“Per fare un popolo, una nazione, è
necessario avere una visione, una cultura, delle priorità che ne
derivano". E se un musulmano vuole vivere in Italia deve accettare le
norme dell’Italia.
Padre Samir, torniamo ai temi di attualità. Nelle immigrazioni in atto
verso l’Europa c’è o non c’è una pressione islamica nei confronti di un
continente cristiano, anche se tendente alla scristianizzazione? Oppure gli
immigrati cercano solo il benessere economico e non si interessano della
questione religiosa?
Attualmente, la prima ragione dell’immigrazione è che la gente non ha più nessuna speranza, almeno la maggioranza della gente oggigiorno. In altri periodi sarebbe da vedere caso per caso. Chi oggi fugge dalla Siria cercando rifugio in Europa è perché non ce la fa più, per i bombardamenti, perché hanno avuto la loro casa o il loro negozio distrutti. «Andiamo lì per conquistare l’Europa» è l’idea solo di una minoranza di fanatici. C’è chi se ne approfitta per dire: così conquisteremo questo paese, ma questo è il pensiero di una minuscola minoranza!
Attualmente, c’è una situazione tragica, di alcuni milioni di persone che pone il problema: che fare? La Merkel ha detto: noi accettiamo e prendiamo un milione di persone, ed è criticata; altri dicono: noi facciamo un muro, ma questo non è molto dignitoso per chi ha delle possibilità. Il problema è: chi ha creato questa situazione (cioè l’Isis, e dietro l’Isis l’educazione radicale e fanatica degli imam e di altri) è il vero responsabile; sono loro i colpevoli di tutto questo.
Gli immigrati sono in maggioranza delle vittime, e con loro si mescolano quelli che hanno un altro progetto, oppure persone che non sono totalmente distrutte ma ne approfittano per andare in un paese dove si sta meglio. Gli immigrati che incontriamo per le strade di Roma, che siano pakistani o cinesi o siriani, non è che vengono per conquistare Roma, vengono sperando in una vita un po’ migliore. Questa è la maggioranza degli immigrati, ma tra di loro ci saranno sempre alcuni cattivi.
L'Islam è incompatibile su molti punti con la cultura dei diritti umani. A partire dal rapporto uomo-donna
Il Card. Biffi – e non solo lui – metteva in guardia da ingressi senza
criteri e dal multiculturalismo, del quale abbiamo visto i tragici fallimenti
in molti paesi europei. Lei pensa che il problema sia sottovalutato oggi in
Italia?
In Francia la tendenza che si presenta come «umanista» – «tutte le culture sono valide» – non è ragionevole. Non voglio dire che c’è una cultura migliore di un’altra, non è questo il mio pensiero. Dipende dalle circostanze. Ma per fare un popolo, una nazione, è necessario avere una visione, una cultura, delle priorità che ne derivano. Dire «tutte le culture si equivalgono» è da imbecilli, senza alcuna cultura. Le culture possono essere migliori in un aspetto, peggiori in un altro, il punto è che per fare una nazione si deve avere una cultura fondamentale, con delle varianti.La teoria del multiculturalismo pretende che «tutte le culture si equivalgono»: ma anche se fosse vero, non tutte le culture sono compatibili. La cultura musulmana è incompatibile su molti punti con la cultura dei diritti umani. Ad esempio sul rapporto uomo-donna è semplicemente inammissibile. E i musulmani non vogliono cambiare, perché c’è un versetto del Corano che dice: «gli uomini hanno autorità sulle donne a causa di ciò che Dio ha dato agli uomini sulle donne».
Nella shari’a, per esempio, una donna non può essere giudice – in Egitto questo è applicato – perché le donne sono emotive (dicono!) e allora non possono giudicare. Oppure perché c’è una parola attribuita a Maometto, che dice «le donne sono lacunose» (nāqisāt), cioè inferiori tanto intellettualmente quanto religiosamente. Intellettualmente, perché essendo emotive non giudicano con l’intelletto; religiosamente, perché essendo in alcuni periodi «impure» come loro pretendono (intendono quando hanno il loro periodo), non possono praticare il digiuno di ramadan o la preghiera quando sono impure, quindi essendo la loro pratica religiosa imperfetta, sono inferiori.
Io discuto con loro, sia con gli uomini che con le donne: dico, il flusso di sangue vuol dire che tu sei impura? ma chi l’ha creato? Dio. Il ciclo è ciò che permette la procreazione, essendo fatto da Dio non può essere impuro. Dunque quello è un ragionamento di tipo primitivo, anche nell’ebraismo.
D’altra parte, perché un tale cibo è puro e un altro è impuro? Chi ha detto questo? E’ disceso dal cielo?
La varietà delle culture non può significare che tutte le culture si equivalgono. La cultura occidentale, lungi dall’essere perfetta, è sempre perfettibile, si può modificare perché non è caduta dal cielo. E comunque se tu vuoi vivere in Italia devi accettare le norme dell’Italia. Questo è il problema più importante che manca all’Occidente. Il liberalismo non può permettere tutto, finché non si capirà questo, non andremo avanti! Quando viene uno straniero, devo dirgli: da noi ecco quali sono le norme, finché tu non accetti tutto questo, non posso integrarti.
Commentando i fatti di terrorismo, il sociologo e politologo Olivier Roy ha sostenuto trattarsi non di radicalizzazione dell’islam bensì di islamizzazione del radicalismo. Secondo questa tesi i terroristi sarebbero espressione non di una radicalizzazione della popolazione musulmana, ma di una rivolta generazionale, contro i loro genitori, da una parte, e contro il nichilismo occidentale dall’altra. Lei che ne pensa?
Non sono d’accordo. Io sono del parere opposto, come dicono in Francia anche altri orientalisti. Ne ho fatto esperienza concreta a Parigi quando insegnavo alla facoltà teologica dei gesuiti. Ho incontrato per lunghi periodi gruppi di ragazze e ragazzi musulmani. Le ragazze non avevano problemi, parlavano perfettamente il francese, i ragazzi no. Le ragazze avevano tutte un lavoro, i ragazzi cominciavano un lavoro poi si comportavano male e venivano mandati via. Le ragazze studiavano e lavoravano, ed erano molto ben integrate, gentili, vestite in modo decente ma normale, senza velo; mentre i ragazzi con la loro ribellione si erano autodistrutti, non tutti, alcuni di loro.
Il terrorismo non attira più di uno o due su mille, però, visto che ci sono 6 milioni di musulmani in Francia, significa migliaia di terroristi o di terroristi «in potentia». Il problema è il lavaggio del cervello, l’insegnamento che si dà, che radicalizza.
In Germania non c’è un quartiere musulmano e un quartiere tedesco ma si cerca di integrarli, di aiutarli. Ma se gli immigrati li mettiamo in case di 15 piani dove stanno tra di loro, allora diventa rischioso. L’integrazione si fa in tutti gli aspetti, anche nell’abitare, nel mangiare. Perché si dice che un tale nutrimento è impuro? Che vuol dire? Non dobbiamo cercare di distruggere questa religione, ma farli riflettere per arrivare a qualcosa di più profondo.
Quando si mettono ad attaccare le ragazze la notte di Capodanno, come è successo in Germania, pensano che sia loro «diritto» perché le considerano donne di strada, perché non sono coperte. Ma che vuol dire? Allora, se pensate così, tornate al vostro deserto, non venite qua.
La soluzione è nell’inculturazione: aiutare i musulmani a vivere in modo decente, ma facendo lo sforzo continuo di integrarsi, per essere come tutti; poi a casa loro avranno la loro particolarità. La radicalizzazione viene dal fatto che uno non parla bene la lingua del paese, non ha un mestiere, non sta bene nella sua pelle, ecc. Allora reagisce con la violenza. Questo può essere anche con un italiano.
Il musulmano rischia di attribuire questo alla religione, perché nell’islam è religione e cultura, perché politica e religione si mescolano. Questo è un altro problema essenziale, la non distinzione fra religione, politica, cultura. Se un musulmano viene qui e in nome dell’islam pretende che ci sia tale sistema politico, allora è finita, non sarà mai un cittadino di buonsenso.
In Francia la tendenza che si presenta come «umanista» – «tutte le culture sono valide» – non è ragionevole. Non voglio dire che c’è una cultura migliore di un’altra, non è questo il mio pensiero. Dipende dalle circostanze. Ma per fare un popolo, una nazione, è necessario avere una visione, una cultura, delle priorità che ne derivano. Dire «tutte le culture si equivalgono» è da imbecilli, senza alcuna cultura. Le culture possono essere migliori in un aspetto, peggiori in un altro, il punto è che per fare una nazione si deve avere una cultura fondamentale, con delle varianti.La teoria del multiculturalismo pretende che «tutte le culture si equivalgono»: ma anche se fosse vero, non tutte le culture sono compatibili. La cultura musulmana è incompatibile su molti punti con la cultura dei diritti umani. Ad esempio sul rapporto uomo-donna è semplicemente inammissibile. E i musulmani non vogliono cambiare, perché c’è un versetto del Corano che dice: «gli uomini hanno autorità sulle donne a causa di ciò che Dio ha dato agli uomini sulle donne».
Nella shari’a, per esempio, una donna non può essere giudice – in Egitto questo è applicato – perché le donne sono emotive (dicono!) e allora non possono giudicare. Oppure perché c’è una parola attribuita a Maometto, che dice «le donne sono lacunose» (nāqisāt), cioè inferiori tanto intellettualmente quanto religiosamente. Intellettualmente, perché essendo emotive non giudicano con l’intelletto; religiosamente, perché essendo in alcuni periodi «impure» come loro pretendono (intendono quando hanno il loro periodo), non possono praticare il digiuno di ramadan o la preghiera quando sono impure, quindi essendo la loro pratica religiosa imperfetta, sono inferiori.
Io discuto con loro, sia con gli uomini che con le donne: dico, il flusso di sangue vuol dire che tu sei impura? ma chi l’ha creato? Dio. Il ciclo è ciò che permette la procreazione, essendo fatto da Dio non può essere impuro. Dunque quello è un ragionamento di tipo primitivo, anche nell’ebraismo.
D’altra parte, perché un tale cibo è puro e un altro è impuro? Chi ha detto questo? E’ disceso dal cielo?
La varietà delle culture non può significare che tutte le culture si equivalgono. La cultura occidentale, lungi dall’essere perfetta, è sempre perfettibile, si può modificare perché non è caduta dal cielo. E comunque se tu vuoi vivere in Italia devi accettare le norme dell’Italia. Questo è il problema più importante che manca all’Occidente. Il liberalismo non può permettere tutto, finché non si capirà questo, non andremo avanti! Quando viene uno straniero, devo dirgli: da noi ecco quali sono le norme, finché tu non accetti tutto questo, non posso integrarti.
Commentando i fatti di terrorismo, il sociologo e politologo Olivier Roy ha sostenuto trattarsi non di radicalizzazione dell’islam bensì di islamizzazione del radicalismo. Secondo questa tesi i terroristi sarebbero espressione non di una radicalizzazione della popolazione musulmana, ma di una rivolta generazionale, contro i loro genitori, da una parte, e contro il nichilismo occidentale dall’altra. Lei che ne pensa?
Non sono d’accordo. Io sono del parere opposto, come dicono in Francia anche altri orientalisti. Ne ho fatto esperienza concreta a Parigi quando insegnavo alla facoltà teologica dei gesuiti. Ho incontrato per lunghi periodi gruppi di ragazze e ragazzi musulmani. Le ragazze non avevano problemi, parlavano perfettamente il francese, i ragazzi no. Le ragazze avevano tutte un lavoro, i ragazzi cominciavano un lavoro poi si comportavano male e venivano mandati via. Le ragazze studiavano e lavoravano, ed erano molto ben integrate, gentili, vestite in modo decente ma normale, senza velo; mentre i ragazzi con la loro ribellione si erano autodistrutti, non tutti, alcuni di loro.
Il terrorismo non attira più di uno o due su mille, però, visto che ci sono 6 milioni di musulmani in Francia, significa migliaia di terroristi o di terroristi «in potentia». Il problema è il lavaggio del cervello, l’insegnamento che si dà, che radicalizza.
In Germania non c’è un quartiere musulmano e un quartiere tedesco ma si cerca di integrarli, di aiutarli. Ma se gli immigrati li mettiamo in case di 15 piani dove stanno tra di loro, allora diventa rischioso. L’integrazione si fa in tutti gli aspetti, anche nell’abitare, nel mangiare. Perché si dice che un tale nutrimento è impuro? Che vuol dire? Non dobbiamo cercare di distruggere questa religione, ma farli riflettere per arrivare a qualcosa di più profondo.
Quando si mettono ad attaccare le ragazze la notte di Capodanno, come è successo in Germania, pensano che sia loro «diritto» perché le considerano donne di strada, perché non sono coperte. Ma che vuol dire? Allora, se pensate così, tornate al vostro deserto, non venite qua.
La soluzione è nell’inculturazione: aiutare i musulmani a vivere in modo decente, ma facendo lo sforzo continuo di integrarsi, per essere come tutti; poi a casa loro avranno la loro particolarità. La radicalizzazione viene dal fatto che uno non parla bene la lingua del paese, non ha un mestiere, non sta bene nella sua pelle, ecc. Allora reagisce con la violenza. Questo può essere anche con un italiano.
Il musulmano rischia di attribuire questo alla religione, perché nell’islam è religione e cultura, perché politica e religione si mescolano. Questo è un altro problema essenziale, la non distinzione fra religione, politica, cultura. Se un musulmano viene qui e in nome dell’islam pretende che ci sia tale sistema politico, allora è finita, non sarà mai un cittadino di buonsenso.
In Italia si parla molto di integrazione. E’ un obiettivo realisticamente
raggiungibile?
E’ un punto fondamentale, per amore degli immigrati. Io difendo gli immigrati però nello stesso tempo dico loro che ci sono delle norme da seguire. Se un inglese o un maltese venisse da me e volesse guidare la macchina a sinistra, gli direi: vattene nel tuo paese, qui abbiamo altre norme: guidiamo a destra! Io sto facendo per conto mio una lista dei punti da insegnare ai musulmani, ho messo una quindicina di punti ma c’è altro da aggiungere. Norme che non sono cattive per niente.
A chi viene dalla Siria, ad esempio, bisogna dire: da noi si fa così, se tu vuoi vivere qui, devi applicarlo. Se non ce la fai, non sei fatto per questo paese, cerca altrove. Se vogliamo aiutare l’emigrato, dobbiamo aiutarlo ad integrarsi. Per integrarsi deve conoscere quali sono le norme del nostro paese, diverse dalle norme del suo paese. Non necessariamente migliori, ma diverse. Posso preferire il mio sistema, ma se vengo in Italia devo adottare le norme italiane. Questo è un gesto d’amore, non di esclusione.
E’ un punto fondamentale, per amore degli immigrati. Io difendo gli immigrati però nello stesso tempo dico loro che ci sono delle norme da seguire. Se un inglese o un maltese venisse da me e volesse guidare la macchina a sinistra, gli direi: vattene nel tuo paese, qui abbiamo altre norme: guidiamo a destra! Io sto facendo per conto mio una lista dei punti da insegnare ai musulmani, ho messo una quindicina di punti ma c’è altro da aggiungere. Norme che non sono cattive per niente.
A chi viene dalla Siria, ad esempio, bisogna dire: da noi si fa così, se tu vuoi vivere qui, devi applicarlo. Se non ce la fai, non sei fatto per questo paese, cerca altrove. Se vogliamo aiutare l’emigrato, dobbiamo aiutarlo ad integrarsi. Per integrarsi deve conoscere quali sono le norme del nostro paese, diverse dalle norme del suo paese. Non necessariamente migliori, ma diverse. Posso preferire il mio sistema, ma se vengo in Italia devo adottare le norme italiane. Questo è un gesto d’amore, non di esclusione.
Oggi c’è un rischio in Occidente: dietro il multiculturalismo s’intende un po’ tutto il modo di vivere, di pensare, di agire: «ci sono vari modi, dunque perché devo imporre il mio?». Ma non si tratta di qualcosa da imporre. Questa è una cultura secolare! Una civiltà vuol dire una cultura, delle usanze, che permetteranno a tutti di avere le stesse norme per poter convivere tutti insieme. Non significa che il “nostro” sistema sia preferibile al “vostro” sistema! Anzi, il vostro sistema potrebbe essere migliore, ma non è quello di questo paese!
di Paolo Facciotto
DA RIMINIDUEPUNTOZERO 13 SETTEMBRE
2-fine (prima parte)
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