Pubblichiamo di seguito l’omelia che il cardinale e arcivescovo
GIACOMO BIFFI (1928-2015)
tenne il 15
agosto 1999, a Bologna (Villa Revedin), per la solennità dell’Assunzione di
Maria.
***
Oggi ci stringiamo festosi alla Vergine Maria, madre di Gesù e madre nostra, ricordando e celebrando il trionfo che ha coronato la sua umile vita: una
vita intessuta di fede, di amore, di dolcezze ineffabili e di ansie pungenti,
di intime gioie e di lancinanti dolori. Giunta al termine dei suoi giorni, è
entrata in cielo non solo con la sua anima immacolata, ma anche con le sue
membra trasfigurate dalla luce dell’immortalità: questa è la certezza che
ispira e giustifica l’odierna letizia dei nostri cuori.Francesco Botticini, Assunzione della Vergine, 1475
Nella realtà
dell’Assunzione corporea di Maria trova
saldezza e conforto la nostra speranza per il futuro che ci attende oltre la
morte e per il nostro tribolato presente. L’Assunzione della Madonna dà
sostegno alla nostra fiducia nella vita futura, perché rappresenta la primizia e la concreta caparra della risurrezione dei
nostri corpi. Contemplando la sorte felice di Maria siamo confermati nella
piena verità dell’annuncio pasquale: la risurrezione del Figlio di Dio,
crocifisso per noi, non è un destino soltanto suo. È il sorprendente destino di
tutti i figli di Adamo che in lui sono stati riscattati e rinnovati, a
cominciare dalla sconosciuta fanciulla di Nazaret chiamata a diventare la madre
del Signore.
Maria è una
di noi, donna tra le donne: anche lei come
tutte le madri avvolse il suo bambino tra le fasce, lo nutrì al suo seno, lo
crebbe con amorosa pazienza. E un giorno, quando divenne adulto, lo vide
partire da casa, provando lo stesso struggimento che prende le mamme quando
vedono il frutto delle loro viscere andarsene per la sua strada. Se dunque una di noi, dietro a Gesù, è
entrata nel Regno dei cieli con l’integrità della sua persona, vuol dire che la
redenzione del nostro corpo (cf. Rm 8,23) è già cominciata. Oggi dunque
possiamo pronunciare con rinnovata sicurezza e con più vibrante emozione le
splendenti parole del Credo, che ci toccano così intimamente: “Aspetto la
risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”.
Nessuno però
sia tratto in inganno dalla scena di gloria che la
prima lettura, desunta dall’Apocalisse, ha delineato davanti ai nostri occhi:
“Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una
corona di dodici stelle” (Ap 12,1). Davvero questo è un “segno grandioso”, che
domina il cielo al cospetto di Dio; ma non deve farci dimenticare che
l’Assunta, pur nella sua straordinaria esaltazione, non si è allontanata da
noi. Il cielo, cui ella è salita, non è quello degli astronomi e degli
astronauti (che ancora fa parte dell’universo fisico e materiale). Il cielo,
cui ella è salita, è il mondo invisibile e più vero, dove dimora Dio coi suoi
santi; ed è vicinissimo a noi perché il Creatore non è mai remoto dalle sue
creature. Siamo noi piuttosto a esserne lontani, quando coi nostri atti usciamo
dalla verità e dall’amore del Padre.
L’Assunta ci
è dunque vicina e non è ignara o smemorata di noi. Nella luce di Dio ci vede tutti, sa tutto di noi: conosce le nostre pene
e le nostre speranze; conosce perfino i pericoli che noi con la nostra corta
vista ancora non vediamo, i nostri bisogni che ancora non arriviamo a
percepire. E anche in questo momento la
Madonna è al lavoro per noi. Perché nel cielo tutto è attività, attività
affettuosa e appassionata. Nessuno dei santi è inoperoso e tanto meno lei
che - come ci insegna il Concilio Vaticano II - “con la sua bontà materna si
prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti tra
pericoli e affanni, fino a che non siano introdotti in patria” (Lumen
gentium 62 e 65).
Perciò
possiamo e dobbiamo interessarla alle intenzioni che più ci stanno a cuore. E ciascuno di noi ha nel suo intimo qualcosa da dire e da chiedere alla
Madonna. Preghiamo soprattutto per
la pace delle genti e degli animi, in un’umanità che quanto più si allontana
dal Vangelo tanto più si fa disumana e feroce.
Preghiamo perché sia data un po’ di saggezza a un’epoca
che sembra diventare sostanzialmente insipiente e mentalmente smarrita, a
misura che vede crescere le sue spesso inutili bravure e le sue capacità di
manipolazione spericolata, di sperimentazione selvaggia, di calcoli senza buon
senso e senza misericordia.
Preghiamo perché quanti continuiamo a volerci dire
cristiani abbiamo gli occhi giusti per vedere e ammirare la bellezza, la
santità indefettibile, la forza salvifica della Chiesa, di cui Maria è “la
primizia e l’immagine”.
Preghiamo
perché tutti gli uomini senza eccezioni -
dissolti tutti gli errori, dissipate tutte le fole, oltrepassate le verità
parziali e insufficienti - riconoscano e adorino Gesù di Nazaret come l’unico
Signore, l’unico Maestro, l’unico che può riscattare le nostre esistenze dalle
mille assurdità che le soffocano e dai mille egoismi che, magari sotto il nome
di progresso civile, le snaturano e le deturpano.
Ormai alle
soglie della celebrazione bimillenaria,
ci ottenga lei un incontro davvero trasformante con il Figlio suo benedetto,
che è anche l’Unigenito eterno del Padre, e scolpisca negli animi, come regola
di tutta la nostra vita, la perfetta docilità all’esortazione che ella ha fatto
risonare al banchetto di Cana: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,5).
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