martedì 24 gennaio 2023

COSA SPINGE UN GIOVANE A DIVENTARE FRATE DOMENICANO?

 Massimo Camisasca su Tempi

Ecco come mi hanno risposto alcuni frati studenti della Provincia del Nord Italia dell’Ordine. Dall'anticlericale al cattolico tiepido, ecco cosa mi hanno detto

Per i lettori di Tempi mi sono recato a Bologna, alla Basilica di san Domenico. Nella chiesa, in un grande altare laterale sulla destra, sono raccolte le spoglie di san Domenico, il santo padre fondatore dell’Ordine. A Bologna aveva trascorso gli ultimi tempi della sua vita. Nel convento accanto alla chiesa è spirato il 6 agosto del 1221. All’Arca di san Domenico ha collaborato anche un giovanissimo Michelangelo Buonarroti.

Bologna Basilica di San Domenico

Lo scopo principale del mio viaggio è stato incontrare alcuni frati studenti della Provincia del Nord Italia dell’Ordine. Mi aveva colpito leggere che molti ragazzi erano stati attratti dal rinnovamento vissuto nei conventi del Nord Italia e desideravo, perciò, conoscerli da vicino.

Nel convento di Bologna la Liturgia delle Ore è semplice e curata. Tutti cantano in coro, in italiano, riservando la lingua latina alle antifone e agli inni. La sera, dopo i vesperi, si rinnova ogni giorno una tradizione secolare: i frati, in fila, cantano la Salve Regina recandosi a un’immagine della Madonna, nel silenzio della chiesa, e poi all’Arca del santo cantando un antico inno latino a lui dedicato. Nello stesso convento ha sede lo Studio teologico dove i giovani frati si preparano ad una vita di predicazione. Oltre che nel coro, nel refettorio, nelle pause di riposo, emerge l’importanza della vita comune, dove ogni fratello diventa a poco a poco per gli altri un segno efficace della volontà di Cristo a riguardo della loro stessa esistenza.

A quei giovani, la maggior parte di loro ha tra i 25 e i 35 anni, ho posto alcune domande. Trascrivo le loro risposte lasciando al lettore di immedesimarsi, attraverso di esse, nelle loro vocazioni personali.

Cosa ti ha portato qui? Cosa ti ha attratto di questa vita?

a) «Sono stato attratto dalla vita comune e della chiarezza dell’impostazione teologica che ho trovato qui. È stato decisivo per me l’incontro con san Tommaso. Devo invece a san Domenico la mia vocazione missionaria, un grande desiderio di predicazione attraverso cui esprimere i frutti dello studio».

b) «Io stavo studiando informatica e non avevo nessuna idea di entrare nella vita religiosa. Attraverso la scienza sono arrivato a Pascal e alla filosofia, e da qui alla teologia. Ho conosciuto i santi Alberto Magno, Tommaso e Caterina. Pensavo comunque di proseguire i miei studi e concluderli. Sono entrato però improvvisamente in un periodo di crisi. Gli approfondimenti della fede che vivevo, si scontravano fortemente con ciò che vedevo nei miei compagni di università. Questo mi interrogava: che cos’era importante per la vita? Non riuscivo più a trovare uno scopo in quello che facevo. Sono tornato, così, ai santi domenicani che avevo incontrato. In loro ho trovato una risposta alla mia esigenza di verità».

c) «Sono il maestro dei frati studenti, sono di Bologna. Vent’anni fa mi ha portato qui una vocazione inaspettata, iniziata con il Giubileo del Duemila. Non ero praticante. Il Giubileo mi ha fatto considerare il posto di Cristo nella mia vita. Nello specifico di Cristo crocifisso. Ho visto un segno per me negli apostoli e in alcuni santi che davano la loro vita per Cristo. Così ho desiderato farlo anch’io. Mi capitò di entrare in questa chiesa [San Domenico a Bologna, ndr.], di confessarmi e di trovare delle risposte non banali alle mie domande. Da quel momento sono tornato qui continuando a farmi delle domande».

d) «Non so dire come si sia palesata a me la mia vocazione, se non come una mano che si protende nel buio. Io ero estremamente lontano dalla fede. Avevo rigettato completamente tutta l’educazione cattolica impartitami in famiglia. Questa lontananza si era acuita con lo studio della filosofia a scuola. Consumatasi questa rottura completa, non mi interessava più nulla e nessuno. Improvvisamente mi ritrovai però a dover chiedere aiuto perché non riuscivo con le mie sole forze ad affrontare certe difficoltà. Ritornai così a riconsiderare quel Dio di cui mi avevano parlato i miei genitori. Il mio problema non era tanto il superamento degli esami, ma il non riuscire a vivere. Ritornato alla “Verità” non volevo però viverla. Perché la Verità costa. La Verità è attraente, ma c’è sempre la possibilità di dire di no. Andai a confessarmi da un padre domenicano, il quale mi disse senza mezzi termini ma con grande carità che non potevo vivere così. Questo incontro fu per me decisivo perché compresi che la verità non è una clava che si abbatte senza misericordia su di noi».

Beato Angelico: San Domenico in orazione
Convento di San Marco, Firenze
e) «Durante il liceo, in un paese della Valsugana, mi sono ritrovato in una classe di studenti anticlericali. Questo mi ha obbligato a riscoprire ciò che mi era stato dato dai miei genitori. Attraverso l’insegnante di latino e di italiano ho capito cosa volesse dire vivere per Cristo, dare la vita per lui. Rimasi affascinato da questa testimonianza di vita. In quegli anni ero ossessionato dalla domanda se la vita, con tutti i suoi semi di bontà, i suoi affetti, le amicizie, i progetti, sia destinata a finire nel vuoto, a piombare nel nulla, come sostenevano i miei compagni, oppure sia lecito sperare. La mia ricerca non è stata solitaria, ero accompagnato da questa insegnante di Comunione e Liberazione che è morta qualche anno fa. Mi ha portato qui, in convento, la certezza che nella vita comune c’è una continua ricerca della Verità. Un aspetto che ha sempre toccato la mia vita è la liturgia vissuta in modo partecipato e sobrio. Il luogo in cui è possibile sensibilmente fare esperienza di Dio».

f) «Sono di Bologna, la mia famiglia è cattolica. I miei genitori, senza che ne fossi consapevole, avevano studiato qui teologia, trasmettendo quanto avevano appreso nell’impostazione della nostra famiglia. Una serie di lutti familiari mi hanno posto la domanda: è vero che Cristo è risorto? Mi avevano insegnato un grande rispetto per la Madonna, perché lei porta sempre le preghiere dei suoi figli a Dio. Grazie alla preghiera alla Madonna e l’aiuto dei miei familiari, ho compreso che Cristo c’è e che la morte non è l’ultima parola della vita. Fu il punto di svolta della mia esistenza. L’incontro con un padre domenicano mi fece decidere a dare la vita per annunciare che Cristo vince la morte».

g) «Mi ha portato qui la ricerca della misericordia di Dio e il desiderio di imparare ad amare. San Domenico gioiva con chi era nella gioia e soffriva con chi era nella sofferenza. Si abbassava per entrare nella vita dell’altro. Questo mi ha colpito. In un momento particolare della mia vita mi sono consacrato a Maria. Tutto è nato da lì».

Cosa hai trovato qui?

a) «Il giorno dei miei voti semplici ero turbato da molte preoccupazioni e dolori. Mi sono messo nelle mani di Dio. Ho pensato: “Oggi la tua veste ti appare dolorosa in ragione del sacrificio. Un giorno sarà bella”».

b) «Ho trovato la misericordia di Dio nella misericordia dei fratelli. E poi la conoscenza di me stesso: noi siamo tutti voluti da Dio e mandati da lui. Ognuno di noi è un roveto ardente di fronte a cui togliersi le scarpe».

c) «L’Ordine Domenicano è il compimento di ciò che il mondo cerca e l’antitesi di ciò che vive. Trovo qui armonia, amicizia, pace. Nonostante le nostre fatiche, esiste la realtà dell’Ordine: vita comune tesa alla ricerca della verità, nel perdono reciproco e nella liturgia. È Dio che ci guida e ci porta all’unità. Non potrei essere altrove. Stare fuori mi dà un senso di desolazione».

d) «Ho trovato grande realismo: la vita cristiana si verifica nella vita quotidiana. La vita comune è un antidoto ad ogni idealizzazione sbagliata, è un richiamo costante, anche nelle nostre ferite, al bisogno di Dio, a una conoscenza per esperienza. Così si sono amplificate per me le occasioni di incontro con Cristo e io sono diventato più capace di giudizio».

e) «Non siamo una comunità di perfetti, ma di perfettibili. Essere umani che la grazia sorregge e aiuta. I fratelli si abbandonano a Cristo ed egli agisce in loro. Non dobbiamo mai dimenticare che tutti abbiamo dei limiti, siamo perciò anche causa di fatiche per gli altri».

f) «Ho trovato un torrente di doni. Potevo finalmente “stare con Dio”. Lui mi aveva ritrovato non sono perciò solo, mai. Alle mie spalle ci sono 800 anni di sapienza, cibo già masticato. Sono aiutato ad una certa regolarità, io che altrimenti sarei un irregolare».

g) «In questa casa ho trovato strumenti di vita importanti: la Regola, la liturgia corale, la vita comune, lo studio. E poi maestri che mi aiutano a vivere con equilibro queste strade.

Come si coniugano nella vostra vita verità e carità?

a) «Conoscere e amare non possono essere mai disgiunti: il fuoco sempre illumina e scalda. L’amore non vero che il mondo insegna ci distruggerà se non sarà educato».

b) «La mia vita è stata sempre una ricerca della verità. Sono convinto che la prima carità è la verità su di noi stessi. Oggi riconosco che non sono io a decidere il fine della mia vita, mi riconosco limitato mentre prima pensavo di essere senza limiti».

c) «Tante persone fanno fatica e sentirsi amate da Dio. Per questo Egli ha voluto intrattenersi con noi».

Qual è il posto dello studio e della vita comune nelle vostre esistenze?

a) «Lo studio è necessario alla mia crescita: mi aiuta a vedere le cose in modo profondo. Educa le mie parole perché tocchino la vita delle altre persone. Attraverso di esse posso trasmettere ciò che ha toccato me».

b) «La vita comune rende vero lo studio perché permette un continuo confronto con i fratelli. Infine, lo studio è preghiera, perché ci porta a Dio. Aiuta a far chiarezza su noi stessi e ci rende annunciatori. Il dialogo con i miei fratelli a tavola è dedicato il più delle volte ai temi emersi nello studio. Dobbiamo stare attenti: il Signore non ci chiede di diventare professori, ma annunciatori».

c) «Nessuno può dirsi amico di Cristo se non si dedica a conoscerlo. Lo studio è conoscenza di Cristo. La vita comune mi ha aiutato a trovare un metodo per studiare».

Cosa senti più urgente per la Chiesa?

a) «Pronunciare più esplicitamente il nome di Cristo. Quel nome ha una potenza, agisce, fa quel che deve fare. Spesso la nostra missione manca di Colui che deve essere portato».

b) «La Chiesa deve essere una madre che parla di suo Figlio. La verità di questo Figlio non può essere mai banalizzata o appiattita».

 


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