dal blog di EMANUELE POLVERELLI
CAMBIAMENTO DI PELLE, MA NON GENETICO
È veramente poco interessante, come
sostiene Renato Farina su il Giornale, la discussione sui
media relativa ai presunti o reali “nuovi corsi” di CL (“Non ho nessuna voglia di spiegare la nuova pelle e
ripetere le vecchie palle su Cl”). Ciò che manca in questi dibattiti –
interni o esterni che siano – è quanto lo stesso Farina ricorda alla fine
del suo pezzo (“Polemiche mediatiche
ogni volta diverse, ma qui è il posto dove si rinnova l’unica domanda seria:
che cosa vogliamo farne della nostra vita?”). Fuori di
questo semplice riconoscimento vi è ideologia, ovvero la sostituzione alla
realtà di proprie interpretazioni riduttive, generalmente legate a un
progetto o un interesse specifico. Un esercizio quanto mai comune, purtroppo, e
decisamente anti giussaniano.
Chiarito ciò e superate le polemiche da mercato rionale (anche se targate Repubblica), così come quelle su
presunte modalità migliori di affrontare problemi di complessità geopolitica
irrisolta da mezzo secolo (vedi crisi di Cuba), si può tornare a parlare di un
Meeting che in tanti hanno definito tra i più belli di sempre per
ricchezza di spunti e di proposta.
Provo semplicemente a raccontare il “mio Meeting” come ho sempre fatto, fin
da quando scrivevo per La Voce, senza alcuna pretesa
ovviamente di interpretare il “messaggio del Meeting” (se mai vi è un
qualcosa di simile).
Parto dalla testimonianza
del 19 agosto di monsignor Camillo Ballin, Vicario apostolico dell’Arabia
del Nord, durante l’incontro Vivere da cristiani. Il vescovo ha chiarito come si possa vivere e affermare che l’altro è
un bene anche in una condizione difficilissima e di grandi limitazioni di
azione. È la risposta ad una domanda che in tanti prima del Meeting avevano:
come si può dire “tu sei un bene per me”, quando l’altro non ti sopporta, non
ti vuole, agisce per sopprimerti?
Mons. Ballin dichiara di “non aver mai convertito nessuno” (ha
raccontato che i pochi che, arabi, avevano chiesto di battezzarsi erano in
realtà spie mandate dal governo per farlo cadere in trappola, e ha
ricordato che chi abbandona l’Islam in quei paesi è destinato alla morte -), ma ha testimoniato una fede
interamente vissuta e ha definito la loro terra come una terra
ricca poiché “noi mandiamo nei vari paesi del mondo una ricchezza molto
più grande dell’esportazione del petrolio, mandiamo discepoli di Gesù Cristo” (ndr: cliccando su questi link si rimanda alla
posizione esatta del video. In questo caso, mons. Ballin prosegue fino a commuoversi
mentre racconta quanto grande sia la sua gioia allorché incontra in quelle
terre un cristiano che riesce a testimoniare con la propria vita la bellezza
della fede). Una posizione, quella del prelato, che (senza
nascondere alcun problema e negare le necessarie azioni) spazza via ogni
tentazione di contrapposizione e di polemica, -o di lamento -, per affermare un positivo possibile da subito
e per giunta con chi è nemico.
È proprio la testimonianza dei cristiani sofferenti per la propria
fede nel mondo a guidare, già da anno scorso, la posizione da tenersi nei
confronti dell’Islam ma anche nei confronti delle sfide che si vanno
aprendo su tutto il mondo. Ed è la posizione di chi vive, con una tenacia
che ha dell’incredibile, la speranza della fede in maniera incrollabile.
Prima di giungere all’esplicitazione più diretta del tema del Meeting,
facciamo un rapido passaggio sull’incontro, sempre del 19 agosto, che
aveva a tema i rapporti di Guardini e
Giussani con la modernità. Sono interessanti, infatti,
alcuni chiarimenti di argomenti che non possono essere ridotti a mito,
come purtroppo, ascoltando alcuni dibattiti recenti, pare accadere. Ci
riferiamo alla banalizzazione e idolatria di un’età stupenda come il Medio
Evo – (vedi quanto afferma qui Borghesi) – che merita la
considerazione e l’analisi articolata della storia e non di una vulgata di
segno uguale ed opposto rispetto a quella illuministica.
L’incontro sul
tema del Meeting, ricco di riferimenti personali e con una
toccante conclusione, è con lo scrittore Luca Doninelli,
tema chiarito però in maniera rapida ed estremamente efficace anche dalla
docente russa Tat’jana Kasatkina, Direttore del Dipartimento di Teoria
della Letteratura presso l’Accademia Russa delle Scienze, la quale, esplicando
il tema del Meeting rispetto alla letteratura (l’incontro era La Vita Viva. Leggendo gli “Scritti
dal Sottosuolo” di Dostoevskij) ha chiarito la dinamica dell’altro come
essenziale per il respiro dell’io. In un successivo incontro informale,
la Kasatkina ha offerto una sorta di fondazione teoretica di questa affermazione. Ha specificato
che l’uomo, in quanto uomo, non vive del suo istinto ma della libertà. Tuttavia
vivere nella libertà risulta difficile, scomodo, disagevole. Pertanto ecco
affiorare la necessità di sostituire l’istinto con parametri di
comportamento fissi, regole morali o modelli culturali che determinano sé e la
società. In questo modo però si disperde nuovamente la libertà (ciò che vi è di
più autenticamente umano), accomodata in consueti schemi, ripetuti
meccanicamente. Ciò da cui ci si era liberati, la rigidità meccanica
dell’istinto, torna in forma diversa. L’altro, dunque, con la sua forza
dirompente, è l’opportunità del rifiorire della libertà. L’altro, con cui entro
in scontro, mi obbliga al cambiamento, sempre scompagina le mie misure, ed è
l’ occasione per recuperare la dimensione della libertà, della scelta, del
mettersi in gioco. Ovvero la dimensione autentica dell’io. Una dimensione
sempre drammatica e che Dostoevskij descrive persino come infernale. Durante
l’incontro su Dostoevskij, la Kasatkina aveva magistralmente delineato la
dialettica dell’io e dell’altro, a questo punto dell’incontro fino alla conclusione (5 minuti), punto
complesso e tutto da meditare, che ci porta completamente all’interno della
famosa frase evangelica “ama il tuo nemico”.
Non difficile dunque comprendere perché l’intervento di Antonio Spadaro,
che ha descritto la geopolitica del papa, intesa come geopolitica della
Misericordia, risulti centrale, e programmatica, in più di un passaggio.
Spadaro, che ha candidamente confessato che “le cose che
dico non le ho ancora capite” e il cui intervento merita molteplici analisi, ha
parlato di superamento del Costantinismo, ovvero la grande utopia di costruire il Regno di Dio sulla terra, propria
poi di tutto il Medio Evo, ma anche di tante forme di presenza dei
cattolici nella società fino all’altro ieri (il suo riferimento è stato al
“partito” dei cattolici). È questo il passaggio più delicato e che sicuramente
farà più discutere, ma la precisazione di queste affermazioni e la
riflessione che seguirà nei prossimi mesi saranno sicuramente decisivi per
tutta la Chiesa e la società intera.
In questi passaggi, qui sommariamente delineati, si avverte la
presenza del respiro della storia, di prospettive cioè che si vanno aprendo
a dimensioni, universali, tali da abbracciare l’umanità intera. È la
stessa vibrazione che, nell’incontro con don Giussani, ha generato quel cordone
ombelicale che ci lega al mondo e che a sua volta ha fatto nascere il Meeting.
Dove porti questa dimensione di cambiamento epocale non lo sappiamo.
Certamente sarebbe folle non accettare la sfida che abbiamo di fronte, in nome
di una presunta fedeltà al movimento, individuata in certe forme e in
certi temi, quando in questi 60 anni siamo stati capaci di una crescita e
maturazione impressionante, attraversando fasi tra loro decisamente eterogenee.
Se è vero, come tutti ammettiamo e gli ultimi papi incessantemente
hanno ripetuto, che siamo non “in una epoca della crisi, ma all’interno
della crisi di un’epoca”, non possiamo rimanere fermi, pena l’afonia,
ovvero l’incapacità di parlare all’uomo di oggi, oppure pena il destino di
costruire un piccolo residuo della storia, destinato a tradire la vocazione
“cattolica” (universale) dell’incontro con Cristo.
Non son certo queste le “minoranze creative”, di cui si parlava qualche
anno fa…
Occorre invece avere coraggio. Lo stesso che Giussani ebbe entrando nelle
scuole, armato solo di Cristo e della ragione. Il coraggio che il papa riconosce al Meeting, proprio all’inizio
del suo discorso di saluto.
Ed è proprio il papa, che CL convintamente segue, che indica l’unica
realtà capace di “tenere” di fronte a questa situazione drammatica:
l’esperienza di Cristo, presente in una comunità umana prossima e
visibile, e che si manifesta in una sorta di abbraccio, come ascoltiamo
ripetere incessantemente sia dal papa che da CL.
Cristo: una presenza “altra” che rigenera la vita.
Ma questo non è ciò che sempre ci ha detto don Giussani?
il testo contiene molti link su You tube cliccando i quali si possono seguire gli incontri commentati
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