giovedì 19 gennaio 2023

MARCELLO PERA, BENEDETTO XVI E L’AUTODEMOLIZIONE DELL’OCCIDENTE.

 L’ultimo giorno dell’anno civile – giorno in cui la Chiesa celebra san Silvestro, il Papa di Costantino e del Concilio di Nicea – papa Benedetto XVI concludeva il suo pellegrinaggio terreno.


Con la morte di Benedetto XVI, non solo ci lascia un fine teologo e un grande intellettuale europeo, ma si chiude un’epoca, quella del Concilio Vaticano II (e del travagliato post-Concilio) e forse si chiude anche l’età della Chiesa come anima di una civiltà. Con san Silvestro I la Chiesa divenne l’anima dell’Impero Romano dalla Britannia all’Egitto, dalla penisola iberica alla Siria, dall’Atlantico al Mar Nero, oggi la Chiesa guidata da Jorge Mario Bergoglio ha completamente rinunciato all’idea di plasmare, informare e guidare una civiltà. L’idea stessa di societas christiana o di Civiltà Cristiana è estranea alla deriva teologico-ideologica e pastorale incarnata dal pontificato di Francesco che pare anzi proporre il paradigma inverso con il mondo, sociologicamente inteso, elevato a luogo teologico a cui conformare Chiesa, dottrina e predicazione.

Joseph Ratzinger, invece, come teologo e Cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, poi come Romano Pontefice, ebbe sempre a cuore l’identità cristiana dell’Europa e della Magna Europa, non si arrese mai all’idea che la Civiltà Cristiana fosse da archiviare come cosa superata, sempre intese ribadire l’inseparabilità di fede e ragione, di fede e cultura, dunque il necessario farsi civiltà del Cristianesimo.

Molto caro al pensatore Ratzinger fu il provvidenziale incontro tra la Divina Rivelazione e il logos greco (e il ius romano) ovvero tra la Parola di Dio e la speculazione razionale classica capace di raggiungere le vette della metafisica così come il rigore della dialettica e della logica analitica, la legge morale naturale e una verace antropologia-psicologia. Ratzinger si oppose con forza al processo di de-ellenizzazione del Cristianesimo in atto da più di mezzo secolo nella Chiesa, ribadì anzi la provvidenzialità dell’incontro tra classicità greco-romana e Rivelazione biblica, incontro da cui nacque la Civiltà Cristiana.

Sul piano morale e politico Ratzinger-Benedetto XVI denunciò il male del nichilismo che corrode l’Occidente moderno e post-moderno, indicò nella dittatura del relativismo la forma di un nuovo subdolo totalitarismo, insegnò con forza la non negoziabilità (non solo sul piano morale personale ma anche su quello pubblico giuridico e politico) di principi naturali quali la difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale, il riconoscimento del matrimonio come unione monogamica e indissolubile di un uomo e una donna aperta alla vita, la libertà educativa dei genitori che hanno, da Dio, loro (e non lo Stato) il compito di educare la prole. Rigoroso e forte anche il rifiuto che Ratzinger oppose all’ideologia gender e alla pretesa di legittimare moralmente e riconoscere giuridicamente le unioni omosessuali.

In questa generosa e grandiosa opera, in questo intellettualmente possente tentativo di arrestare il crollo della Civiltà Cristiana, di puntellarne le mura e di iniziarne la ricostruzione, Ratzinger cercò sempre il dialogo con la cultura europea e nord-americana più sensibile anche se non-cattolica. Ratzinger cercò di costruire una proficua interlocuzione con il mondo laico e non-cattolico sulla base di un comune amore per la verità, la giustizia e la Civiltà occidentale. In questo quadro si inserisce l’incontro, il confronto, il dialogo e l’amicizia con Marcello Pera, illustre filosofo e politico liberale italiano.

Segue la prima parte dell'intervista a Marcello Pera, filosofo e politico liberale, fatta da don Samuele Cecotti dell'Osservatorio Cardinale Van Thuan per la Dottrina sociale della Chiesa,

Al senatore Marcello Pera, ringraziandolo per la generosa disponibilità, rivolgiamo così alcune domande per meglio capire cosa Ratzinger abbia rappresentato rispetto alla cultura europea e occidentale, dunque quale sia il vuoto che la morte di Benedetto XVI lascia nella Chiesa e in Occidente.

Presidente Pera, in Italia pochi intellettuali laici possono dire di aver conosciuto e apprezzato Benedetto XVI come lei. Come nacque il vostro rapporto e cosa la colpì del Ratzinger pensiero?

L’incontro nacque proprio da ciò che mi aveva colpito in lui. (...) Un giorno dell’agosto 2004, lessi il libro Fede, verità, tolleranza di Joseph Ratzinger, pubblicato da Cantagalli, e feci una scoperta che per me, evidentemente ignorante di quel genere di studi, fu scioccante: che il relativismo era una corrente di pensiero diffusa anche nella teologia cristiana. L’autorevolezza di Ratzinger, di cui avevo letto come tanti la sua Introduzione al cristianesimo, non mi fece dubitare che avesse ragione. Ne fui stupito e turbato: come era possibile? Che cosa era successo, nella religione del Verbo rivelato e incarnato, perché la verità non fosse più assoluta? Al rientro dalle vacanze, feci altre letture e chiesi visita a Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.... Cominciammo a parlare senza tanti preamboli o presentazioni, di filosofia, teologia, cristianesimo. Ricordo gli argomenti, ma soprattutto i toni dell’interlocutore, la sua figura, il suo garbo gentile e in particolare il suo sguardo mi impressionarono.... Non ebbi dubbi: Joseph Ratzinger era un grande. Non solo perché ne sentivo la vastità e profondità della cultura, ma per un tratto assai più prezioso: un uomo che sa stare al pari degli altri, che discute e interroga, senza toni di cattedra. Gli occhi non tradivano. Il sorriso non mentiva.

Da liberale laico, anzi da “gran liberale […] certamente il più illustre politico liberal-conservatore oggi in Italia” per usare le parole che l’arcivescovo Crepaldi le riservò a Trieste, cosa trovò in Ratzinger di stimolante, di coinvolgente e di convincente? Ci fu una iniziale difficoltà a comprendere e integrare nel suo sistema di pensiero il pensare teologico di Ratzinger oppure ci fu subito una convergenza di idee?

Nessuna difficoltà di comprensione, ma immediata consonanza di idee. Mi era ben chiaro che, se il relativismo fa male alla scienza, perché la riduce solo a una “cultura”, una “tradizione”, una “narrazione”, il relativismo teologico e religioso ha conseguenze perniciose sul cristianesimo. Se la verità è relativa, Cristo redentore dell’umanità è privo di senso. Non solo. Non era passato molto tempo dall’11 settembre 2001: se il cristianesimo fosse solo una cultura fra tante, la civiltà cristiana non avrebbe particolari fondamenti e meriti. E allora avevano ragione i terroristi islamici a considerarci imperialisti e a combatterci in quanto “giudei e cristiani”. Si ricordi e si rifletta: venivamo considerati colpevoli non tanto per il nostro fare, ma per il nostro essere. Ora, puoi dirti laico quanto vuoi, puoi diventare sordo e anche stimpanato al messaggio di Cristo questo era un dato inaccettabile: il cristianesimo era un nemico!

Solo che il cristianesimo non è una fede e basta, è una fede che ha tenuto a battesimo una civiltà: quella della dignità degli uomini, della libertà, della responsabilità, dell’uguaglianza. Abbattete il cristianesimo e avrete distrutto questa civiltà. Relegate la fede cristiana al ruolo di una narrazione e avrete perso il nostro fondamento. E anche la nostra identità: perché se gli altri ti colpiscono perché sei giudeo e cristiano e tu non dai alcun peso a questo tuo essere, allora gli altri sono qualcuno e tu non sei nessuno, non avendo niente da difendere. Questa è la lezione, del tutto personale, che io trassi dalla tragedia dell’11 settembre e che mi rafforzai durante gli incontri con Ratzinger. Lui aveva lucidità e coraggio. (...)

Politicamente il Magistero di Benedetto XVI avrebbe potuto ispirare una rinnovata identità culturale euro-occidentale cristiana e avrebbe potuto offrirsi come pensiero di riferimento per quanti non si riconoscono nell’universo ideologico progressista, nel relativismo etico e nel globalismo apolide, ovvero per le forze conservatrici e identitarie di Europa, Stati Uniti e America latina. A suo giudizio, come risposero le forze politico-culturali conservatrici/identitarie europee e americane all’estremo appello di Benedetto XVI? Furono all’altezza della sfida? Cosa impedì, secondo lei, un risveglio politico-culturale cristiano in Italia e in Europa tale da corrispondere all’appello di Benedetto?

“Avete perduto una grande occasione”, mi disse una volta, quando ormai era emerito, e noi di centro-destra avevamo perduto il governo. Gli replicai con sincerità e anche amarezza: “è vero, ma neppure la Chiesa ci ha aiutato”. Perché di chiese cristiane cattoliche ce ne erano già due all’epoca del suo pontificato: la sua, del cristianesimo come salvezza, e quella dei più, secolarizzata, del cristianesimo come giustizia. Come nell’affresco della scuola di Atene: una col dito e lo sguardo in alto, l’altra in basso. L’una che voleva correggere il mondo, l’altra che andava incontro e assorbiva il mondo, col pretesto di “aggiornarsi. Benedetto XVI ebbe il conforto di tanti che aveva chiamato a raccolta col nome di “minoranze creative”, fu appoggiato da intellettuali laici, fu sostenuto negli Stati Uniti dal presidente Bush. Ma il sostegno era timido, serpeggiava la paura, la circospezione, la prudenza. Fino a che, dopo la lezione di Ratisbona, tutto precipitò. Nessun capo di stato o di governo si alzò a difendere Benedetto XVI, a dire che non era questione di libertà di religione dell’islam, ma degli strumenti violenti che l’islam usava e non rinnegava. Ancora in questi giorni mi è capitato di leggere una signora sopracciò che dice che Ratzinger citava Manuele il Paleologo “fuori contesto”! E così per mancanza di coraggio, paura e codardia, calcolo e furbizia, le cose andarono male. Il Papa che aveva tenuti sull’attenti i partecipanti al collegio dei Bernardini a Parigi, nella Westminster Hall a Londra, al Reichstag di Berlino, che aveva condotto il laico presidente Sarkozy a dire a Roma che la Francia è cristiana, che aveva sfidato i laici sulle radici dell’Europa in una sala del Senato italiano, fu abbandonato. Fu costretto a spiegarsi, a giustificarsi, ad aggiungere note a piè di pagina. Se quella era una guerra di civiltà, allora la civiltà cristiana si ritirava. Difficile spiegare perché le cose siano andate così. Io penso che la bomba ad orologeria innescata col Vaticano II, e che Woytila e Ratzinger avevano cercato di disinnescare con la loro ermeneutica della continuità, infine sia esplosa. Si sono aperte la cataratte, al punto che oggi siamo alla Madre Terra, cioè alla rinascita del paganesimo, e al sincretismo. Sento ancora parlare di Dio, ma poco di Cristo; sento dire che la misericordia e il perdono prevalgono sul giudizio; non sento più l’espressione “peccato originale”. Stiamo tornando ai bei tempi russoviani, dell’uomo buono, angelico, incorrotto, vittima incolpevole della cultura perversa. O ai tempi di Pelagio, dell’uomo che ce la fa con le sue sole forze. Come se la Caduta fosse un mito. Con la colpevole complicità della chiesa, i secolaristi stanno vincendo.

(segue nel prossimo post)

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