LUCA RICOLFI
Supponete che un partito
prevedesse, fra i suoi punti programmatici, il contrasto all’immigrazione
irregolare, il rifiuto del politicamente corretto, l’ostilità alle rivendicazioni
Lgbtq+. Come lo definireste? Credo che molti risponderebbero, senza troppe
esitazioni, che lo considererebbero un partito di destra. E in effetti è così,
molti partiti di destra radicale, in Italia come in Europa, rispecchiano questo
profilo.
Però sarebbe un errore pensare che questo genere di idee siano prerogativa
esclusiva della destra radicale. Idee del
tutto affini si incontrano in alcune formazioni della sinistra radicale, ad
esempio nella nuova lista “Italia sovrana
e popolare”, guidata da Marco Rizzo, che in queste
settimane sta raccogliendo le firme per presentarsi alle imminenti elezioni
politiche. E in modo ancora più netto nei filosofi marxisti anti-capitalisti,
come Jean Claude Michéa (francese), Slavoj Žižek (sloveno), Costanzo
Preve e il suo allievo Diego Fusaro in Italia.Peter Brueghel il Vecchio, La torre di Babele
Ma qual è la ratio di simili idee? In
parte è la medesima a destra e a sinistra. Sia la destra radicale sia la
sinistra radicale vedono nei flussi
migratori un doppio pericolo: l’abbassamento dei livelli salariali dei
lavoratori nativi, dovuto alla concorrenza degli immigrati, la competizione fra
cittadini e stranieri nell’accesso ai servizi sociali.
Diverso è il discorso sulle
rivendicazioni Lgbtq+ e il politicamente corretto. Qui le motivazioni della
destra e della sinistra radicali, almeno in parte, divergono.
A destra l’ostilità al
mondo Lgbtq+ è genuinamente culturale, perché deriva semplicemente da una
concezione tradizionalista del ruolo della famiglia e del rapporto fra uomini e
donne. A sinistra, invece, la medesima ostilità deriva da due idee distinte ma
convergenti: il consumismo sessuale sarebbe un capitolo della colonizzazione di
tutti gli ambiti della vita da parte del capitalismo globale trionfante;
l’attenzione ossessiva della sinistra ufficiale al mondo Lgbtq+ e agli
immigrati avrebbe completamente cancellato la questione sociale (occupazione,
salari, povertà, disuguaglianze).
Più in generale, destra e sinistra radicale, considerano le questioni
sollevate dal politicamente corretto (a partire dalla riforma del linguaggio)
come problematiche “borghesi”, che possono interessare solo i ceti alti.
Soprattutto, destra e
sinistra radicale convergono su una diagnosi: il nemico numero uno sono gli
organismi sovranazionali, come l’Unione Europea, la Bce, le Nazioni Unite, la
Banca mondiale, che togliendo autonomia agli stati nazionali renderebbero più
difficile la difesa degli interessi nazionali e delle istanze popolari.
Di qui la fusione, a destra come a sinistra, fra sovranismo e populismo, e la
comune ostilità alla sinistra ufficiale, che in tutte le società democratiche
moderne è tendenzialmente liberale, cosmopolita, fiduciosa nei meccanismi di
mercato, rispettosa delle istituzioni sovranazionali.
Questa convergenza può turbare chi tende a vedere destra e sinistra come
due mondi antitetici e incompatibili. In compenso permette di spiegare fatti altrimenti
incomprensibili, come le transizioni dall’estrema destra all’estrema sinistra e
viceversa. È dei giorni scorsi, ad esempio, la notizia che Francesca Donato,
parlamentare europea eletta nelle liste della Lega, si appresterebbe a correre
nella lista del comunista Marco Rizzo, leader della neonata lista di
sinistrissima “Italia sovrana e popolare”.
Risalendo indietro nel tempo, possiamo rintracciare conversioni ben più clamorose e interessanti, perché frutto di meditate elaborazioni teoriche. Penso, ad esempio, al caso dell’economista di sinistra (radicale) Alberto Bagnai, che qualche anno fa aderì alla Lega di Salvini. Ma penso, soprattutto, a Costanzo Preve, raffinato filosofo marxista anti-capitalista, che nel 2012, in occasione delle presidenziali francesi, dichiarò (e spiegò con un raffinato ragionamento) che, se fosse stato francese, in caso di ballottaggio Sarkozy-Marine le Pen avrebbe votato per la candita di estrema destra.
Ebbene, tutti questi
casi, a prima vista incomprensibili, hanno una logica precisa. Alla base del
sovranismo populista, che rende quasi intercambiabili destra e sinistra
radicali, ci sono due idee forti: primo,
l’assoluta centralità della questione sociale; secondo, la convinzione che solo
gli stati nazionali abbiano qualche chance di fornire risposte alla domanda di
protezione degli strati popolari.
L’analisi può essere sbagliata, ma la sfida che lancia è reale. E tocca
alla sinistra ufficiale raccoglierla, innanzitutto mostrando che non ha
dimenticato la questione sociale.
Tratto da La Stampa
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