L’ultimo giorno dell’anno civile – giorno in cui la Chiesa celebra san
Silvestro, il Papa di Costantino e del Concilio di Nicea – papa Benedetto XVI
concludeva il suo pellegrinaggio terreno.
Con la morte di Benedetto XVI,
non solo ci lascia un fine teologo e un grande intellettuale europeo, ma si
chiude un’epoca, quella del Concilio Vaticano II (e del travagliato
post-Concilio) e forse si chiude anche l’età della Chiesa come anima di una
civiltà. Con san Silvestro I la Chiesa divenne l’anima dell’Impero Romano dalla
Britannia all’Egitto, dalla penisola iberica alla Siria, dall’Atlantico al Mar
Nero, oggi la Chiesa
guidata da Jorge Mario Bergoglio ha completamente rinunciato all’idea di
plasmare, informare e guidare una civiltà. L’idea stessa di societas
christiana o di Civiltà Cristiana è estranea alla deriva
teologico-ideologica e pastorale incarnata dal pontificato di Francesco che
pare anzi proporre il
paradigma inverso con il mondo, sociologicamente inteso, elevato a luogo
teologico a cui conformare Chiesa, dottrina e predicazione.
Joseph Ratzinger, invece, come teologo e Cardinale prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede, poi come Romano Pontefice, ebbe sempre a cuore l’identità
cristiana dell’Europa e della Magna Europa, non si arrese mai all’idea
che la Civiltà Cristiana fosse da archiviare come cosa superata, sempre intese ribadire
l’inseparabilità di fede e ragione, di fede e cultura, dunque il necessario
farsi civiltà del Cristianesimo.
Molto caro al pensatore Ratzinger fu il provvidenziale incontro tra la
Divina Rivelazione e il logos greco (e il ius romano)
ovvero tra la Parola di Dio e la speculazione razionale classica capace di
raggiungere le vette della metafisica così come il rigore della dialettica e
della logica analitica, la legge morale naturale e una verace
antropologia-psicologia. Ratzinger si oppose con forza al processo di
de-ellenizzazione del Cristianesimo in atto da più di mezzo secolo nella
Chiesa, ribadì anzi la provvidenzialità dell’incontro tra classicità
greco-romana e Rivelazione biblica, incontro da cui nacque la Civiltà
Cristiana.
Sul piano morale e politico Ratzinger-Benedetto XVI denunciò il male del nichilismo che corrode l’Occidente moderno e
post-moderno, indicò nella dittatura del
relativismo la forma di un nuovo
subdolo totalitarismo, insegnò con forza la non negoziabilità (non solo sul piano morale personale ma anche
su quello pubblico giuridico e politico) di principi naturali quali la difesa della vita umana
dal concepimento alla morte naturale, il riconoscimento del matrimonio come unione monogamica
e indissolubile di un uomo e una donna aperta alla vita, la libertà educativa dei
genitori che hanno, da Dio, loro (e non lo Stato) il compito di educare
la prole. Rigoroso e forte anche il rifiuto che Ratzinger oppose all’ideologia gender e alla pretesa di
legittimare moralmente e riconoscere giuridicamente le unioni omosessuali.
In questa generosa e grandiosa opera, in questo intellettualmente possente
tentativo di arrestare il crollo della Civiltà Cristiana, di puntellarne le
mura e di iniziarne la ricostruzione, Ratzinger
cercò sempre il dialogo con la cultura europea e nord-americana più
sensibile anche se non-cattolica. Ratzinger cercò di costruire una proficua
interlocuzione con il mondo laico e non-cattolico sulla base di un comune amore
per la verità, la giustizia e la Civiltà occidentale. In questo quadro si
inserisce l’incontro, il confronto, il dialogo e l’amicizia con Marcello Pera,
illustre filosofo e politico liberale italiano.
Segue la prima parte dell'intervista a Marcello Pera, filosofo e politico liberale, fatta da don Samuele Cecotti dell'Osservatorio Cardinale Van Thuan per la Dottrina sociale della Chiesa,
Al senatore Marcello Pera, ringraziandolo per la generosa disponibilità,
rivolgiamo così alcune domande per meglio capire cosa Ratzinger abbia
rappresentato rispetto alla cultura europea e occidentale, dunque quale sia il
vuoto che la morte di Benedetto XVI lascia nella Chiesa e in Occidente.
Presidente Pera, in Italia pochi intellettuali laici possono dire di aver
conosciuto e apprezzato Benedetto XVI come lei. Come nacque il vostro rapporto
e cosa la colpì del Ratzinger pensiero?
L’incontro nacque proprio da ciò che mi aveva colpito in lui. (...) Un giorno dell’agosto 2004, lessi il libro Fede, verità,
tolleranza di Joseph Ratzinger, pubblicato da Cantagalli, e feci una
scoperta che per me, evidentemente ignorante di quel genere di studi, fu
scioccante: che il
relativismo era una corrente di pensiero diffusa anche nella teologia
cristiana. L’autorevolezza di Ratzinger, di cui avevo letto come tanti
la sua Introduzione al cristianesimo, non mi fece dubitare che
avesse ragione. Ne fui stupito e turbato: come era possibile? Che cosa era
successo, nella religione del Verbo rivelato e incarnato, perché la verità non
fosse più assoluta? Al rientro dalle vacanze, feci altre letture e chiesi
visita a Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della
Fede.... Cominciammo a parlare senza tanti preamboli o presentazioni,
di filosofia, teologia, cristianesimo. Ricordo gli argomenti, ma soprattutto i
toni dell’interlocutore, la sua figura, il suo garbo gentile e in particolare
il suo sguardo mi impressionarono.... Non ebbi dubbi: Joseph Ratzinger era un grande. Non solo perché ne sentivo la
vastità e profondità della cultura, ma per un tratto assai più prezioso: un
uomo che sa stare al pari degli altri, che discute e interroga, senza toni di
cattedra. Gli occhi non tradivano. Il sorriso non mentiva.
Da liberale laico, anzi da “gran liberale […] certamente il più illustre
politico liberal-conservatore oggi in Italia” per usare le parole che
l’arcivescovo Crepaldi le riservò a Trieste, cosa trovò in Ratzinger di
stimolante, di coinvolgente e di convincente? Ci fu una iniziale difficoltà a
comprendere e integrare nel suo sistema di pensiero il pensare teologico di
Ratzinger oppure ci fu subito una convergenza di idee?
Nessuna difficoltà di comprensione, ma immediata
consonanza di idee. Mi era ben chiaro che, se il relativismo fa male alla
scienza, perché la riduce solo a una “cultura”, una “tradizione”, una
“narrazione”, il relativismo teologico e religioso ha conseguenze perniciose
sul cristianesimo. Se la
verità è relativa, Cristo redentore dell’umanità è privo di senso. Non
solo. Non era passato molto tempo dall’11 settembre 2001: se il cristianesimo
fosse solo una cultura fra tante, la civiltà cristiana non avrebbe particolari
fondamenti e meriti. E allora avevano ragione i terroristi islamici a
considerarci imperialisti e a combatterci in quanto “giudei e cristiani”. Si
ricordi e si rifletta: venivamo
considerati colpevoli non tanto per il nostro fare, ma per il nostro essere.
Ora, puoi dirti laico quanto vuoi, puoi diventare sordo e anche stimpanato al
messaggio di Cristo questo era un dato inaccettabile: il cristianesimo era un
nemico!
Solo che il cristianesimo non è una fede e basta, è
una fede che ha tenuto a battesimo una civiltà: quella della dignità degli
uomini, della libertà, della responsabilità, dell’uguaglianza. Abbattete il
cristianesimo e avrete distrutto questa civiltà. Relegate la fede cristiana al
ruolo di una narrazione e avrete perso il nostro fondamento. E anche la nostra
identità: perché se gli altri ti colpiscono perché sei giudeo e cristiano e tu
non dai alcun peso a questo tuo essere, allora gli altri sono qualcuno e tu non
sei nessuno, non avendo niente da difendere. Questa è la lezione, del tutto
personale, che io trassi dalla tragedia dell’11 settembre e che mi rafforzai
durante gli incontri con Ratzinger. Lui aveva lucidità e coraggio. (...)
Politicamente il Magistero di Benedetto XVI avrebbe potuto ispirare una
rinnovata identità culturale euro-occidentale cristiana e avrebbe potuto
offrirsi come pensiero di riferimento per quanti non si riconoscono
nell’universo ideologico progressista, nel relativismo etico e nel globalismo
apolide, ovvero per le forze conservatrici e identitarie di Europa, Stati Uniti
e America latina. A suo giudizio, come risposero le forze politico-culturali
conservatrici/identitarie europee e americane all’estremo appello di Benedetto
XVI? Furono all’altezza della sfida? Cosa impedì, secondo lei, un risveglio
politico-culturale cristiano in Italia e in Europa tale da corrispondere
all’appello di Benedetto?
“Avete perduto una grande occasione”, mi disse una volta, quando ormai era
emerito, e noi di centro-destra avevamo perduto il governo. Gli replicai con
sincerità e anche amarezza: “è
vero, ma neppure la Chiesa ci ha aiutato”. Perché di
chiese cristiane cattoliche ce ne erano già due all’epoca del suo pontificato:
la sua, del cristianesimo come salvezza, e quella dei più, secolarizzata, del
cristianesimo come giustizia. Come nell’affresco della scuola di
Atene: una col dito e lo sguardo in alto, l’altra in basso. L’una che voleva correggere il mondo,
l’altra che andava incontro e assorbiva il mondo, col pretesto di “aggiornarsi”.
Benedetto XVI ebbe il conforto di tanti che aveva chiamato a raccolta col nome
di “minoranze creative”, fu appoggiato da intellettuali laici, fu sostenuto
negli Stati Uniti dal presidente Bush. Ma il sostegno era timido, serpeggiava
la paura, la circospezione, la prudenza. Fino a che, dopo la lezione di
Ratisbona, tutto precipitò. Nessun capo di stato o di governo si alzò a
difendere Benedetto XVI, a dire che non
era questione di libertà di religione dell’islam, ma degli strumenti violenti
che l’islam usava e non rinnegava. Ancora in questi giorni mi è capitato di
leggere una signora sopracciò che dice che Ratzinger citava Manuele il
Paleologo “fuori contesto”! E così per mancanza di coraggio, paura e codardia,
calcolo e furbizia, le cose andarono male. Il Papa che aveva tenuti
sull’attenti i partecipanti al collegio dei Bernardini a Parigi, nella
Westminster Hall a Londra, al Reichstag di Berlino, che aveva condotto il laico
presidente Sarkozy a dire a Roma che la Francia è cristiana, che aveva sfidato
i laici sulle radici dell’Europa in una sala del Senato italiano, fu
abbandonato. Fu costretto a spiegarsi, a giustificarsi, ad aggiungere note a
piè di pagina. Se quella era una guerra di civiltà, allora la civiltà cristiana
si ritirava. Difficile spiegare perché le cose siano andate così. Io penso che la bomba ad orologeria
innescata col Vaticano II, e che Woytila e Ratzinger avevano cercato di
disinnescare con la loro ermeneutica della continuità, infine sia esplosa. Si sono aperte la cataratte, al
punto che oggi siamo alla Madre Terra, cioè alla rinascita del paganesimo, e al
sincretismo. Sento
ancora parlare di Dio, ma poco di Cristo; sento dire che la misericordia e il perdono prevalgono sul
giudizio; non sento più l’espressione “peccato originale”. Stiamo
tornando ai bei tempi russoviani, dell’uomo buono, angelico, incorrotto,
vittima incolpevole della cultura perversa. O ai tempi di Pelagio, dell’uomo
che ce la fa con le sue sole forze. Come se la Caduta fosse un mito. Con la
colpevole complicità della chiesa, i secolaristi stanno vincendo.
(segue nel prossimo post)