Questa data, di cui
ricorre l’undicesimo anniversario, è rimasta e rimarrà nella storia. In quel
giorno Benedetto XVI tenne all’Università di Regensburg il discorso
forse più importante di tutto il suo pontificato (perfino Giuseppe Vacca, il
direttore dell’Istituto Gramsci, disse che qualsiasi persona di cultura deve
aver letto quattro discorsi di papa Benedetto: Regensburg, il discorso ai
Bernardins di Parigi, quello alla Sapienza di Roma e quello al Parlamento
tedesco).
Il discorso di Regensburg, pur nella
sua brevità, è una summa di intelligenza cristiana e può trovare applicazione
in tutti gli ambiti della vita di fede. Esso riguarda infatti un tema di
teologia fondamentale: il rapporto tra la ragione e la fede. Tema urticante
in un tempo in cui né le religioni né la ragione stessa credono più
nell’importanza di questo rapporto. Benedetto colpiva al cuore sia il
relativismo delle società occidentali che di verità non vogliono più sentire
parlare, sia le religioni che male impostano il problema, come l’Islam e il
protestantesimo.
Come si ricorderà, subito dopo il
discorso di Regensburg si sollevò un gran polverone: il mondo islamico
protestò violentemente contro il Papa. Egli, in seguito, confessò
candidamente di non aver pensato alle conseguenze politiche del suo dire, che
comunque resta e resterà, nonostante i polveroni. La frase centrale era
quella pronunciata dall’imperatore d’oriente, di fede cristiana, ad un
pensatore musulmano durante un dialogo filosofico-teologico: «Ciò che è
contro la ragione non viene dal vero Dio». Come si sa, per l’Islam Dio è
Volontà onnipotente a cui si deve cieca e letterale obbedienza. Ecco perché
essi si ritennero colpiti nel vivo. Ma la colpa non era di papa Benedetto,
era della realtà delle cose.
L’attenzione generale fu indirizzata
dai media solo su questo aspetto del discorso di Regensburg e nessuno fece
notare che da quel discorso ne usciva male anche la religione protestante e,
soprattutto, il cattolicesimo secolarizzato che vorrebbe accordarsi con un
mondo senza verità. Non è inutile accennarne ora, mentre si ricordano i 500
anni della Riforma. Su questo punto le differenze tra la religione di Lutero
e quella cattolica sono molto forti e papa Benedetto collocava il
protestantesimo dentro il processo di corrosione del rapporto tra la ragione
e la fede proprio dell’Occidente, considerandolo oggettivamente come alleato
al cattolicesimo secolarizzato. Un implicito e oggettivo avvertimento al
percorso ecumenico.
Dal discoro di Regensburg,
naturalmente, nasceva non tanto una critica quanto soprattutto una grande
proposta di ampio respiro che non deve essere dimenticata. Se non si tengono
insieme la fede e la ragione, il cattolicesimo rischia di cambiare il proprio
DNA. Rischia di diventare una fede senza religione, una prassi senza
contenuti, una pastorale senza dottrina, un umanesimo senza Cristo, uno stare
insieme senza sapere perché, un cattolicesimo senza missione, un dialogo
senza annuncio, una carità senza verità, un pluralismo senza unità, un’etica
senza dogmi, una coscienza vuota di contenuti, un come senza un
perché.
Stefano Fontana
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