mercoledì 13 settembre 2017

LA LIBERTÀ DEL MEETING (E DI CL)


«Come si fa a non essere colpiti dalla testimonianza positiva, popolare, culturale, civile e religiosa, che questo evento continua a mostrare?».
Intervista a Giancarlo Cesana

TEMPI Settembre 11, 2017 di Pietro Piccinini


In mezzo alle consuete (noiose) frecciate e coltellate agostane sul Meeting di Rimini e su Comunione e Liberazione, quest’anno leggendo i giornali è stato impossibile, quanto meno all’occhio esperto, non notare una differenza rispetto al solito.
Già alla vigilia della manifestazione, tra le file del movimento si sono sollevate proteste per il presunto infiacchimento della proposta cristiana offerta dai ciellini. «Noi ci siamo sempre confrontati con chiunque, anche coi più lontani dalle nostre posizioni, però avevamo qualcosa da dire», ha detto Roberto Formigoni a Rimini 2.0; adesso invece «arriva un qualunque presidente del Consiglio, un Bertinotti, un Violante… e gli si dice di parlare lui».
C’è stato anche un traumatizzante scontro a distanza tra due pietre miliari della storia ciellina: monsignor Luigi Negri ha definito «affermazioni molto gravi» quelle con cui Giorgio Vittadini, durante un incontro al Meeting, è sembrato prendere le distanze dalla storica battaglia di Cl per la scuola libera, accostandola alla parola “ideologia”.
Poi le dispute sullo spazio serenamente concesso durante la settimana riminese a personalità che tanti ciellini guardano come minimo di sottecchi: i citati Violante e Bertinotti, ma anche Monica Maggioni.

Fin qui comunque sono tutte cose in qualche misura già viste.
 Che in Cl convivano anime in contrasto rispetto alla nuova fase iniziata con la morte del fondatore don Luigi Giussani e l’insediamento alla guida di don Julián Carrón, non è una novità.
La novità è che anche all’esterno sembra essere iniziato un tentativo di descrivere adeguatamente quella che, dall’interno, una seguace storica del movimento come Assuntina Morresi chiama da tempo – in polemica – la «mutazione genetica» di Cl.
Se per Gianni Barbacetto del Fatto quotidiano «la svolta del successore di Giussani» (sintetizzata con parole dello stesso Carrón: «Presenza non è sinonimo di potere o di egemonia, ma di testimonianza») serve solo a nascondere il solito “affarismo” dietro a una strumentale rottura col passato, per il Corriere della Sera, invece, la questione è molto più radicale.
Carrón, ha scritto Dario Di Vico, tra le penne più influenti del principale giornale italiano, «ha spianato le montagne» e oggi grazie a lui i ciellini sono «nuovi», «“buonisti” e meno presuntuosi» di un tempo.
Giudizio analogo anche se meno entusiasta quello della Stampa di Torino, il cui inviato a Rimini, Fabio Martini, ha seguito quest’anno un Meeting «normalizzato».

Davvero Cl è cambiata? E come è cambiata? Davvero non ha più nulla da dire ai suoi figli e al mondo? Sulle risposte a queste domande, dentro il movimento, si possono raffreddare amicizie decennali, quando il gelo non le brucia del tutto. Se c’è uno che può provare a dire a riguardo una parola unitaria, questi è il ciellino Giancarlo Cesana, che oltre a essere un affermato medico e manager della sanità pubblica è anche un educatore che per oltre trent’anni ha “tirato su” generazioni di ciellini gomito a gomito con don Giussani.

Professor Cesana, ha ragione il Fatto quando scrive che Cl e il Meeting hanno cambiato pelle e sono diventati «trasversali» ma solo per continuare a fare «il business»? Oppure ha ragione Di Vico che sul Corriere ha voluto far notare «il successo pieno» del nuovo corso carroniano, ovvero il «passaggio “dall’egemonia alla testimonianza” – in pratica l’abbandono del formigonismo e dell’estrema vicinanza al potere»?
Il motore del Meeting non è mai stato l’affarismo. Come si fa a dire che una manifestazione, che dura da 38 anni, sostenuta ogni anno da migliaia di volontari, che vi lavorano gratuitamente, abbia come unico scopo l’affarismo? Come si fa a non vedere le grandi personalità, a cominciare da due santi, madre Teresa e Giovanni Paolo II, che vi hanno partecipato? Come si fa a non essere colpiti dalla testimonianza positiva, popolare, culturale, civile e religiosa, che il Meeting continua a mostrare? Bisogna essere fissati sugli affari, sempre sporchi, se degli altri. Comunque, partecipare al Meeting anche per affari e politica non è affatto sbagliato perché sono aspetti essenziali dell’agire umano, tant’è che i media ne sono addirittura catturati. La ragione del Meeting è sempre stata la testimonianza, in tutti gli aspetti della vita. Finalmente anche molti commentatori lo stanno capendo. Non c’è mai stato il “formigonismo” nel senso di un pensiero egemonico che ha dominato Cl. È l’educazione di Cl che ha aiutato Formigoni a fare del governo della Lombardia il migliore e il più efficiente di Italia. E non per un mese, ma per diciotto anni, nella Regione più popolosa, più ricca e quindi più complessa. Mi stupisce che ogni qual volta i giornali riportano questi dati, non smentibili, è come se il governo Formigoni non c’entrasse nulla. Questa sì che è ideologia egemonica, negatrice della realtà.


Scrive ancora Dario Di Vico: «Il successo della linea Carrón è tale che alle prossime elezioni politiche il voto dei ciellini si presenta per la prima volta assolutamente libero», ovvero «in libera uscita». Lei che cosa ne pensa?
Siamo sempre stati liberi, nel senso che nessuno è mai stato allontanato da Cl per un voto o un’appartenenza politica non ritenuti ortodossi. Del resto Cl non ha mai dato indicazioni di voto se non quelle suggerite dall’autorità ecclesiastica. Quando è venuto meno questo suggerimento, Cl ha indicato come riferimento per la scelta la Cdo o persone e gruppi affidabili perché impegnati nella politica. D’altra parte decidere di testa propria non è automaticamente sinonimo di maggior libertà per due ragioni: primo, perché se facendo di testa propria si fa una stupidaggine, non si è più liberi, ma più stupidi; secondo, perché la testa propria è fortemente influenzata dall’ambiente circostante e frequentemente pensare con la propria testa non è altro che pensare come tutti gli altri. Meglio quindi cercare di capire seguendo chi ha dimostrato di saperne di più.

Una questione chiave, che secondo diversi ciellini è tra i sintomi più evidenti di una “deviazione” rispetto al carisma di don Giussani, sarebbe la perdita da parte del movimento della capacità di giudicare in modo originale ogni cosa, capacità che è stata sempre riconosciuta a Cl anche dai suoi avversari. È vero che Cl non sa o non vuole più giudicare? Che cosa vuol dire per un ciellino giudicare? E perché era/è tanto importante costringersi a farlo?
Giudicare vuol dire essere liberi, ovvero protagonisti della realtà e non soggetti a essa. Questo vale non solo per i ciellini, ma per tutti. Il giudizio a cui Cl invita è quello della fede, ovvero a riconoscere la presenza del Mistero di Dio come ultimo fattore di tutto ciò che esiste. La chiarezza di questo giudizio, come è stato in molte grandi personalità religiose, può benissimo convivere con posizioni meno definite nella politica, nella economia e nella cultura, che sono gli aspetti più considerati dalla pubblica opinione. Sicuramente la fede deve contribuire a vivere e cambiare la realtà, altrimenti è inutile. La fede senza le opere è morta (Giacomo 2,17). Le opere della fede non sono alla superficie, ma nella profondità delle cose, richiedono tempo e fedeltà. Non mi pare che chi è fedele alla proposta di Cl manchi di questa capacità di giudicare e di pazienza. Poi per tutto il resto possiamo e dobbiamo migliorare.

Per mostrare il risvolto ecclesiastico della nuova «linea Carrón», sempre Di Vico scrive che «oggi sulla scena (della Chiesa istituzionale, ndr) c’è solo papa Bergoglio e Cl si specchia pienamente nel suo magistero mettendo da parte primati e separatismi». La denunciata tendenza di Cl a non giudicare più nulla non può essere un tentativo di mettere in pratica il celebre «chi sono io per giudicare?» di papa Francesco?
Cl è un movimento cattolico e come tale obbedisce al magistero del Papa, come ha sempre fatto. In questa sequela realizza l’ispirazione originale di don Giussani, che per l’unità della Chiesa ha dato la vita e un metodo di vita, la comunione. Personalmente sento questa impostazione come fattore di libertà. Nulla di ciò che è vero mi è impedito. Anzi sono sospinto alla responsabilità di testimoniare, comunicare ed educare la fede. Tocca a me. Non ho mai capito perché il «chi sono io per giudicare?» di papa Francesco abbia scandalizzato così tanto. Lo disse in risposta a una domanda sulla “lobby gay”: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». Mai risposta mi è parsa più opportuna. Vorrei la ripetessero in molti, così pronti a mandare all’inferno quelli che non sono secondo loro.

Tra ciellini si sono accese polemiche per alcune posizioni espresse al Meeting e ritenute troppo “politicamente corrette” e per il moltiplicarsi nel programma della manifestazione di esponenti della cultura “mainstream”. Il fenomeno è stato notato anche all’esterno del movimento: Fabio Martini ha scritto per la Stampa che «quello della 38esima edizione è un Meeting “normalizzato”, che fatica ad esprimere una diversità culturale, ecclesiale, politica». È vero che Cl si è “normalizzata”?
Il Meeting è una manifestazione aperta e molto verbale. Non tutte le espressioni riescono a essere controllate e adeguate. Inoltre avere idee originali non è affatto scontato. Sono tuttavia certo delle buone intenzioni dei miei amici. È giusto che personalità con ruoli importanti nella vita civile e culturale vengano invitate, anche provenienti da percorsi ideologici ed esistenziali distanti. Non è necessario essere d’accordo con loro; è necessario dire quello che si pensa, soprattutto se diverso. Il Meeting non può essere una platea dove si parla senza contesto. Da questo punto di vista, il Meeting, per essere stato “normalizzato”, fa ancora molto parlare di sé. C’è qualcosa che ancora non è “normale”.

E Carrón in tutto questo, quanto c’entra, se c’entra? È giusto identificare Cl con Carrón? Anche ai tempi di don Giussani, dentro e fuori il movimento, si tendeva a identificare quest’ultimo con la sua leadership, ma Giussani era d’accordo?
Don Carrón c’entra ovviamente, e molto. È il capo, l’autorità di Cl, il fenomeno di popolo che dà vita al Meeting, anche se non si può ascrivere a lui la responsabilità di tutto quello che il Meeting dice e fa. Carrón è al servizio di Cl. Non ne è il padrone, proprio perché Cl è la fede suscitata dallo Spirito di Cristo in tanti e in tutto il mondo, attraverso Carrón, Giussani e molti uniti a loro, o che addirittura se ne sono andati. Attraverso l’uomo è lo Spirito che muove il cuore dell’uomo. Per questo vogliamo bene ai nostri amici e a chi ci guida, perché ci invitano a seguire un ideale più grande di loro, che fa grandi loro e noi. A don Giussani non piaceva l’adulazione e diffidava di chi identificava il movimento con lui; sentiva come una mancanza di responsabilità. Aveva ragione, me ne sono accorto, con sofferenza, dopo che lui è morto.

Perché ogni anno, in occasione del Meeting ma non solo, i media nazionali tornano sempre a dibattere di come sia cambiata Cl, e di come voti Cl, e di quanto sia divisa Cl, e di che cosa dica Cl di questo e di quell’altro? Perché interessa tanto questo movimento? Tutto sommato, in quanto ai numeri, sarebbe una realtà trascurabile nel panorama italiano e internazionale.
Hanno una visione fondamentalmente politica, ovvero di una partita giocata solo sui calcoli e sul tornaconto di potere. Manca la considerazione della gratuità e della fedeltà come virtù indispensabili della vita. E del cambiamento come miracolo e manifestazione del Mistero di Dio. Queste mancanze non li lasciano tranquilli nelle loro diagnosi e analisi, per cui continuano a scavare. Speriamo che trovino quello che cercano.
Foto Ansa

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