testo integrale del discorso

lunedì 12 settembre 2016

IL TERREMOTO IN CENTRO ITALIA E LA DOMANDA: “DOVE È DIO?”


Settembre 12, 2016 Giancarlo Cesana
È una domanda concreta, fattuale, perché, se Dio c’è, deve esserci, deve essere da qualche parte, visibile e raggiungibile.

Dopo il terremoto del 24 agosto, questa domanda sembra ricorrere con più insistenza e durata che in occasione di altre sciagure simili.

Bisogna notare che la domanda è posta forse più dai non credenti, da quelli che Dio non lo considerano. Costoro, come Voltaire in occasione del grande terremoto di Lisbona, tendono a rimarcare che Dio non c’è perché un Dio buono non potrebbe far accadere, o lasciare accadere tali tragedie. La domanda è stata ripetuta anche da preti e vescovi, i quali, rispondendo in genere che la fede è dono, lasciano Dio nella sua poco convincente imperscrutabilità.

Così, abbandonato Dio, se c’è, a se stesso, grande clamore è dedicato a cercare le colpe degli uomini per punire e prevenire quella che è sentita come un’ingiustizia insopportabile e dilagante.

Infatti, il terremoto è l’amplificazione orrenda del tremore che domina la vita, che è sempre scossa da violenza e malattia fino a essere sepolta nella morte. Il terremoto, quando arriva in casa, ci fa percepire che siamo niente, che la terra su cui riponiamo la saldezza dei nostri passi, è essa stessa insicura. Gravemente!

“Dove è Dio?”. Sia tale domanda bestemmia o implorazione, essa è non solo giustificata, dovrebbe diventare permanente perché rappresenta il grido alla ricerca di un senso, o meglio, di una speranza per tutta la vita. È una domanda concreta, fattuale, perché, se Dio c’è, deve esserci, deve essere da qualche parte, visibile e raggiungibile.

Il mondo, con la sua bellezza e il suo fascino, è afflitto da un male misterioso, che inesorabilmente uccide. Si tratta di un male pervasivo, che è nella natura e nel cuore dell’uomo, che tanto può essere grande, quanto criminale e meschino.
La Bibbia dice che è stato l’uomo, ribellandosi a Dio e volendo essere indipendente da Lui, a condannarsi alla propria condizione di creatura limitata e mortale.
Il Vangelo dice che Dio non si è rassegnato a lasciare l’uomo a se stesso, alla sua fragile libertà. Si è fatto uomo, ne ha condiviso il mortale destino, perché l’uomo si accorga che nell’adesione e alla verità e all’amicizia con Lui tutto può risorgere e incominciare. Uomo con gli uomini ha lasciato la traccia della Chiesa, perché il riconoscimento della presenza di Dio nel mondo fosse un’esperienza e non solo un pensiero incerto.

Bisogna riconoscere che nelle più grandi tragedie, insieme a un infinito dolore, appare sempre un’infinita bontà e dedizione, senz’altro di alcuni e spesso di molti.

Questa mano tesa, contro l’ostilità della natura e degli uomini, è segno di speranza per chi vi si appoggia, o semplicemente la vede. I

n questi giorni è stata santificata Madre Teresa di Calcutta. La sua fragile figura è stata indicata al mondo come fortissimo esempio di lotta a una disperazione eccezionale e quotidiana, come segno che, nonostante tutto, si può affermare la vita. Madre Teresa diceva che faceva tutto per Lui, per Cristo e come lei, con le sue stesse motivazioni, tanti hanno fatto e ancora fanno. Molti, credenti e non, guardano a lei per cercare il sostegno alla speranza e alla buona volontà, che sono così desiderate e instabili. Molti, in lei e in quelli come lei, cercano quello che il Vangelo è venuto ad annunciare a coloro che si domandano dove è Dio: Dio è vicino e ci salva.

C'E' donna E DONNA


"Stiamo combattendo l’aborto con le adozioni, abbiamo salvato migliaia di vite, 
abbiamo inviato messaggi a tutte le cliniche, 
gli ospedali, le stazioni di polizia: 
Per favore non distruggete i bambini, li prenderemo noi”. 
Così ad ogni ora del giorno e della notte 
c’è sempre qualcuno, 
abbiamo parecchie ragazze madri. 
Dite loro di venire: 
“Noi ci prenderemo cura di voi, prenderemo il vostro bambino, e troveremo una casa per il bambino”.

dal Discorso di Madre Teresa di Calcutta 
in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Pace

giovedì 8 settembre 2016

SENZA AVVENIRE


COPPIE GAY A LOURDES E L'IPOCRISIA DI AVVENIRE

Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla linea omosessualista sostenuta da Avvenire non ha che da leggersi attentamente sia le lettere sia la risposta del direttore del quotidiano della CEI pubblicate a pagina 2, domenica 4 settembre (clicca qui).

Spieghiamo l'antefatto: due persone con tendenze omosessuali, cattolici, che vivono insieme da 50 anni si uniscono civilmente a Torino grazie alla nuova legge Cirinnà e, per festeggiare e ringraziare, si recano in pellegrinaggio a Lourdes. Avvenire il 7 agosto ne dà notizia in un breve articolo, senza alcun commento, come se fosse una cosa normale. In realtà è una finzione, perché fosse normale non ci sarebbe bisogno di dare la notizia, non è che Avvenire elenchi quotidianamente i pellegrini italiani che si recano a Lourdes. È invece una scelta di far passare come normale una evidente novità. La cosa non sfugge però a molti lettori, i quali scrivono per chiedere spiegazioni e magari trarne qualche amara conclusione. Alcune di queste lettere, vengono pubblicate domenica scorsa, ma insieme ad altre che inneggiano alle unioni omosex e alla richiesta di scuse ai gay da parte della Chiesa. 
E come risponde il direttore di Avvenire? Il titolo è già eloquente: «Chi giudica due omosessuali cattolici che decidono di andare a Lourdes?». Eh già, chi siete voi lettori che giudicate la fede degli altri «senza sapere nulla della vita di quelle persone» e «disprezzate la libertà di Dio di parlare al cuore di tutti e di ciascuno, e la libertà di tutti e di ciascuno di risponderGli»? Eccovi sistemati cari lettori, con la misericordia “a due velocità”: totale comprensione e sostegno a chi vive situazioni irregolari, bastonate a quei poveracci da compatire che ancora la menano con la legge naturale e il catechismo.
Tralasciando alcuni dettagli della risposta, che pure meriterebbero una puntualizzazione, andiamo subito al cuore della questione. Tutta l’ondata di bontà cristiana che emana dalle parole misericordiose del direttore di Avvenire, è in realtà fondata su una serie di menzogne. A partire dal titolo: nessuno dei lettori in questione ha inteso giudicare i due anziani signori con tendenze omosessuali che sono andati in pellegrinaggio a Lourdes (peraltro di persone omosessuali che vanno a Lourdes ogni anno ce ne sono tante). Né la Chiesa ha inteso mai giudicare le persone. Tanto è vero che la Chiesa ha da sempre indicato i santi, per nome e cognome, mai ha elencato i dannati.
Ma le situazioni oggettive sì che devono essere giudicate. Se un’azione è considerata un male, resta un male a prescindere dalle intenzioni e da come andrà a finire l’ultimo giorno per chi il male ha commesso. Se l’adulterio è un peccato grave, oggettivo, non può mai diventare un bene. Così è per le unioni fra persone dello stesso sesso. Almeno fino ad oggi. Perché è evidente che ad Avvenire – e a chi lo dirige – non sta a cuore la fede delle persone o la libertà di Dio, quanto cambiare già nella prassi l’insegnamento della Chiesa a proposito di sessualità e omosessualità.

Il dovere di “non giudicare le persone” è solo un diversivo per spostare il discorso e far tacere i critici. Pensiamo infatti se invece di due anziani omosessuali che vivono insieme da 50 anni, ad annunciare il pellegrinaggio a Lourdes fossero stati un 40enne e una ragazza 13enne consensualmente conviventi, alla ricerca di una benedizione; oppure un padre e una figlia uniti in un rapporto pubblico incestuoso che intendono consacrare alla Madonna la loro unione. Forse che il direttore di Avvenire avrebbe usato le stesse parole di misericordia e incoraggiamento? O magari avrebbe almeno ammonito i protagonisti dal non strumentalizzare la Madonna per far passare come legittimo ciò che legittimo non può essere?
Ecco il punto: l’obiettivo di Avvenire non è l’accoglienza delle singole persone e il fare spazio alla libertà di Dio. È soltanto il solito tentativo di promuovere le unioni omosessuali, usando una cosa seria e grande come la Misericordia a mo’ di ipocrita paravento per meschine operazioni ideologiche e personali. 
È ovvio che tutto ciò non potrebbe accadere se a guidare l’operazione non fosse chi oggi comanda di fatto la Conferenza episcopale Italiana, da cui Avvenire dipende. Sia ben chiaro: non è per giudicare le persone, stiamo solo parlando di fatti oggettivi. E nel caso qualcuno – come è successo in passato – pensasse che questo è dovuto a un cambiamento improvviso di linea, si metta il cuore in pace: le posizioni attuali di Avvenire, in questa materia sempre più sfacciate, sono il frutto di un lungo cammino che dura almeno da venti anni, e che oggi conosce un’accelerazione grazie al maturare di diversi fattori, nella società e nella Chiesa.
Tanto per intenderci, anche la scelta di Lourdes come meta del pellegrinaggio non è casuale: lo scorso febbraio la diocesi di Tarbes e Lourdes ha invitato nel santuario mariano tutte le coppie in occasione della festa di San Valentino per dirsi “Io t’amo” (clicca qui). «L’appello è indirizzato a tutte le coppie: sposate, non sposate, omosessuali e così via», ha detto un responsabile della diocesi (e non osiam pensare cosa ci sia dietro a quel “e così via”). E il rettore del santuario, Padre André Cabes, ci ha dato anche una motivazione teologico-spirituale: «Il miracolo di Lourdes è quello di un incontro, di Bernadette Soubirous con la Vergine: in questo senso vogliamo celebrare ogni tipo di incontro». Chiaro no? Per pedofilia e incesto è solo questione di tempo.


 di Riccardo Cascioli
tratto da lanuovabussola

LA TV DEI VESCOVI? NO, GRAZIE

 Chi ha trasmesso il documentario più crudele contro Madre Teresa? La Tv dei vescovi

TEMPI Settembre 7, 2016 Sabino Paciolla
In questi giorni Tv2000 ha trasmesso, a più riprese, un documentario che presenta la santa di Calcutta come un’invasata cristiana.


“Madre Teresa: al servizio di Dio” è il titolo di un documentario trasmesso in quattro momenti diversi (sabato 3 settembre alle 7.35 e 23.20 e domenica 4 settembre alle ore 12.50 e 18.30) da Tv2000, la televisione che fa riferimento alla Chiesa italiana. Il filmato è presentato sul sito di Tv2000 così: «È un documentario dai toni forti, talvolta crudeli, ma che mette in luce la forza interiore di questa donna, ma anche le sue fragilità. È un ritratto che esalta tutte le sfumature di una personalità complessa e controversa». Mah! A noi pare un’infelice accozzaglia di tutte le feroci critiche che per molti anni sono state scaraventate contro la santa di Calcutta. E che fino a ieri pensavamo potessero arrivare solo da un certo mondo laicista, non certo da una televisione di chiara ispirazione cattolica. Qui di seguito pubblichiamo un post tratto dalla pagina Facebook In movimento.

Domenica 4 settembre è stata canonizzata Madre Teresa di Calcutta.

Come scriveva don Giussani nella presentazione del libro di Cyril Martindale Santi, «il santo non è un superuomo ma un uomo vero… perché aderisce a Dio e quindi all’ideale per cui è stato costruito il suo cuore e di cui è costituito il suo destino… fare la volontà di Dio dentro una umanità che rimane tale e pur diventa diversa».

Noi che corriamo, persi nella sbadataggine della vita quotidiana, nel giorno della canonizzazione sentiamo il bisogno di essere aiutati a conoscere e comprendere l’eccezionalità di quella grande persona, per fermarci un attimo e comprendere la nostra vita. E magari per questo accendiamo TV2000, la televisione dei vescovi italiani.

Di mattina danno un documentario su Madre Teresa di Calcutta, girato nel 2010, diretto da una giornalista francese, tale Patricia Boutinard Rouelle, che anziché dipingere una santa ci descrive una persona ossessionata dal peccato, moralisticamente integralista, che involontariamente fa del male pensando di fare del bene. Il documentario viene addirittura riproposto nel pomeriggio, tanto è importante.
Per chi non l’avesse visto, e per meglio capirne il tenore, ne riporto alcuni passaggi. Nel documentario la voce fuori campo dice che nelle case della congregazione religiosa delle Missionarie della carità, luoghi sporchi e fatiscenti, si può entrare purché non si pongano domande, facendo quasi intendere che ci si trovi in luoghi dove alle suore sia imposto dall’alto il silenzio, in modo che non si diano spiegazioni, quasi fossero luoghi “omertosi”. Sono posti dove le persone moribonde vengono accompagnate alla morte, e quindi a Cristo, piuttosto che alla guarigione. Dubbi vengono fatti sorgere circa la destinazione dei fondi, si dice infatti: «Le donazioni arrivano, la congregazione è ricca, ma la questione denaro è poco chiara, non ci sono cifre disponibili».

Madre Teresa sarebbe una persona tormentata dal pensiero di non avere abbastanza fede e dunque «come incontrare Dio se non offrendogli sempre più anime. Per placare la sete di Gesù (notate come Gesù venga raffigurato come “assetato”, ndr), Madre Teresa si imbarca in una sorta di corsa alle anime. La sua lotta contro l’aborto non è forse il maggiore esempio di questa volontà di salvare più anime?».
E quindi ecco il filmato del discorso tenuto in occasione del ricevimento del premio Nobel per la pace, in cui afferma che l’aborto è il maggior distruttore della pace. Ma, subito dopo, viene intervistato un padre gesuita, definito stretto collaboratore di Madre Teresa, che afferma che «nelle parole di Madre Teresa non vede nessuna compassione nei confronti delle donne costrette ad abortire, ma un giudizio morale». Il gesuita dice che nell’ascoltare quelle parole proferite durante la cerimonia del Nobel si è sentito a disagio. Per il commentatore «questa crociata (notare il termine, ndr) contro l’aborto nasconde un’altra battaglia, quella contro la contraccezione».
Si passa poi a visitare il reparto con bambini disabili in cui alcuni vengono legati per questione di sicurezza. Per questo, la voce fuori campo si chiede perché le suore non utilizzino i soldi per assumere altro personale. Ma Madre Teresa è ossessionata dalla sofferenza, da disabilità o altro non importa, e viene rappresentata quasi come una persona masochista, e per darne un esempio viene citata una sua affermazione, definita «molto strana»: «I poveri sono amareggiati e soffrono perché non hanno la felicità che la povertà ci dona quando nasce per amore di Cristo».
Ad alcune ragazze universitarie svizzere, che hanno passato un mese in una casa delle Missionarie della carità peruviana, con bambini handicappati, le suore, che si danno per amore ai poveri, sette giorni su sette, non avendo tempo di pensare a se stesse, appaiono quasi inumane, e si chiedono se esse abbiano dei sentimenti. Le ragazze fanno quasi intendere che il luogo sia un “lager” poiché le suore impongono le restrizioni, frutto del loro voto di povertà, anche ai poveri bambini sfortunati. Quindi la voce fuori campo dice: «A che serve il voto di povertà se fa soffrire chi vogliamo aiutare? Per le suore servire Dio dà senso a tutto ciò che fanno, rischiando di allontanarle dalla realtà e dagli uomini». Madre Teresa come una persona ossessionata da un vuoto interiore alla ricerca di Dio, un’ossessione che le fa fare cose strane.

Infine si passa a Londra. I cronisti, accompagnando le suorine nelle loro escursioni notturne, si meravigliano perché pensavano di andare in alcune zone interdette, in alcune periferie difficili, «ma no, niente affatto. Con alcune medagliette della Vergine in mano, partono per un quartiere animato del centro, dove, usando una loro espressione, “vanno a salvare le anime dalle tenebre del peccato”». Si vedono così alcuni pornoshop e una suora che riprende, con voce autoritaria e moralisticheggiante (nella voce tradotta italiana) una persona frequentante quei locali. La suora, nella voce originale, non ha, ovviamente, quel tono. Il fine è quello di raffigurare una realtà che non esiste, di proporre una tesi ideologicamente precostituita.

Dopo la visione di questo documentario verrebbe spontaneo chiedersi: «Ma perché si canonizza una tale persona? Una persona ossessionata dal peccato? Che fa crociate contro l’aborto solo per portare più anime a Cristo e ingraziarselo, visto che sente di avere poca fede? Che salvando bambini dall’aborto e criticando la contraccezione non porta certo aiuto ad una nazione sovraffollata come l’India? Una persona che “plagia” le suorine sue consorelle tanto da farle diventare delle macchine, inumane ed insensibili persino ai loro stessi bisogni?».

Il documentario di TV2000 è in pieno accordo con l’editoriale di MicroMega pubblicato il giorno prima della canonizzazione dal titolo: “Madre Teresa NON era una santa”, in cui si sostiene che Madre Teresa ha aperto case dove i malati venivano abbandonati a loro stessi, nonostante abbia raccolto centinaia di milioni di sterline da donazioni che non si saprebbe dove siano finiti, forse su conti bancari segreti. Che ha aperto sì 517 case di accoglienza in oltre 100 paesi, ma che questo costituisce «una ragione senza dubbio valida per chiudere un occhio, almeno qui in Terra. Ai giudizi divini, penserà qualcun altro».

E allora, mi chiedo, è possibile che venga prodotto, proprio sulla TV dei vescovi italiani, seguita da tante semplici persone che si fidano, un documentario così radicalmente denigratorio della figura della santa Teresa di Calcutta? Diffuso proprio nella mattinata della sua canonizzazione, e riproposto addirittura per ben due volte nella stessa giornata? Quale il fine? Che cosa ci vuole dire? TV2000 di che cosa ci vuole convincere? Sono tanti gli interrogativi che aumentano la nostra confusione, anche se una cosa è certa: qualcosa non quadra!

foto ANSA

martedì 6 settembre 2016

CL E LA SUA STORIA

Caro professore, giù le mani dalla storia di Cl
Il potere mediatico sta dicendo a Cl: «se cambi pelle, sarai benvenuta nel mondo»

di Peppino Zola tratto da la nuovabussola
06-09-2016


Malgrado il grande e ingenuo impegno dell’attuale dirigenza di Cl teso ad accattivarsi i mass-media, noto che c’è una ripresa degli attacchi giornalistici al movimento fondato dal servo di Dio don Giussani, che mettono in mostra che il movimento non va bene a lorsignori con nessun tipo di pelle. Il solito Espresso del 28 agosto dedica tre pagine generiche e confuse alla “rete dei ciellini”, che sarebbe più forte ed egemonico di prima, anche senza Formigoni e Lupi. 

La Repubblica, appartenente allo stesso gruppo editoriale, ospita, il27 agosto, un articolo del professor Agostino Giovagnoli, il quale, in modo a mio parere molto arbitrario, ipotizza un futuro di Cl che sarebbe distante dal movimento delle origini e della storia. Vale la pena esaminare questo secondo articolo. Vedendo dall’esterno il movimento, Giovagnoli prende alcune cantonate, a partire dalla considerazione che gli fa dire che vi sarebbero dei ciellini contrari ad ogni cambiamento. Notizia sbagliata, perché i ciellini sanno che la vita cristiana ci chiede una continua conversione e quindi un continuo cambiamento.

La fedeltà al carisma di don Giussani è la garanzia di ogni vero cambiamento. Il resto è soloideologia. L’articolista insinua il dubbio che i ciellini non sappiano quale debba essere il “punto d’arrivo” del movimento. Non ci può essere dubbio su questo. Il movimento, attraverso l’adesione libera, convinta e personale di ciascuno che vi appartiene ed una intensa vita comunitaria (il popolo di Dio di cui parla il Concilio), sa bene che lo scopo di tutto è, in ogni modo, affermare «la gloria umana di Cristo».

Giovagnoli afferma che la prova che in Cl vi sarebbe un “nuovo corso” è data dal fatto che quest’annoal meeting di Rimini hanno partecipato «ortodossi, ebrei e mussulmani, nonché personalità non particolarmente vicine al movimento». Osservazione banale. Non so se Giovagnoli abbia partecipato a precedenti edizioni del meeting: in tal caso, avrebbe visto che da sempre sono presenti al meeting tutte la persone da lui elencate, perché il movimento, e con esso il meeting, è sempre stato aperto a tutti, per un confronto civile delle posizioni umane e culturali, al di fuori di mire interessate, forse ancor più di oggi. Il dialogo c’è sempre stato ed ha sempre affascinato tutti.

Il punto che più mi ha negativamente impressionato dell’articolo di Giovagnoli è là dove egli haauspicato che “il nuovo corso” arrivi a queste terribili conseguenze: «persino la memoria di un incontro che ha cambiato la vita, infatti, può diventare un’idolatria delle origini che le priva della loro forza più vera se non si accetta la sfida del presente». La frase è totalmente inaccettabile perché mette in dubbio la bontà positiva del Signore che ha permesso a molti giessini prima e a moltissimi ciellini dopo di assaporare la grazia gratuita di una vita totalmente nuova e diversa, che permette loro non solo di accettare, ma anche di affrontare tutte, e dico tutte, le sfide del presente. Nessuno, neppure le autorità ecclesiastiche, possono permettersi di abolire ciò che il Signore ha voluto e causato. I ciellini vogliono solo essere fedeli alla storia di questo straordinario carisma. 

Giù la mani dalla nostra storia, caro Giovagnoli. Aveva assolutamente ragione Antonio Gramsci,quando affermava che «nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente». E, come ti ho già segnalato in altra occasione, don Carron ha scritto che «la fedeltà all’inizio è decisiva se non si vuole smarrire la strada» (prefazione al libro delle conversazioni di don Giussani con Robi Ronza).

E stia tranquillo, Giovagnoli: per i ciellini non esiste il «Giussani del mito». Per loro, esiste un uomo santo, che, come tale, va seguito ed amato. Per questo, esiste solo il «Giussani della storia» e, semmai, sono preoccupati che la storia di Giussani venga cambiata per potere meglio seguire le proprie soggettive posizioni e tesi. 
Così, Dario Di Vico, sul Corriere, approva soddisfatto una svolta del movimento, in cambio di «ulteriore rispetto e considerazione». In poche parole, il potere mediatico sta dicendo a Cl: «se cambi pelle, sarai benvenuta nel mondo». Ma Gesù, nel Vangelo, ha chiesto esattamente l’opposto ed ha messo i suoi discepoli in guardia dal consenso del mondo.