L’intima vocazione del cattolicesimo verso il mondo diventa equivalente
alla necessità di confondersi con il mondo stesso
Ci sono ragioni ben più importanti di quelle dei buongustai per continuare
a ragionare intorno alla decisione di bandire la carne di maiale dalla preparazione
dei tortellini in occasione della festa del santo patrono di Bologna:
provvedimento motivato dal desiderio di non offendere la sensibilità di coloro
cui il precetto religioso vieta di mangiare la carne di quell’animale.
Ragioni più importanti anche degli sgangherati berci in difesa delle
«nostre tradizioni» a cui la destra italiana è solita abbandonarsi in queste
circostanze. Perché qui non si tratta tanto delle «nostre tradizioni» o di
altre cose simili. Si tratta, a me pare, di alcuni decisivi indirizzi di fondo
della Chiesa cattolica. Infatti, anche se l’arcivescovo di Bologna, il
cardinale Zuppi, ha rifiutato la paternità della decisione, egli l’ha comunque
fatta sua, confermandone l’origine negli ambienti della Curia o comunque ad
essa vicini.
In via preliminare viene comunque da porsi una domanda. Posto che ad avere l’interdetto religioso a cibarsi della carne di maiale
sono oltre i musulmani anche gli ebrei, risulta forse che nelle precedenti
celebrazioni qualcuno, e per prima naturalmente la Curia attuale, si sia mai
preoccupato di creare loro qualche imbarazzo servendo per la festa di san
Petronio i tortellini tradizionali? Non mi pare. So bene che a Bologna gli
ebrei sono una sparuta minoranza mentre la presenza degli islamici è una presenza
numerosa.
Ma basta questo a fare la differenza in materia di «accoglienza»? Almeno
simbolicamente la sollecitudine alimentare, chiamiamola così, non sarebbe
dovuta valere anche per gli ebrei?
Certo, a pensare male si fa peccato, ma è difficile credere che quando si
tratta di Islam e di islamici, allora non si tenga inevitabilmente conto della
capacità di pressione dell’immensa comunità islamica mondiale, delle
potenzialità che essa rappresenta, del peso altrettanto formidabile delle
immense risorse finanziarie del mondo arabo e, mettiamoci pure questa, dell’
estrema suscettibilità di taluno dei suoi membri, pronta a trascendere nella
violenza più feroce (ne sa qualcosa proprio la cattedrale di san Petronio, da
anni guardata a vista dall’esercito a causa di una sempre incombente minaccia
degli islamisti per via dell’esistenza tra le sue mura di un’effige di Maometto
non di loro gusto). Tutte cose che per gli ebrei non si pongono di certo.
Ma tralascio queste osservazioni per venire alle questioni più importanti
che è dato scorgere dietro la decisione bolognese. Quella decisione, infatti, testimonia di qualcosa di generale e di
profondo che riguarda un modo d’essere e di pensare che sempre più appare
l’attuale modo d’essere e di pensare della Chiesa cattolica. È la tendenza,
ormai avvertibile per mille segni, a confondere l’universale con
l’indistinto. A
interpretare l’intima vocazione del cattolicesimo verso il mondo, la sua
storica indole missionaria ad accogliere tutto il mondo dentro di sé, come
equivalente alla necessità di confondersi con il mondo stesso, di recepirne
esigenze, prospettive, lessico, punti di vista.
Si badi non sto rimproverando affatto al magistero di indulgere a una
qualche forma di quietismo morale, di «laissez faire» dottrinale o pratico di
fronte alla dimensione del peccato che domina il mondo. Si tratta di un problema del tutto diverso, collegato ad una
straordinaria novità storica. Al fatto che a partire dalla seconda metà del
Novecento un’ideologia etica di
ambito planetario, è andata via via emergendo, per la prima volta nella storia,
muovendo da un nucleo originario rappresentato dalla formulazione dei diritti umani. Di essa sono venuti
progressivamente a far parte, insieme alla crescita continua dei suddetti
diritti, il pacifismo, l’ecologismo, l’antisessismo e quant’altro potesse essere
compreso in un’ indistinta prospettiva mondialistico-buonista sotto l’egida di
qualche organizzazione o movimento internazionale.
Il cattolicesimo romano con la sua consustanziale ambizione universale si è
così trovato di fronte alla sfida interamente inedita di qualcosa che di fatto
ambiva a stargli alla pari; che gli stava alla pari. Si è trovato a fare i conti con una sorta di morale anch’essa universale,
d’ispirazione naturalistica e di tono fortemente laico, il cui effetto era, ed
è, di porre in subordine ogni specifico discorso religioso, ormai
ineluttabilmente avviato, si direbbe, a figurare al massimo come una parziale
articolazione di sapore arcaico e quasi folklorico di quel più vasto afflato
etico che guadagna spazio ogni giorno.
La rinuncia bolognese al maiale testimonia in modo perspicuo di una postura
che la Chiesa cattolica – sostanzialmente per difendersi nella sfida di cui
sopra - tende oggi ad assumere.
E cioè la tendenza a deporre ogni
tratto della propria identità storica che denunci uno scostamento troppo
marcato dai principi dell’indistinto etico-mondialista.
Così facendo la Chiesa è convinta, bisogna credere, di aprirsi
positivamente al mondo; e alla fine di riuscire in tal modo ad assimilarlo a
sé, potendo tra l’altro essa disporre di una risorsa – il Sacro – di
cui l’umanesimo buonista non può disporre. Se tale assimilazione – nella quale
è sempre la Chiesa cattolica e mai gli altri che di regola appare rinunciare a qualcosa
– potrà avere un reale successo, ovvero se al contrario quell’assimilazione preluda ad una virtuale fusione della
Chiesa nel mondo; se piuttosto che fare cristiano il mondo la Chiesa stessa
finirà invece per farsi eguale al mondo: dalla risposta che i fatti daranno a
questi interrogativi dipenderà l’avvenire del cattolicesimo. E forse anche
l’avvenire di qualche cosa d’altro.
2 ottobre 2019 corriere della sera
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