TUTTI I PROBLEMI
DELLO IUS SOLI
Stefano
Spinelli
Il ddl sullo ius soli in
discussione in Parlamento è solo un manifesto politico, perché riconosce la
cittadinanza anche a chi non vuole essere parte della comunità
Il disegno di
legge sulla cittadinanza (detto ius soli) – in questi giorni in discussione in
Senato, con corsia preferenziale, dopo essere stato approvato alla Camera – è un “manifesto politico”, una legge “di
bandiera” e ideologica (piegata al multiculturalismo più spinto). È una legge
disastro (un disastro di legge). Il principale effetto sarà quello di far
aumentare ulteriormente l’immigrazione, al solo fine dell’acquisizione della cittadinanza.
Diventerà
infatti la regolamentazione più a larghe maglie esistente in Europa e in
Occidente.
Poiché sul
contenuto della normativa vecchia e nuova ne ho sentite di tutti i colori
(specie sul web), forse vale la pena precisare. Innanzitutto, circola voce
secondo cui non si saprebbe esattamente il contenuto della nuova legge: ancora
deve essere approvata e potrebbero esserci emendamenti. In realtà, il ddl
è già stato approvato alla Camera con una formulazione chiara e precisa nei
contenuti, anche se non condivisibile.
Il testo è
passato al Senato, ed è stato fermo per più di due anni in una commissione
permanente. Non sono stati esaminati
neppure gli emendamenti proposti. Come sempre accade in questi casi
(approvazioni di norme bandiera), il processo ha assunto un’immediata e
repentina accelerazione, quando si è cominciato a parlare di elezioni
anticipate, che farebbero decadere il provvedimento. Così il testo è passato
qualche giorno fa in assemblea al Senato per la fase di approvazione.
Nel caso di
approvazione con modifiche, il testo dovrebbe passare nuovamente alla Camera e
non vi sarebbe tempo per completarne l’iter. È chiaro ai proponenti che occorre
approvarlo nella stessa identica formulazione con cui è uscito alla
Camera.
Detto questo, premetto che la cittadinanza
è una cosa seria e non deve essere svenduta o regalata. Essa rappresenta il
riconoscimento dell’esistenza di un legame effettivo con una data comunità
stanziata su un territorio in un preciso momento storico. Ciascuno valuterà
questa premessa in relazione al testo proposto.
***
Partiamo dalla
situazione attuale. Attualmente esistono due possibilità per ottenere la cittadinanza
in Italia da parte dello straniero.
1. Esiste già
lo ius soli, ossia l’acquisizione della cittadinanza da parte di chi è nato nel
territorio italiano. Lo straniero nato in Italia potrà richiederla al
compimento del 18° anno di età, qualora abbia sempre mantenuto la residenza sul
territorio italiano. Qualora invece l’abbia interrotta, lo straniero nato in
Italia potrà comunque acquisire la cittadinanza al raggiungimento dei 18 anni,
qualora dimostri di avere risieduto in Italia negli ultimi 3 anni. Come si
vede, tutti quei ragionamenti sul minore straniero “costretto” a restare sul
suolo italiano per non perdere la prospettiva della cittadinanza, senza neppure
poter seguire la propria classe all’estero in gita scolastica (sic!), sono
tutte fake news (a parte che la residenza non si perde per brevi periodi di
assenza).
2. La
cittadinanza si acquisisce anche per naturalizzazione, ossia per permanenza
dello straniero sul territorio italiano per almeno 10 anni, previa valutazione
dei requisiti di integrazione. La cittadinanza in tal caso si trasmette
automaticamente (ius sanguinis) ai figli.
Riassumendo:
lo straniero nato in Italia già ora a 18 anni potrà chiedere di essere
italiano. Se i suoi genitori sono in Italia da 10 anni, e lo desiderano,
possono chiedere la cittadinanza per loro, che passerà anche al figlio. Una
precisazione sui 18 anni. I minori stranieri godono sempre – ovviamente – di
tutti i diritti e servizi essenziali dei minori italiani. Esistono
fortunatamente numerose sentenze della Corte Costituzionale che sanciscono il
principio dell’estendibilità dei diritti fondamentali della persona anche agli
stranieri. Basti pensare alle nostre scuole, ormai multiculturali, ove non c’è
differenza tra bambini italiani e bambini stranieri nati in Italia.
La differenza maggiore tra il cittadino e lo straniero è il possesso da parte del cittadino dei diritti politici (in primo luogo il diritto di elettorato). Detti diritti si possono legittimamente esercitare solo al perseguimento della maggiore età. Ecco perché l’attuale legge si riferisce alla richiesta di cittadinanza da parte del minore al raggiungimento della maggior età.
La differenza maggiore tra il cittadino e lo straniero è il possesso da parte del cittadino dei diritti politici (in primo luogo il diritto di elettorato). Detti diritti si possono legittimamente esercitare solo al perseguimento della maggiore età. Ecco perché l’attuale legge si riferisce alla richiesta di cittadinanza da parte del minore al raggiungimento della maggior età.
Veniamo ora al
nuovo disegno di legge.
1. Secondo il
nuovo testo può acquisire la cittadinanza il figlio nato in Italia di genitore
straniero in possesso di permesso di soggiorno permanente (almeno 5 anni).
Occorre la dichiarazione del genitore all’atto di nascita del figlio o
successivamente. Il permesso quinquennale non è sintomatico di alcun legame
effettivo con il Paese da parte dello straniero. Si verifica quindi una sorta
di concessione automatica della residenza al figlio nato in Italia, senza
alcuna vera volontà di appartenenza del genitore o del nucleo straniero alla
comunità di riferimento e probabilmente senza neppure alcun interesse a
rimanere sul territorio italiano (una mera permanenza quinquennale in periodo
di forte immigrazione non è certo indicativa in tal senso; ne è dimostrazione
la cosiddetta immigrazione circolare, ossia alternanza di periodi di residenza,
anche lunghi, in paesi stranieri e ritorno). In sostanza, la nuova norma
rischia di funzionare come “specchietto per le allodole”, ossia per attirare
stranieri in Italia – e incentivare così la già problematica situazione
migratoria – al solo fine di far acquisire la cittadinanza ai figli, senza
alcun legame effettivo con la comunità che li riceve. Soprattutto, si verifica
una distorsione evidente nel fatto della costituzione di nuclei familiari
composti da stranieri temporanei (con permesso quinquennale) e figli italiani
con passaporto.
Nel caso in
cui lo straniero non dichiari di fare acquisire la cittadinanza al proprio
figlio nato in Italia al momento della nascita, né successivamente, il figlio
stesso potrà richiedere la cittadinanza dopo il raggiungimento della maggiore
età. In questo caso, non pare richiesto alcun onere di permanenza. Lo straniero
nato in Italia, che ne fuoriesce da piccolo col proprio nucleo familiare, se
rientra in Italia entro i 20 anni potrebbe richiedere e acquisire la
cittadinanza (ci si chiede dove sia qui la finalità di comunanza di valori e
interessi materiali e spirituali che dovrebbero caratterizzare il cittadino
rispetto allo straniero).
2. Siccome il
popolo italiano (proprio come caratteristica dei propri cittadini) ha la fama di
popolo – diciamo – “fantasioso”, per non farsi mancare nulla, con questa nuova
legge, ha inventato una modalità di acquisizione della cittadinanza che è
un’assoluta novità, non solo europea od occidentale, ma mondiale: il ius
culturae. L’ingresso del minore in Italia prima dei 12 anni (in qualunque modo,
anche in clandestinità), e la frequenza di un non meglio precisato percorso
scolastico di 5 anni, permette al minore di acquisire la cittadinanza italiana.
Ora, non è neppure richiesto il superamento di un esame che attesti
l’acquisizione di un minimo di cognizioni e di informazioni (storiche,
culturali, valoriali) relative al paese ospitante. Comunque cinque anni di
studio non garantiscono assolutamente alcun legame effettivo con la comunità di
riferimento, specie per le culture più refrattarie all’integrazione. In questo
caso, poi, il minore-studente-cittadino, può essere parte di un nucleo
familiare del tutto precario e temporaneo per residenza (non è neppure
richiesto il permesso di soggiorno quinquennale), a forte rischio di
espulsione. Non viene richiesta alcuna residenza del minore, se non per i
cinque anni di studio. Può benissimo verificarsi l’ipotesi di frequenza del
minore del ciclo di studi elementari, e poi di abbandono del territorio. In
caso di rientro prima dei 20 anni, egli potrebbe richiedere la cittadinanza
italiana.
La norma
prevede poi una sostanziale “sanatoria” per gli stranieri di tutte le età
attualmente presenti sul territorio italiano. Le disposizioni transitorie della
legge prevedono infatti che l’acquisto della cittadinanza iure culturae si
applichi anche allo straniero, in possesso dei requisiti (in Italia entro i 12
anni e 5 anni di studio senza esami), che abbia superato i 20 anni e risieda
sul territorio da almeno gli ultimi 5 anni. Ritengo questa una vera e propria
norma sanante. Anche uno straniero adulto e assente per anni dall’Italia, se
rientrato negli ultimi anni, senza particolari permessi di soggiorno, potrebbe
ottenere la sanatoria.
***
In
conclusione, con il nuovo testo di legge chiunque nasca in Italia da stranieri
può diventare italiano (se il genitore sia in possesso del possesso di
soggiorno quinquennale; o se il minore possa vantare un quinquennio di studi
senza esame). In realtà, lo status di cittadino comporta il riconoscimento di
una serie di situazioni giuridiche attive e passive (diritti e doveri) che
valgono a differenziare in maniera esclusiva i cittadini rispetto ai meri
residenti sul territorio italiano (sostanzialmente diritti e doveri di natura
politica).
Lo status di
cittadino distingue i soggetti che appartengono ad uno Stato e ne
contribuiscono a definire i valori e gli interessi materiali e spirituali,
caratterizzandone l’identità, storia, tradizione e cultura, mediante il
perseguimento degli obiettivi e delle scelte valoriali che contraddistinguono
ogni Paese rispetto ad un altro (e ciò mediante l’esercizio dei diritti
politici); da coloro i quali (stranieri o apolidi) vivono sul territorio
italiano ma non hanno, o non vogliono avere, un legame effettivo di
appartenenza alla comunità.
Cittadinanza
significa partecipazione alle sorti del Paese, comunanza di interessi, di
ideali e identificazione, tanto che i cittadini (a differenza degli altri
residenti) votano e decidono il futuro della comunità. Tutto ciò richiede o la
volontà espressa da parte di chi voglia identificarsi con il Paese ospitante o
un’integrazione effettiva. Il ddl sullo ius soli in discussione in Parlamento è
solo un manifesto politico, perché riconosce la cittadinanza anche a chi non vuole
essere parte di una data comunità e a chi non ha alcun legame effettivo con il
Paese. Uno degli effetti più evidenti sarà l’ulteriore incremento
dell’immigrazione, al solo fine di far acquisire la cittadinanza ai propri
figli.
Non si può
utilizzare un istituto serio come la cittadinanza per risolvere altri problemi,
come quello della situazione degli immigrati (ci si chiede allora perché non
fare cittadini tutti gli stranieri che mettono piede sul territorio italiano).
Il rischio è di fare cittadini disinteressati e non legati culturalmente e
socialmente alla comunità di (non) appartenenza.
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