Dio non vive
sulla morte di ciò che lo circonda, ma apre il suo infinito a tutto ciò che ha
voluto e creato: l’uomo gloria di Dio e l’universo gloria dell’uomo.
«Tu sei un bene per me»: a chi possiamo dire queste parole? A
tutti? Soltanto ad alcuni? E a chi, in particolare? Mi viene alla mente un
episodio del Vangelo, riportato da Matteo e Marco con delle varianti:Maestro buono, cosa devo
fare per avere la vita eterna? Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non
Dio solo (Mc 10,18; cfr. Mt 19, 16-17).
Solo
Dio è bene. Sei tu, Signore, l’unico mio
bene (cfr. Sal 15,2). Egli è l’unico
necessario. «Solo Dio basta», scriveva santa Teresa D’Avila.
Forse bisogna giungere a questa profondità nel pozzo della
vita, là dove, dopo aver assaporato tutte le acque, alla ricerca di quella che
possa infine colmare la sete, si scopre che essa, la sete, rimane, anzi si
accende sempre di più. E allora ci si mette a gridare come Gesù sulla croce: “Ho
sete” (Gv 19,28). A quel
grido solo l’Infinito poté rispondere.
A questo punto, probabilmente, si cominciano a dipanare una
serie di risposte alle domande che ho posto all’inizio. Chi è quel Dio che
pretende di essere l’unico bene? È un Dio esclusivo, che vuole restare solo con
l’amato? Lo amerebbe veramente se volesse affermare l’unicità del suo amore
cancellando tutto ciò che di bene l’altro porta con sé?
In realtà il Dio “che basta” si rivela, a chi arriva a
scoprirlo dopo i tanti itinerari della vita, come un Dio che ama, anzi un Dio
che è l’amore stesso e perciò la fonte di ogni amore, un Dio che è Padre, che
ha generato un Figlio, e il loro rapporto di donazione reciproca è una terza
persona: lo Spirito.
«S’aperse in nuovi amor l’etterno amore» ha scritto Dante
nella sua Divina Commedia (Par. XXIX, 18). “Solo Dio è buono”, “Dio mi basta” e
altre espressioni simili devono perciò essere lette in modo inclusivo e non
esclusivo. Dio non vive sulla morte di ciò che lo circonda, ma apre il suo
infinito a tutto ciò che ha voluto e creato: l’uomo gloria di Dio e l’universo
gloria dell’uomo. Dio vide che era cosa buona (cfr. Gen 1,4ss): è il ritornello
che, all’inizio del libro della Genesi, conclude ogni singolo giorno della
creazione. Bene è dunque tutto ciò che scaturisce dalle mani di Dio e tutto ciò
che ci conduce a lui.
«Tu sei un bene per me» può essere dunque la frase romantica
di chi guarda l’altro solo attraverso un fragile sentimento o addirittura di
chi pensa di potere fare dell’altro quello che vuole, ma, grazie a Dio, può
essere invece il riconoscimento dell’importanza dell’altro nel mio cammino
verso la comunione con il creato e il creatore.
Questo “tu”, come Dio, ha molto spesso il volto
dell’imprevedibilità e della novità assoluta, mi obbliga a una nuova
disponibilità della mente e del cuore, a una nuova apertura e scoperta, mostra
il peso del fratello come sacramento del divino. Dire all’altro: «Tu sei un
bene per me» coincide con l’inizio di una nuova amicizia e con i cieli e la
terra nuova di cui parla l’Apocalisse (cfr. Ap 21,1).
In questo cammino ogni giorno viene superata l’estraneità,
l’inimicizia. Lo straniero, l’estraneo viene accolto come fratello nella mia
casa.
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