di ROBI RONZA
lanuovabussola 2 settembre
“Meeting Cl, Carrón vince su tutto. Alle
Politiche voto in libera uscita”: così si intitola un articolo di Dario Di
Vico, una firma importante del giornale, apparso sul Corriere
della Sera dello scorso 20 agosto, vigilia dell’apertura dell’edizione
2017 del Meeting di Rimini.
Come scrisse Hans Urs von Balthasar, maestro
del pensiero e figura di primo piano nella storia della teologia e della
filosofia del secolo XX, “fra i movimenti ecclesiali dell’Europa di oggi”, Cl è
“senza alcun dubbio quello che possiede die stärkeste spirituelle
Stosskraft, la più potente forza d’urto spirituale”. Il confronto fra tale
definizione e un’analisi come quella di Di Vico aiuta a capire quale baratro
separi l’intensa e complessa realtà umana ed ecclesiale di Cl dai luoghi comuni
che circolano su di essa.
In che misura – dico parlando a titolo
del tutto personale – ciò dipenda da pretesti che gente
di Cl di oggi e di ieri dà e può aver dato è in fin dei conti secondario. Fatta
la somma delle luci e delle ombre, l’entità delle prime garantisce un totale
largamente positivo. Il che non toglie beninteso che le ombre ci siano state e
ci siano. Per un ordine costituito, di cui il Corriere è
indubbiamente un pilastro tra i maggiori, Cl è comunque una presenza fastidiosa
per un’irrimediabile ragione di fondo. Per quella stärkeste spirituelle
Stosskraft di cui diceva Von Balthasar: una realtà di fatto talvolta
anche più forte delle contingenti cautele della sua dirigenza.
Essa è tanto più fastidiosa, se non insopportabile, se si considera che, volendo da sempre essere un’esperienza cristiana non mutilata, in quanto movimento di educazione alla fede Cl ha sempre apertamente richiamato pure alla presenza attiva nella vita civile e politica: una scelta tra l’altro citata e approvata nella lettera di Giovanni Paolo II a don Giussani nel 20° anniversario del riconoscimento ufficiale del Movimento (11 febbraio 2002). Di qui il ricorrente tentativo di… esorcizzarla anche con esorcismi preventivi come appunto l’articolo di cui si diceva.
Essa è tanto più fastidiosa, se non insopportabile, se si considera che, volendo da sempre essere un’esperienza cristiana non mutilata, in quanto movimento di educazione alla fede Cl ha sempre apertamente richiamato pure alla presenza attiva nella vita civile e politica: una scelta tra l’altro citata e approvata nella lettera di Giovanni Paolo II a don Giussani nel 20° anniversario del riconoscimento ufficiale del Movimento (11 febbraio 2002). Di qui il ricorrente tentativo di… esorcizzarla anche con esorcismi preventivi come appunto l’articolo di cui si diceva.
“Il successo della linea Carrón è tale che
alle prossime elezioni politiche il voto dei ciellini si presenta per la prima
volta assolutamente libero”. E’ perciò un grande respiro di sollievo quello che
si sente dietro questa frase di Di Vico, che tra l’altro introduce l’idea
di “linea”, un concetto la cui matrice leninista mette i brividi. Non c’è
infatti niente di più estraneo all’esperienza di comunione di questo concetto,
caro appunto a Lenin, in forza del quale su ogni cosa e in ogni momento tutti
devono essere appunto “allineati” con il leader.
Tornando a Di Vico, il suono di cordiali pacche sulle spalle si avverte sullo sfondo sempre più fitto e più forte alla notizia che “Il movimento non darà alcuna indicazione e il giudizio sarà lasciato totalmente ai singoli, anzi per usare il lessico giusto «alle persone». Per un’organizzazione che negli anni passati era fin troppo vicina alla politica e che aveva subito pienamente la fascinazione di Giulio Andreotti prima e di Silvio Berlusconi dopo è una svolta radicale”. Buone notizie insomma: la caccia vagante ai voti dei ciellini è aperta.
Tornando a Di Vico, il suono di cordiali pacche sulle spalle si avverte sullo sfondo sempre più fitto e più forte alla notizia che “Il movimento non darà alcuna indicazione e il giudizio sarà lasciato totalmente ai singoli, anzi per usare il lessico giusto «alle persone». Per un’organizzazione che negli anni passati era fin troppo vicina alla politica e che aveva subito pienamente la fascinazione di Giulio Andreotti prima e di Silvio Berlusconi dopo è una svolta radicale”. Buone notizie insomma: la caccia vagante ai voti dei ciellini è aperta.
Si legge poi che “La passione politica
si è trasformata in una riflessione articolata sullo spazio
pubblico e sul bene comune, l’interlocutore è sempre l’amministrazione, sia
centrale sia periferica, a prescindere dal colore e comunque senza voler
costruire ad ogni costo rapporti privilegiati”. Se ciò fosse vero
equivarrebbe a dire: “Non ci importa chi è al governo. Ci va bene chiunque
purché sia disposto a venire a patti con noi”. Da Andreotti a Berlusconi si
passerebbe insomma a Machiavelli: non sarebbe un gran passo avanti, osserviamo
per parte nostra. Non si fatica però a capire quanto una svolta del genere
verrebbe apprezzata dall’ordine costituito borghese progressista del nostro
Paese, del quale il Corriere sta adesso cercando di diventare
il vessillo più à la page.
Anche al dà dei desiderata dell’ordine
costituito, è vero tuttavia che un’esperienza
ecclesiale intensa e forte risulta in quanto tale esposta alla tentazione leninista della “linea”, ovvero dell’unanimità su
qualsiasi cosa; o quantomeno all’indicazione magari… subacquea di una
scelta preferenziale rispetto alla quale le altre sono in fondo soltanto
tollerate. Un esempio quasi ridicolo di tale deformazione fu in Cl quello del
voto sul referendum per la riforma costituzionale Renzi-Boschi. Pur senza
volerlo dire in modo aperto, serpeggiava l’indicazione preferenziale per il
“sì” con artifici che in qualche caso giunsero alla comicità
involontaria.
Più serio e recente è il caso della
scuola, con una parte che inclina a lasciare in
secondo piano la storica richiesta di una rottura del monopolio statale della
scuola semigratuita (peraltro né in
politica né nel mondo della scuola sin qui mai portata avanti dalla gente di Cl
con tutta l’urgenza con cui don Giussani la poneva). Oggi c’è infatti chi
preferisce puntare piuttosto a una mobilitazione trasversale di insegnanti sia
delle scuole statali che di quelle paritarie: a dare voce e spazio a un
“movimento educativo” che già esisterebbe e che attenderebbe solo di trovare
chi gli dia visibilità. E’ una scelta che tra l’altro sembra un riflesso di
alcune tesi esposte in quell’articolo di Dario Di Vico di cui più sopra si
diceva.
Per parte nostra restiamo dell’idea che
la richiesta originaria continui ad essere attuale, e ci
riconosciamo molto in tutto ciò che Giovanni Cominelli scrive nel suo Scuola: rompere il muro tra aula
e vita (I libri della Bussola n.6). Sarebbe però bello e
utile chiarirsi le idee in un tranquillo e fraterno confronto tra queste come
tra altre tesi diverse su varie questioni. Il
problema è che luoghi e ambiti ove tali confronti possano aver luogo non
ci sono ancora, anzi non ci sono più. Inevitabile perciò che quello che
dovrebbe e potrebbe essere un’esperienza di comunione e un’occasione di
reciproco arricchimento diventi un campo di frizioni, di attriti e di colpi di
mano.
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