Attraversiamo
l’Atlantico e andiamo nell’epicentro della rivoluzione, il luogo dove sta rombando
il motore della storia, gli Stati Uniti.
Donald
Trump ha cominciato un Victory Tour che è la plastica rappresentazione
della sua presidenza.
Ha
fatto tappa in Ohio, cuore della
vittoria repubblicana, l’America della mietitrebbia, delle infinite distese di
grano e mais, cuore pulsante di uno sterminato e sempre sorprendente paese.
Ma
prima è sceso in pista a Indianapolis,
accompagnato dal vicepresidente Mike Pence, Trump ha convinto i manager della
Carrier (condizionatori d’aria) a non trasferire mille posti di lavoro in
Messico. Strike. Peggy Noonan (del WSJ) riconosce a Trump la sua
abilità di negoziatore, il polso energico, il risultato, ma con un avvertimento
che pesca nella grandiosa storia americana: lo scontro di John Fitzgerald
Kennedy con i produttori d’acciaio.
Stati
Uniti, primi anni Sessanta, JFK chiede di non aumentare il prezzo dell’acciaio,
sembra aver convinto tutti. Ma il boss della U.S. Steel fa di testa sua e
aumenta il prezzo, seguito subito dopo dagli altri. Per JFK è un colpo di martello
in testa, il prestigio della sua presidenza è intaccato. Che fare? Il giovane
democratico è un duro, usa tutte le sue armi, blocca gli acquisti d’acciaio
della Difesa, apre dossier fiscali, minaccia i produttori. Alla fine tutti si
piegano di fronte al presidential power. Una grande vittoria. E un boomerang.
Perché da quel momento i democratici vengono visti come “nemici” della business
community e Barry Goldwater fa la sua campagna conservatrice in difesa della
libertà del mercato.
Un
memento per l’attivismo di Trump. Il Wall Street Journal pensa questo: c’è il
presidente e c’è il mercato. Ma il dato
di fatto, oggi, è che Trump sta rivoluzionando l’agenda politica americana (e
dunque globale), sta dettando tempi, ritmi e contenuti a tal punto da mandare a
carte quarantotto le poche certezze che erano rimaste ai democratici.
E’
sempre sul WSJ che troviamo un’intervista a Pence che dispiega l’agenda della nuova Casa Bianca, un piano
profondo e da attuare in fretta, il nocciolo è tutto nell’idea di far decollare
produzione e lavoro lavorando con il machete su tasse e regolazione. Pence
finora è stato trattato dai media come una figura che deve temperare il
sulfureo Trump, ma in realtà basta dare un’occhiata ai suoi discorsi per capire
che il vicepresidente è un tipo tosto
che conosce i meccanismi della politica e ha in testa un’idea di
amministrazione con il turbo per sfruttare la maggioranza conquistata nel
Congresso.
I
democratici sono sotto un rullo compressore. Se Trump è il difensore della working class americana, se salva
posti di lavoro, se gli operai durante la sua visita alla fabbrica della
Carrier a Indianapolis lo ringraziano (ci sono immagini che parlano da sole),
loro che faranno? Un disastro.
Il
trionfo di Trump è un cambio del paradigma economico degli ultimi trent’anni.
Siete ancora scettici sull’impatto di The Donald?
Dal
Taccuino di Mario Sechi
Il
foglio
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