venerdì 3 febbraio 2023

1914 L’EUROPA ENTRÒ IN GUERRA “A SUA INSAPUTA”

 DA “IL MONDO DI IERI” di STEPHEN ZWEIG

Molto più che semplice autobiografia, «Il mondo di ieri» è il ritratto di un'epoca scomparsa, la suprema epopea di quella "Felix Austria" che tanto segnò la storia e la cultura europea, quel mondo nel quale «ognuno sapeva quanto possedeva e quanto gli era dovuto, quel che era permesso e quel che era proibito: in cui tutto aveva una sua norma, un peso e una misura precisi». Al centro di tutto sta la Vienna imperiale, simbolo di un'epoca indimenticabile che Zweig – esponente di una generazione che «ha imparato a fondo l'arte preziosa di non rimpiangere il perduto» – descrive in tutto il suo splendore e in tutte le sue contraddizioni. In queste pagine Zweig descrive lo stato d’animo degli europei prima dello scoppio della guerra del 1914. Se posso permettermi, oggi ci troviamo proprio nella situazione di una catastrofe bellica, ma siamo talmente addormentati, ormai, che nemmeno questa è capace di scuoterci

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(..) In Austria, per vero dire, dopo la morte violenta del principe ereditario, ci si era da un pezzo avvezzati all'idea che il vecchio imperatore, solo ed incrollabile, sarebbe sopravvissuto alla sua stirpe di Tantalo. In poche settimane il nome e la figura di Francesco Ferdinando sarebbero sparite per sempre dalla storia. (…)

Si accusava il governo serbo di complicità e si diceva che l'Austria non poteva lasciare impunito l'assassinio del suo - tanto amato! - successore al trono. Non si poteva sottrarsi all'impressione che stesse preparandosi attraverso alla stampa qualche azione. ma nessuno pensava ad una guerra. Né le banche, né le aziende, né i privati mutarono le loro disposizioni: che cosa ci importavano le eterne contese con la Serbia, sorte in fondo, come ben sapevamo, soltanto a proposito di certi accordi commerciali circa l'esportazione dei porci dalla Serbia? I miei bagagli eran già pronti per il viaggio nel Belgio, da Verhaeren, il mio lavoro procedeva bene: che cosa aveva a che fare con la mia vita il morto arciduca? 

L'estate era più bella che mai, noi tutti guardavamo il mondo senza preoccupazione. Ricordo che l'ultimo giorno, passando con un amico per i vigneti di Baden, sentii dire da un vecchio vignaiuolo: "Un'estate come questa non l'abbiamo avuta da un pezzo. Se dura così, avremo un vino straordinario e la gente dovrà ricordarsi di questa annata!" Non poteva sapere, il bravo vecchio in blusa azzurra da vignaiuolo, quale tragica verità egli avesse proclamata! Anche a Le Coq, la piccola stazione di bagni vicino ad Ostenda, dove intendevo passare un paio di settimane, prima di essere, come ogni anno, ospite nella villetta di Verhaeren, regnava la stessa spensieratezza. I bagnanti popolavano la spiaggia sotto le tende variegate, i bimbi mandavano in aria gli aquiloni, davanti ai caffè, sulla diga, i giovani ballavano. Erano riunite pacificamente tutte le nazioni ma si sentiva parlar soprattutto tedesco, perché come ogni anno la vicina Renania mandava di preferenza i suoi ospiti estivi alle spiagge belghe.

 L'unico fastidio veniva dai giornalai che, per aumentare la vendita, urlavano i titoli minacciosi dei giornali parigini: "L'Autriche provoque la Russie", L'Allemagne prépare la mobilisation". Si vedevano i volti annuvolarsi mentre leggevano il foglio, ma sempre soltanto per pochi minuti. Ognuno in fondo conosceva da anni tali conflitti diplomatici: erano sempre stati risolti felicemente all'ultimo momento, prima che le cose si facessero gravi. Perché non sarebbe stato così anche questa volta? Mezz'ora più tardi la stessa gente tornava a buttarsi allegramente fra le onde, gli aquiloni si alzavano al vento, passavano i gabbiani ed il sole rideva calmo sul pacifico paesaggio. Ma le brutte notizie si moltiplicarono e si fecero sempre più minacciose.

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La generazione d'oggi, che ha assistito soltanto allo scoppio della seconda guerra mondiale, si domanderà forse: perché noi non abbiamo veduto tutto questo? E perché nel 1939 non divampò l'estasi delle masse come nel 1914? Perché queste risposero alla chiamata austere e decise, taciturne e fataliste? Non era la stessa cosa, non si trattava anzi di qualcosa di più sacro, di più alto, nella nostra guerra attuale, guerra di idee e non soltanto di confini o di colonie?


La risposta è semplice: il nostro mondo del 1939 non disponeva più di tanta ingenua credulità come quello del 1914. Allora il popolo aveva ancora fiducia nell'autorità: nessuno in Austria avrebbe osato pensare che il veneratissimo padre della patria Francesco Giuseppe potesse nel suo ottantaquattresimo anno chiamare i suoi popoli alle armi senza assoluta necessità, chiedere sacrifici di sangue se non minacciato da astuti criminali nemici della pace dell'impero. I tedeschi d'altra parte avevano letto i telegrammi del loro sovrano allo zar, dove si lottava per la pace ed ogni uomo semplice era allora pieno di rispetto per i "superiori", i ministri e i diplomatici, per la loro prudenza e lealtà. Se si era giunti alla guerra, questo non poteva essere accaduto che contro la volontà dei propri uomini di Stato; essi non potevano averne colpa, nessuno in tutto il paese ne aveva la minima colpa. I delinquenti, i guerrafondai dovevan dunque essere dall'altra parte; era legittima difesa snudare la spada contro un nemico perfido e delittuoso, che assaliva senza la minima ragione la pacifica Austria e la Germania.

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 Nell'agosto del 1914 le reclute partendo gridavano alle loro mamme: "A Natale siam di ritorno!". Chi nelle città e nei villaggi si ricordava ancora della vera guerra? Tutt'al più pochi vecchi che nel 1866 avevan combattuto contro la Prussia. l'odierna alleata, ed era stata una guerra rapida, lontana, incruenta, una campagna finita in tre settimane, prima che se ne potessero rendere conto. Una rapida corsa nel romanticismo, un'avventura impetuosa e virile, ecco come si presentava la guerra nel 1914 all'immaginazione dell'uomo semplice, tanto che i giovani nutrivano sincero timore di rimanere esclusi da quell'esperienza me ravigliosa ed eccitante e per questo accorrevano impazienti sotto le bandiere, cantavano nei cortei che si avviavano al macello; per questo la grande ondata rossa di sangue pervase in quell'estate le vene di tutto l'impero. La generazione del 1939 invece conosceva la guerra. Non si illudeva più, sapeva che essa non era romantica, ma barbara. Sapeva che sarebbe durata anni ed anni, rubandole un insostituibile brano di vita. Sapeva che non si andava incontro al nemico cinti di quercia e ornati di nastri variopinti, ma che bisognava rimanere per settimane pidocchiosi

Si conoscevano attraverso i giornali e i cinematografi le nuove diaboliche arti di annientamento, si sapeva che i giganteschi carri armati sfracellavano passando i feriti, che gli aeroplani uccidevano nel loro letto donne e bambini, si sapeva che una guerra mondiale nel 1939, per la sua mostruosa meccanizzazione, sarebbe stata mille volte più orrenda, più bestiale, più disumana che tutte le precedenti guerre dell'umanità. Nessuno nella generazione del 1939 credeva più ad una giustizia delle guerre voluta da Dio, non solo, ma neppur più aveva fede nella giustizia e nella durevolezza della pace che si voleva conquistare. Troppo si ricordavano le delusioni dell'ultima pace: impoverimento invece che ricchezza, rancori invece che pacificazione, carestie, inflazione, rivolte, perdita delle libertà civili, asservimento allo Stato, una inquietudine rovinosa per i nervi, la sfiducia di tutti.

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