Dare forma carnale alla politica: non a una politica ideale (che non è cristiana, è ideologia) ma carnale e spirituale.
Giugno 25, 2017 Luigi Amicone
«Parlate delle discoteche e delle carceri, dell’immigrazione e della
famiglia. Difendete la cristianità dall’unico vero pericolo che è la minaccia
della sharia islamica»
Al grande abbaglio della politica odierna è
pensare che Grillo forse non vincerà le elezioni ma che il suo metodo
“postideologico”, del contenitore dove sta dentro tutto, è il metodo vincente.
Poveri loro se ci credono. E povero anche Salvini se si fa buggerare dal
casaleggismo Jr. Mai anteporre la
strategia all’idea. Prendete don Gianni Baget Bozzo. Un pleistocene. Eppure
quanto ha influito lui in politica e quanto ha antevisto sulla fine della
“partitocrazia” l’uomo che diceva di sé «sono un isolato e reietto».
Partecipò alla
fondazione di Forza Italia perché aveva subito capito la posta in gioco dopo la
fatale Tangentopoli. Il 1993 era stato
l’anno del compiersi, grazie ai buoni uffici dei suoi uomini nelle procure,
della “lunga marcia” del Pci. Cominciata agli inizi degli anni Sessanta,
notò con incredibile lucidità, all’indomani della caduta del governo Tambroni.
Governo Dc sfiduciato dalla stessa Dc in seguito alle manifestazioni Pci e ai
morti in piazza negli scontri con la polizia dopo che i portuali di Genova
avevano preso d’assalto un raduno del Msi. «Avveniva
così – scrisse don Gianni – un salto politico decisivo: si ammetteva che un
governo monocolore democristiano era stato un rischio per la democrazia, un
governo golpista. E che i comunisti, col loro partito e il loro sindacato, la
democrazia l’avevano invece salvata. Si determinò con questo un cambiamento
decisivo nel sistema politico: governare contro i comunisti poteva significare
attentare alla democrazia. La legittimità politica passava dal Parlamento al
controllo comunista della piazza. E finiva l’anticomunismo democristiano».
Non vi ricorda
qualcosa? Non è (quasi) lo stesso film di mezzo secolo dopo, sfolgorante di
antiberlusconismo? La verità è che, affrontando le piazze reali e tenendo botta
in quelle virtuali (indimenticabile il siparietto con Travaglio in casa
Santoro), Berlusconi è divenuto protagonista assoluto della nostra storia.
Tant’è che nel 2008, quando aveva preso più botte giudiziarie di Jack lo
Squartatore, raggiunse apici di consenso che nessun politico aveva mai avuto. Disarcionato lui, si capì poi, venne giù
tutto il Parlamento. “Aperto come una scatola di tonno”, per dirla col
Grillo masnadiero e anelante il sacco alla Alarico, a forza di campagne contro
“la Casta”. Negli ultimi cinque anni si è
ricostruito poco o nulla. Molta sovranità limitata e pioggia di leggi e leggine
dettate più dalla logica del criceto che corre sulla ruota
mediatico-giudiziaria che da una visione realistica delle priorità di un paese
in ginocchio.
E adesso,
benché schiacciato tra due giganti – sto parlando dell’Elefantino e del mistico
Baget che udiva la “Voce” interiore –, dei quali sentii pronunciare da Re
Silvio le lodi più sperticate (e, soprattutto: «sono due veri amici»), lascio dire a don Gianni la sfumatura che
ha avuto il berlusconismo in casa nostra.
Una lettera
dopo il Meeting
Erano i primi di settembre dell’anno 2000, nessuno immaginava le Torri Gemelle e men che meno l’abitare della sharia in mezzo a noi. Ci scriveva a proposito del Meeting. «Caro Luigi, sono stato contento di Rimini. E la ragione per cui sono contento è un fatto che non ti sorprenderà: è morta la Rimini andreottiana, è nata la Rimini berlusconiana.
Erano i primi di settembre dell’anno 2000, nessuno immaginava le Torri Gemelle e men che meno l’abitare della sharia in mezzo a noi. Ci scriveva a proposito del Meeting. «Caro Luigi, sono stato contento di Rimini. E la ragione per cui sono contento è un fatto che non ti sorprenderà: è morta la Rimini andreottiana, è nata la Rimini berlusconiana.
Tuttavia non è della scelta politica in
sé, che si è imposta più per necessità che per decisione, che voglio parlare ma
del significato culturale. In primo
luogo dico che essa è omogenea alla storia di Cl. Cl non è nata democristiana:
è nata opposta a quella cultura di Montini, della Fuci e dei Laureati cattolici
che ha fatto tanto male alla fede. (…) È la gerarchia che vi ha legato alla Dc
e quindi ad Andreotti. Il principio per cui Giussani vi ha immunizzati dalla
Dc, dal dialogo e dai Laureati cattolici è per la sua intuizione centrale: il
Verbo si è fatto carne. Giussani non si
è iscritto con Montini alla nuova cristianità di Maritain, ma alla cristianità
storica: quella da cui l’Occidente è nato e di cui l’Occidente vive».
In secondo luogo, «debbo dire che amo Cl
perché non è un gruppo ecclesiastico lindo, giulivo e intrinsecamente banale
come i focolarini e non è un imbroglio clericale di sinistra come Sant’Egidio
(povero Saint Gilles). Parlate dell’Italia come Pio IX, Pio XII. E Giovanni
Paolo II.
Parlate della
carne d’Italia, delle
discoteche e delle carceri, dell’immigrazione e della sicurezza, della famiglia
e della questione demografica. Difendete
la cristianità dall’unico vero pericolo che è la minaccia della sharia islamica
in tutto il mondo, anche all’interno delle nazioni cristiane. Occorre
incarnarsi nelle radici cristiane d’Italia e d’Europa e nella sua carne
sofferente. (…) Come vedete, per me la cosa importante non è il fatto che
abbiate accolto Berlusconi a Rimini, quello che mi interessa è, per il bene
della Chiesa, che Cl cresca come cultura
della Cristianità.
E dia forma
carnale alla politica: non a una politica ideale (che non è cristiana, è
ideologia) ma carnale e spirituale».
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