Perché la politica del rancore contro i ceti produttivi
è letale per l'esecutivo.
Batosta della maggioranza in Umbria,
Salvini e Meloni vincono con venti punti di distacco. Il governo Conte è in
fase di logoramento accelerato, le alleanze locali tra Cinque Stelle e Dem sono
già finite.
Il governo non cadrà oggi, ma il suo destino è quello di andare a spegnersi più o meno lentamente. L'alleanza tra Cinque Stelle e Lega a livello locale è finita ancor prima di cominciare, quella del governo a Roma è minata dopo poche settimane di vita. Il voto in Umbria è stato esattamente quello previsto: un grande test di politica nazionale.
Venti punti di distacco destra e sinistra (Donatella Tesei
è al 57,49%, il candidato Pd-M5s, Vincenzo Bianconi, al 37,52%), la
polverizzazione della maggioranza giallo-rossa, il tonfo del Movimento Cinque
Stelle, l'anonimato e limbo del Pd, il trionfo della Lega, la
crescita forte e costante di Fratelli d'Italia, Salvini che si conferma leader
acchiappa-voti sintonizzato con l'elettore, Meloni che è già un'altra opzione
rispetto al segretario leghista, un voto che è una chiara rivolta contro la
legge di Bilancio e la politica dell'assalto contro i produttori medi e
piccoli, un presidente del Consiglio che è lo sconfitto più sconfitto di
tutti ma parla come se provenisse da un altro pianeta. Tic tac, c'è
un conto alla rovescia, è quello sulla durata del Conte bis.
Il voto in
Umbria è una magistrale lezione di politica. Il governo è in carica dal 5
settembre, la guerra di logoramento al suo interno è già partita e finirà per
lasciarlo a terra, esanime. Il segno premonitorio del crash è
arrivato con la foto scattata a
Narni, l'immagine di Nicola Zingaretti, Roberto Speranza, Luigi Di Maio e
Giuseppe Conte. Mancava Renzi. Era un memento prima del voto, con questo
risultato, l'assenza di Renzi diventa un "buco nero" della
maggioranza. È ben visibile "l'orizzonte degli eventi" e si capisce
che il rischio di collisione è enorme perché Renzi con la sua assenza marca la distanza, sta dicendo agli elettori
che lui e il suo partito sono qualcosa di diverso pur essendo parte
fondamentale della coalizione di governo. È un paradosso ma la vita e la
politica sono in perenne cortocircuito. Domanda sul taccuino: diverso da cosa?
Dal nocciolo radioattivo della politica del governo, un masso di kryptonite che
lo sta fiaccando.
Alleanza in
disarmo. Roberto Speranza, Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte
con il candidato umbro Vincenzo Bianconi. (Foto Ansa)
Il governo ha varato una legge di Bilancio ipotecata dalle clausole di
salvaguardia sull'Iva (23 miliardi), al suo interno ci sono una serie di norme
su evasione e contante, gabelle di vario genere, che tradiscono un'impostazione ideologica della manovra.
Siamo di fronte a una politica del
rancore che colpisce i ceti produttivi medio-piccoli, il "popolo delle
partite Iva", soggetti considerati dai Cinque Stelle (e purtroppo anche
dal Pd) come degli incalliti evasori fiscali.
Non è in discussione la lotta
all'evasione (che sarebbe da unire a una riforma del Fisco e applicazione
rigorosa dello Statuto del contribuente), ma il pre-giudizio che appare
lampante nella comunicazione quotidiana degli esponenti del governo. Al
Torquemada fiscale va aggiunta un'idea di sistema giudiziario - basta leggere
cosa dice il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede - in cui con la riforma della prescrizione
l'imputato rischia di restare sotto processo a vita. Si tratta di una barbarie
che l'Unione Camere Penali, la più autorevole associazione dei penalisti
italiani, ha definito in tre parole: "Imputato per sempre".
Questa politica del rancore impatta contro le aspettative del
ceto medio che dalla grande crisi del 2008 si ritrova in un mondo dove
ruggiscono i leoni, sono le conseguenze inattese della globalizzazione. Spaesato, inquieto, impaurito, il
contribuente italiano è catapultato in un mondo ostile, senza protezione, con
il suo peggior nemico che in realtà dovrebbe essere il suo baluardo: lo Stato.
In queste condizioni, con questo programma, nessun governo (di qualsiasi
segno sia) può pensare di riscuotere la fiducia degli italiani.
Il voto dell'Umbria è una
rivolta contro questa linea politica. Si punta il dito contro
Luigi Di Maio, ma il responsabile della
politica del governo è il presidente del Consiglio, non bisogna mai
dimenticarlo. Ripetiamo quanto scritto su List qualche giorno fa: c'è
un problema di leadership enorme alla guida del governo. L'esercizio della
premiership da parte di Conte mostra grandi limiti. Il fu avvocato del popolo
oggi si smarca dal populismo, incontra il Presidente della Cei Gualtiero
Bassetti (e fa sapere di aver chiesto lui l'incontro con il capo dei vescovi),
ma gratta gratta egli è esattamente quel che si vede, un politico camaleontico che ha assecondato una politica che sta
alienando il ceto medio dai partiti del suo stesso governo.
Una
borghesia spaesata, impaurita, in cerca di rassicurazione e non di vendetta
(fiscale e giudiziaria) sta sostenendo la corsa della Lega nel voto
regionale, perché la politica del
rancore conduce all'estremizzazione dell'elettorato moderato in un
paese dove la sinistra non è mai stata maggioranza. Conte non solo non
ha fermato questa deriva giacobina che viene dalla confusione post-ideologica
dei grillini e dei dem, ma se ne è fatto interprete in una versione da Robin
Hood che presto incontrerà il muro della realtà.
Oggi l'Umbria, domani la Calabria, poi l'Emilia Romagna e via così. Abbiamo
anticipato l'esito e i temi del voto. Siamo di fronte a una
rivolta. Al netto
dei fattori locali, questo turno elettorale misura la stratosferica
distanza tra la maggioranza giallo-rossa e il paese reale. Non
basta fare un governo contro (Salvini), non è sufficiente avere l'appoggio
delle cancellerie internazionali, serve una cosa che si chiama politica. E non
può essere quella del rancore. Non si governa contro gli elettori.
Tratto da LIST
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