Passaggi normativi che suscitano "perplessità", finalità "politico-culturali" altre rispetto alla semplice lotta alle discriminazioni, la possibilità che si profili uno "Stato educatore" in stile totalitario. Mentre i media sono invasi dalle polemiche sulle performance di Fedez, e in Parlamento si prepara la battaglia politica, siamo davvero sicuri di aver compreso fino in fondo il ddl Zan di cui tutti parlano? Per Alessandro Campi, professore ordinario di Scienza Politica al Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università di Perugia, bisognerebbe instaurare un "utile e civile" dibattito sul tema. Sempre che non sia troppo tardi. Intervista di Giuseppe De Lorenzo sul Giornale,
Professore, lei ha esortato ad aprire una discussione seria sul ddl Zan. Significa che fino ad oggi non c'è stata? Perché?
"Che un simile dibattito sia mancato lo dimostrano la cagnara sulle parole di Fedez, le uscite scomposte di alcuni avversari politici della legge o il fatto che molti suoi sostenitori, senza nulla argomentare, si siano limitati a farsi fotografare con la mano aperta con su scritto DDL ZAN. Ci sono stati nel tempo interventi meditati, pro o contro la legge, ma sono stati risucchiati dalle opposte propagande o dalle esigenze della politica spettacolo. Il perché di questa situazione dipende da molti fattori: da un lato, la centralità crescente dei social, che non sono uno strumento adatto al confronto dialettico, semmai alla polarizzazione e semplificazioni dei giudizi; dall’altro un mondo politico che a sua volta si è disabituato alla discussione, magari aspra, ma civile e basato su argomenti, non su insulti. Mettiamoci infine un sistema della comunicazione che si limita ormai a giocare sulle emozioni e sulle passioni elementari".
Perché è scettico sul ddl Zan?
"Partendo da buone intenzioni, la lotta alle discriminazioni basate sul
sesso e sull’orientamento sessuale, le svolge male (cioè in modo
contradditorio) sul piano normativo. Nel nostro ordinamento – dall’art. 3 della
Costituzione alla mitica legge 194 che regola l’aborto – i diritti sono
riconosciuti in base al sesso, non in base al genere: basta già solo questo per
determinare potenziali cortocircuiti normativi.
Soprattutto è
una legge che, sotto le buone intenzioni dichiarate, persegue finalità
politico-culturali sulle quali i suoi sostenitori tendono a sorvolare, pur
sapendo che esse rappresentano la vera posta in gioco. Mi
riferisco all’idea, che attraversa l’intera legge e ne costituisce, per così
dire, il cuore ideologico, secondo la quale i tempi sarebbero maturi – sul
piano del costume – per lasciarsi alle
spalle le differenze tra i sessi naturalisticamente definite a favore delle
identità sessuali e di genere soggettivamente percepite e autocertificate.
Quello che si prospetta è un vero e
proprio cambiamento di paradigma storico-antropologico. Esso probabilmente
risponde allo ‘spirito dei tempi’, oltre a rappresentare – come alcuni
sostengono – un avanzamento sul piano dei valori e della civiltà. L’importante
però è giocare a carte scoperte invece di fare finta che l’obiettivo sia solo
la lotta alle discriminazioni. Non è
solo una questione di libertà individuali, come si dice, ma di visione della
società, di modelli valoriali e di forme culturali. Il che giustifica lo
scontro politico di queste ore, purché – ripeto – non ci si riduca a insultarsi".
Lei in particolare ritiene controversi due articoli (1 e 4) del disegno di legge. Iniziamo dal primo? Quali sono le problematiche?
"L’articolo 1 offre una definizione assertiva di cosa debba intendersi per
sesso, per genere, per orientamento sessuale e per identità di genere.
Questioni di grande rilevanza etico-filosofica (stiamo parlando di cosa debba
intendersi per natura umana) vengono risolte in poche righe dal
sovrano-legislatore. Hobbes diceva, del
suo Stato-Leviatano, che esercitando una volontà piena e assoluta può fare
tutto, tranne trasformare l’uomo in donna. Il Parlamento italiano, per
dirla ironicamente, si è dato anche questo potere: di definire lo statuto
legale e antropologico degli esseri umani".
C'è chi denuncia l'ambiguità della definizione
di "identità di genere" che aprirebbe le porte all'auto percezione di
sé. Con implicazioni, solo per fare un esempio, in campo sportivo: uomini che
si sentono donne e che chiedono di gareggiare nei tornei femminili. È un
rischio concreto?
"In realtà casi del genere si sono già verificati. Le uniche che hanno
avuto su questo punto parole sagge di denuncia sono state le femministe. Anche
in questo caso l’idea guida, che questo
disegno di legge a sua volta riflette, è che un desiderio soggettivo debba per
forza configurare un diritto oggettivo come tale tutelato dall’ordinamento.
Ma così non si crea una società migliore, semplicemente si pongono le premesse
per la sua progressiva dissoluzione".
Passiamo all'articolo 4. Quali critiche solleva?
"Quando ci si è resi conto – sulla base delle perplessità e delle critiche avanzate a suo tempo durante le discussioni svoltesi all’interno Commissione Affari Costituzionali – del rischio che semplici opinioni individuali potessero trasformarsi in reati (sub specie di istigazione all’odio) si è introdotta nel testo della legge una bizzarra clausola di salvaguardia che altro non fa che reiterare quel che si trova scritto nell’art. 21 della Costituzione. E cioè che la libera manifestazione del pensiero, in ogni forma, non può essere in alcun modo limitato. Perché in una legge si è sentito il bisogno di ribadire quel che si trova scritto in forma solenne nella nostra Carta fondamentale? Ancor più grave è che in quest’articolo, nel ribadire l’ovvio, si sia introdotto (a questo punto non so nemmeno quanto involontariamente) un inciso a dir poco ambiguo. Nel senso che sono ammesse, si legge, tutte le idee ed opinioni “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Ma chi decide quando idee ed opinioni liberamente espresse possono determinare un concreto ed effettivo pericolo? Ci vuole poco a capire quali margini di discrezionalità, con una magistratura politicizzata in molte sue frange come quella italiana, lascia aperta una simile formulazione.
Aggiungo un argomento logico:
un’opinione espressa a titolo individuale non può mai essere discriminatoria
nei confronti di una minoranza nella misura in cui un individuo che esprime
un’opinione è esso stesso, in quando singolo, una minoranza per così dire
assoluta. Qui si parte dall’assunto che un’opinione individuale, che una
qualunque minoranza ritenga offensiva o discriminatoria nei suoi confronti, sia
tale in quanto riflesso di un sentimento collettivo maggioritario. Ma non funziona
così".
Non sono esagerati i cattolici nel ritenere che il ddl finirà col limitare la libertà di espressione e punirà anche chi sostiene, ad esempio, che i bambini debbano avere un papà e una mamma?
"Si rischia di fare tutti la fine di J.K. Rowling, l’autrice della saga
di Harry Potter. Per lei, femminista storica, sono donne solo 'le
persone che hanno le mestruazioni'. Per queste parole, come si sa è stata
massacrata sui social e accusata di essere 'transfobica'. Ma la sua, mi chiedo,
è un’opinione, come tale contestabile e discutibile, o una posizione
discriminatoria che merita di essere perseguita in quanto istigatrice
potenziale di comportamenti e azioni lesive dei diritti di minoranze? Esiste
un’identità femminile legata al fatto di essere biologicamente donna: nel
prossimo futuro una femminista potrà ancora sostenere un simile convincimento?
Quanto ai cattolici, presto sarà necessaria una legge anche a loro difesa. In
quanto minoranza. E in quanto minoranza discriminata".
Alcuni ritengono che il ddl Zan spianerà la strada all'ideologia gender e all'indottrinamento dei bambini nelle scuole. I promotori replicano che il gender non esiste. Come se ne esce?
"La legge include un disegno
pedagogico, gestito dallo Stato, ben preciso. Si parla della creazione, ogni 17
maggio, della Giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e
la transfobia e del ruolo attivo che, nei processi tesi a favorire l’inclusione
e le pratiche non discriminatorie, debbono svolgere le scuole. Qui si apre,
secondo me, un duplice problema: da un lato, quello relativo all’utilità
dell’ennesima Giornata su questo e su quello, secondo un modello pedagogico
dall’alto che in prospettiva rischia persino si essere controproducente
rispetto agli obiettivi perseguiti; dall’altro, l’opportunità, in senso appunto
pedagogico, di affrontare certe tematiche in un’età nella quale si è per
definizione psicologicamente vulnerabili. Lo
Stato-educatore è un modello totalitario".
Il ddl Zan è una legge che serve al Paese? E servirà davvero a tutelare gli omosessuali e a combattere l'omofobia?
"Al momento sembra aver soltanto prodotto divisioni politiche e
discussioni pregiudiziali. Se l’obiettivo era davvero applicare – aggiungo
giustamente – all’omofobia i reati e le sanzioni previste dal decreto Mancino
del 1993 sulle discriminazioni razziali sarebbe stato forse sufficiente
ampliare quest’ultimo. La legislazione italiana non mi sembra carente nella
tutela delle minoranze e nel perseguimento dei cosiddetti reati d’odio. Si
rischia su questo versante l’ipertrofia normativa. Ma evidentemente, come ho
detto, gli obiettivi erano altri".
L'Italia è un Paese in emergenza omofobia?
"I dati, peraltro poco affidabili e di difficile interpretazione, non
sembrano avallare l’esistenza nel nostro Paese di una sorta di caccia al
'diverso' per ragioni sessuali. Nel nostro Paese esiste, presso il Ministero
dell’Interno, l’Oscad (l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti
discriminatori), sulla cui pagina ufficiale ci si premura di precisare, innanzitutto,
che la segnalazione di un atto discriminatorio non equivale affatto alla
denuncia di una reato o al fatto che un reato sia stato effettivamente
commesso. Secondariamente, viene chiarito che le segnalazioni ricevute da
quest’organismo espressamente dedicato al fenomeno dei crimini d’odio non
consentono alcuna esatta rilevazione statistica, dal momento che il numero
delle segnalazioni che ad esso arrivano è inevitabilmente influenzato dalla
sensibilità soggettiva di chi fa la segnalazione (ciò che a me pare offensivo e
discriminatorio per altri potrebbe non esserlo) e, soprattutto, dai risvolti
mediatici (e ahimè propagandistici) che alcuni episodi talvolta assumono".
Quindi?
"Il che è come ammettere che il fatto che sui mezzi d’informazione
talvolta si parli tanto di intolleranza, di odio, di discriminazione a partire
da un singolo episodio di cronaca non vuol dire che esista un clima sociale nel
segno dell’intolleranza. Se si accusa Salvini si speculare su un’invasione
degli immigrati che non esiste, si può anche criticare chi descrive un’Italia
oscurantista e violenta che a sua volta non esiste. Semmai, ci si dovrebbe interrogare su quanto una mentalità
discriminatoria e lesiva delle libertà individuali (a partire da quelle legate
all’identità sessuale) sia diffusa all’interno delle comunità d’immigrati
presenti nel nostro Paese. Te la raccomando la tolleranza dei musulmani nei
confronti di gay e transgender! Ma l’argomento è spinoso e si preferisce
non affrontarlo: meglio prendersela con qualche trinariciuto leghista.
Ciò detto, preciso anche che – da una
prospettiva autenticamente liberale e tollerante – il fatto che anche una sola
persona su sessanta milioni venga fatta oggetto di discriminazione per ragioni
sessuali, religiose o etnico-razziali basta e avanza per considerare la cosa
grave meritevole di censura e di una sanzione. Non è il numero che fa la
qualità di una società, ma la difesa sacrosanta dei principi".
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