APOLOGIA DELLA #LIBERTÀ (CHE NOI NON SOPPORTIAMO E DIO INVECE AMA).
Una volta, quando esisteva la Repubblica Italiana, si credeva che vigesse una Costituzione fondata sul principio che «la libertà personale è inviolabile» (art. 13, comma 1). Una conseguenza diretta ed essenziale di tale principio è quella dichiarata all’articolo 15 comma 1 della stessa Carta: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili». Poiché anche i costituenti avevano notizia del peccato originale e del fatto che, di conseguenza, il mondo in cui viviamo non è perfetto come l’aveva pensato Dio, essi si premurarono di scrivere nello stesso articolo un secondo comma così composto: «La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge». Il tenore di questo dettato costituzionale è chiaro, a chiunque sappia leggere: spiare le persone è male, ma talvolta – quando non se ne può fare a meno – “per atto motivato dell’autorità giudiziaria”, cioè portando delle ragioni convincenti, lo si può fare, ma sempre e solo “con le garanzie stabilite dalla legge”.
Nel
regime in cui siamo adesso, che non saprei come definire e come
denominare, quella chiarezza è andata completamente perduta, non solo nelle
menti degli attori del dibattito politico ma, temo, soprattutto in quella del
popolo (se ancora esiste). Non
si spiega altrimenti la stortura dell’attuale discussione sulle
intercettazioni, che prescinde totalmente dalla preliminare e imprescindibile
affermazione condivisa che esse sono un male. Qualunque
intercettazione, di per sé, è un male perché
lede il fondamentale diritto a non essere spiati, che a sua volta è un presidio
indispensabile della libertà personale. Una delle discriminanti tra la
condizione del cittadino in un stato democratico e liberale e quella del
suddito di un regime totalitario è la garanzia di non essere spiato. Pensando
alla nostra attuale situazione, ognuno si domandi a quale gradino della scala
che porta dall’uno all’altro sistema noi ci troviamo.
Una
volta stabilito che sono un male – ma bisognerebbe dirlo pensandoci bene
e credendoci sul serio – si può
senz’altro convenire che in certi casi le intercettazioni siano un male
necessario a prevenire danni maggiori e che dunque in certi casi si debbano
consentire, nelle forme e con le garanzie previste dalla costituzione
repubblicana. Ma il dibattito, impostato così, avrebbe uno svolgimento assai
diverso da quello che stiamo vedendo. Non sono un lettore di giornali né un
appassionato di spettacoli televisivi di intrattenimento politico, quindi è
probabile che mi sbagli, ma a mia conoscenza l’unico che abbia fatto
un’osservazione che va in questo senso è stato Mattia Feltri, il quale sulla Stampa (!) qualche giorno fa ha avuto
l’onestà di porre questa domanda:
«Se
si trovasse il modo di intercettare ognuno di noi, fino all’ultimo, per
ventiquattro ore su ventiquattro, magari con il supporto dell’intelligenza
artificiale, la questione sarebbe chiusa: diventeremmo una società
perfettamente onesta, e i pochi imprudenti andrebbero a far compagnia a Messina
Denaro in un quarto d’ora. Avremmo perduto la libertà, ma avremmo guadagnato la
sicurezza. Ed è questa la vera grande domanda: abbiamo costruito le società
liberali e democratiche per garantire il massimo della libertà a ogni individuo
o le abbiamo costruite per garantirgli il massimo della sicurezza? Le abbiamo
costruite per la libertà sapendo che la libertà è un rischio o le abbiamo
costruite per non correre rischi? Perché se pensiamo di averle costruite per
blindarci dentro un fortino inespugnabile, vuol dire che abbiamo dimenticato le
ragioni dei nostri valori fondanti, ma almeno dobbiamo dircelo».
Facendo una politica del terrore e agitando il feticcio della sicurezza (di non ammalarsi, in quel caso), i nostri governanti hanno minato altri principi costituzionali come il diritto al lavoro (art. 4), il diritto alla libertà di movimento (art. 16), il diritto a non essere obbligati a subire un trattamento sanitario «se non per disposizione di legge» (art. 32). Per carità, sul menu questi piatti ci sono ancora, ma sono di quelli che si possono ordinare solo per concessione del cuoco, quando non vi siano “emergenze” che li rendono improponibili. E le “emergenze”, come ormai dovremmo aver capito tutti, ci sono sempre
Zenos Frudakis : FREEDOM, Philadelphia |
Quanto poi al diritto sancito dall’art. 21:
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», beh è ormai passata,
nella convinzione comune, l’idea
che tale libertà valga solo per le “opinioni accettabili”, le “idee perbene”
(cioè quelle che non hanno alcun bisogno di tutela perché sono così conformi
alla corrente che galleggiano da sole). Per sicurezza (di nuovo questa
ossessione securitaria), le idee brutte, quelle cattive, è meglio
criminalizzarle. Adesso poi che siamo in guerra …
La verità è che della libertà non frega
più niente a nessuno, o quasi. C’è un
nesso profondo, a mio modo di vedere, tra questa tragica perdita di stima per
la libertà e l’abbandono della fede nell’Occidente che un tempo fu cristiano. Il
Dio del cristianesimo, infatti, è il supremo amante della libertà dell’uomo,
l’unico che, su questo punto, è davvero inflessibile: l’ha data a tutte le
creature razionali, la rispetta rigorosamente – direi quasi che la venera, se
di Dio si potesse mai dire una cosa simile – e non ci ascolta mai quando lo
imploriamo di riprendersela (come facciamo continuamente).
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