Nel 1992 – lo ha ricordato di recente Giulio Meotti sul “Foglio” – uscì un appello di 500 scienziati, tra cui 62 premi Nobel (anche Rita Levi Montalcini), contro l’“ecologismo irrazionale”. Scrivevano: “riteniamo irresponsabile manipolare l’opinione pubblica e attizzare il timore di un’imminente catastrofe climatica tra la popolazione”.
Oggi lo
spazio della libera discussione è assai ridotto. Un grande fisico come Freeman
Dyson sosteneva sarcasticamente che l’ambientalismo stava diventando
“una religione laica in tutto il mondo”.
Ma ormai il
“climatismo” sembra una setta apocalittica con i suoi dogmi
indiscutibili, i suoi fanatici, i suoi riti (elenca colpe, prospetta punizioni
ed esige pesanti sacrifici).
Anzi
peggio: sta diventando una “religione di stato” planetaria che
gli Stati devono professare (su input dell’establishment che
domina le istituzioni internazionali), con leggi devastanti e costose per
i loro popoli (quanto inutili).
Presto
perfino dissentire potrebbe essere proibito.
Emblematico
il titolo di un articolo del quotidiano “Domani” del 22
maggio: “Il negazionismo climatico dovrebbe essere un reato”.
Ma si può arrivare alla criminalizzazione del dissenso? Come rispondere a questo dogmatismo illiberale?
Anzitutto è
inaccettabile che si bolli come “negazionista” chi ha un’opinione
diversa da quella dominante sulla questione climatica. Il
“Domani” richiama esplicitamente il negazionismo relativo alla Shoah:“Si
dovrebbe cominciare ad ammettere che il negazionismo climatico non è differente
rispetto ad altri tipi di negazionismo, per esempio quello storico. Chi nega
l’Olocausto può essere difeso in nome della libertà di opinione?”
A questo riguardo va ricordato il severo altolà di Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, che già nel 2020 scrisse: “Faccio un appello a partiti politici e giornali: negazionismo, lager e campi di concentramento usiamoli per indicare il concetto originario per cui sono destinati. Altrimenti si relativizza la memoria e si svilisce la storia”.
Dunque
bollare come “negazionista” chi, semplicemente, ha un’idea diversa sul
cambiamento climatico è inaccettabile, è una banalizzazione
irrispettosa. Cosa c’entra la Shoah con il clima?
Già negli
anni Cinquanta Leo Strauss coniò l’espressione “reductio ad Hitlerum” per criticare la tattica
oratoria di chi – privo di argomenti – vuole squalificare un
interlocutore accostandolo in qualche modo, senza motivo, al nazismo così da
escludere le sue idee dal dibattito pubblico.
Inoltre c’è anche un problema logico nell’accusa di negazionismo. Infatti cosa “negherebbe” chi contrasta il fanatismo climatista? Nega forse il cambiamento climatico? Al contrario.
Coloro che
avversano l’ideologia climatista oggi dominante sostengono che non solo
il clima cambia, ma che è sempre cambiato, fin dall’origine del mondo, e
sempre cambierà, indipendentemente dall’uomo. Casomai è a causa del
fanatismo climatista che si è diffusa la sensazione che il cambiamento climatico
sia un fenomeno del presente o particolarmente accentuato e grave oggi.
Idea contraddetta dai dati.
Infatti se consideriamo i cambiamenti climatici degli ultimi 400 mila anni scopriamo che le glaciazioni sono avvenute ogni 100 mila anni intervallate da periodi di Optimum climatici (della durata di circa 20 mila anni) durante i quali “le temperature medie globali raggiunsero valori più alti di oggi” pur essendovi una concentrazione atmosferica di CO2 minore di oggi (ovviamente non c’erano le attività industriali degli umani). Dunque chi è che davvero nega la verità sui cambiamenti climatici?
Per esempio,
durante il “cosiddetto Periodo Caldo Romano” scrive Franco
Battaglia “i ghiacciai alpini erano
sufficientemente ritirati da consentire ad Annibale, nel 219
a.C., di attraversare le Alpi con esercito ed elefanti”.
I fattori che regolano il clima sulla terra sono molti e complessi (anzitutto il sole) e l’incidenza delle attività umane è irrisoria. Del resto, pure se prendessimo per buona la tesi che demonizza la CO2 prodotta dagli uomini, è stato calcolato che “anche se l’Europa riducesse del 40% le proprie emissioni per il 2030, il risultato sarebbe ‘invisibile’, infatti l’Europa (nel 2019) ha prodotto… il 10% delle emissioni globali, ossia lo 0,11% di tutta l’anidride carbonica presente nell’atmosfera: il risparmio del 40% sulle attività considerate dall’Europa influirebbe sul quantitativo totale di CO2 atmosferica per lo 0,020% in 10 anni!”(la citazione viene dal libro “Dialoghi sul clima” edito da Rubbettino).
E altri Paesi, come la Cina, aumenterebbero le già cospicue emissioni proprio a causa della delocalizzazione di attività industriali dall’Europa. Quindi l’enorme danno per le nostre economie e il nostro benessere non comporterebbe nessun cambiamento per il clima e l’ambiente. Anzi.
Peraltro non
è affatto detto che un lieve aumento della temperature sia un fenomeno
negativo: di sicuro la CO2, che è la base della vita e non è un
inquinante, ha effetti molto positivi per l’agricoltura e le foreste.
Queste e
molte altre informazioni si trovano nel citato libro “Dialoghi sul
clima” che – a cura del professor Alberto Prestininzi –
raccoglie i saggi di molti esperti.
Poco prima ho
citato il libro del professor Franco Battaglia, “Non esiste alcuna
emergenza climatica” (edizioni 21mo secolo) che pubblica anche
la Petizione di mille scienziati all’Onu, il cui primo
firmatario è il premio Nobel per la Fisica, Ivar Giaever.
L’Onu ha ignorato, ma ci sono altre voci.
“Il Giornale”
ha riportato la recente notizia secondo cui “il Nobel per la Fisica 2022
John Clauser è entrato a fare parte della CO2 Coalition, l’unione
degli accademici che ha una visione non mainstream sul climate change: ‘Pseudoscienza
giornalistica’”.
Lo scienziato
ha dichiarato che “non c’è nessuna crisi climatica” e
che la narrazione comune sul cambiamento climatico “minaccia l’economia
mondiale e il benessere di miliardi di persone”.
È necessario che i governi liberino i loro popoli da questo incubo.
Antonio Socci
Da “Libero”,
28 maggio 2023
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