lunedì 15 agosto 2022

L’ASSUNTA, SPERANZA PER LA NOSTRA EPOCA SMARRITA

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il cardinale e arcivescovo 

GIACOMO BIFFI (1928-2015)

tenne il 15 agosto 1999, a Bologna (Villa Revedin), per la solennità dell’Assunzione di Maria.

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Oggi ci stringiamo festosi alla Vergine Maria, madre di Gesù e madre nostra, ricordando e celebrando il trionfo che ha coronato la sua umile vita: una vita intessuta di fede, di amore, di dolcezze ineffabili e di ansie pungenti, di intime gioie e di lancinanti dolori. Giunta al termine dei suoi giorni, è entrata in cielo non solo con la sua anima immacolata, ma anche con le sue membra trasfigurate dalla luce dell’immortalità: questa è la certezza che ispira e giustifica l’odierna letizia dei nostri cuori.

Francesco Botticini, Assunzione della Vergine, 1475

Nella realtà dell’Assunzione corporea di Maria trova saldezza e conforto la nostra speranza per il futuro che ci attende oltre la morte e per il nostro tribolato presente. L’Assunzione della Madonna dà sostegno alla nostra fiducia nella vita futura, perché rappresenta la primizia e la concreta caparra della risurrezione dei nostri corpi. Contemplando la sorte felice di Maria siamo confermati nella piena verità dell’annuncio pasquale: la risurrezione del Figlio di Dio, crocifisso per noi, non è un destino soltanto suo. È il sorprendente destino di tutti i figli di Adamo che in lui sono stati riscattati e rinnovati, a cominciare dalla sconosciuta fanciulla di Nazaret chiamata a diventare la madre del Signore.

Maria è una di noi, donna tra le donne: anche lei come tutte le madri avvolse il suo bambino tra le fasce, lo nutrì al suo seno, lo crebbe con amorosa pazienza. E un giorno, quando divenne adulto, lo vide partire da casa, provando lo stesso struggimento che prende le mamme quando vedono il frutto delle loro viscere andarsene per la sua strada. Se dunque una di noi, dietro a Gesù, è entrata nel Regno dei cieli con l’integrità della sua persona, vuol dire che la redenzione del nostro corpo (cf. Rm 8,23) è già cominciata. Oggi dunque possiamo pronunciare con rinnovata sicurezza e con più vibrante emozione le splendenti parole del Credo, che ci toccano così intimamente: “Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”.

Nessuno però sia tratto in inganno dalla scena di gloria che la prima lettura, desunta dall’Apocalisse, ha delineato davanti ai nostri occhi: “Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle” (Ap 12,1). Davvero questo è un “segno grandioso”, che domina il cielo al cospetto di Dio; ma non deve farci dimenticare che l’Assunta, pur nella sua straordinaria esaltazione, non si è allontanata da noi. Il cielo, cui ella è salita, non è quello degli astronomi e degli astronauti (che ancora fa parte dell’universo fisico e materiale). Il cielo, cui ella è salita, è il mondo invisibile e più vero, dove dimora Dio coi suoi santi; ed è vicinissimo a noi perché il Creatore non è mai remoto dalle sue creature. Siamo noi piuttosto a esserne lontani, quando coi nostri atti usciamo dalla verità e dall’amore del Padre.

L’Assunta ci è dunque vicina e non è ignara o smemorata di noi. Nella luce di Dio ci vede tutti, sa tutto di noi: conosce le nostre pene e le nostre speranze; conosce perfino i pericoli che noi con la nostra corta vista ancora non vediamo, i nostri bisogni che ancora non arriviamo a percepire. E anche in questo momento la Madonna è al lavoro per noi. Perché nel cielo tutto è attività, attività affettuosa e appassionata. Nessuno dei santi è inoperoso e tanto meno lei che - come ci insegna il Concilio Vaticano II - “con la sua bontà materna si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti tra pericoli e affanni, fino a che non siano introdotti in patria” (Lumen gentium 62 e 65).

Perciò possiamo e dobbiamo interessarla alle intenzioni che più ci stanno a cuore. E ciascuno di noi ha nel suo intimo qualcosa da dire e da chiedere alla Madonna. Preghiamo soprattutto per la pace delle genti e degli animi, in un’umanità che quanto più si allontana dal Vangelo tanto più si fa disumana e feroce.

Preghiamo perché sia data un po’ di saggezza a un’epoca che sembra diventare sostanzialmente insipiente e mentalmente smarrita, a misura che vede crescere le sue spesso inutili bravure e le sue capacità di manipolazione spericolata, di sperimentazione selvaggia, di calcoli senza buon senso e senza misericordia.

Preghiamo perché quanti continuiamo a volerci dire cristiani abbiamo gli occhi giusti per vedere e ammirare la bellezza, la santità indefettibile, la forza salvifica della Chiesa, di cui Maria è “la primizia e l’immagine”.

Preghiamo perché tutti gli uomini senza eccezioni - dissolti tutti gli errori, dissipate tutte le fole, oltrepassate le verità parziali e insufficienti - riconoscano e adorino Gesù di Nazaret come l’unico Signore, l’unico Maestro, l’unico che può riscattare le nostre esistenze dalle mille assurdità che le soffocano e dai mille egoismi che, magari sotto il nome di progresso civile, le snaturano e le deturpano.

Ormai alle soglie della celebrazione bimillenaria, ci ottenga lei un incontro davvero trasformante con il Figlio suo benedetto, che è anche l’Unigenito eterno del Padre, e scolpisca negli animi, come regola di tutta la nostra vita, la perfetta docilità all’esortazione che ella ha fatto risonare al banchetto di Cana: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,5).

 

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