mercoledì 30 aprile 2014

FASCISMO E PROGRESSISMO

Rileggere oggi Pasolini e la sua critica alla sinistra dei nuovi “diritti” asservita al consumismo borghese

Aborto, libertà sessuale… «Questa meravigliosa permissività nei riguardi della maggioranza, da chi è voluta? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo». Così il grande artista (omosessuale) denunciava la falsità dei principi su cui si basano tante battaglie “progressiste”

Karl Marx ha scritto: «Il borghese vede nella moglie un semplice strumento di produzione». Si capisce perché la sinistra un tempo era contro il “borghese” della fecondazione artificiale e, tanto più, era contraria alle unioni omosessuali. Basti ricordare le critiche rivolte a Pier Paolo Pasolini (il quale, oltretutto, era un vero candido nella sua omosessualità) dal Partito comunista e dagli “intellettuali” organici al Pci. Nulla a che vedere con gli attuali “democratici” (anche di casa cattolica), fervorosi sostenitori della fecondazione in vitro e del “matrimonio gay”.
 
Albrecht Durer Apocalisse
Caratteristica dello sguardo intelligente sulla realtà di Pasolini fu cogliere come il libertinismo radical-chic uccisore di Dio e, quindi, dell’umano sia trasversale a tutte le componenti politiche.
Nessuna esclusa. Ma andiamo con Pasolini.
«A proposito dell’aborto (argomento di allora, ma come non riferirlo ad ogni rivendicazione attuale nel campo della sessualità?, ndr) è il primo, e l’unico, caso in cui i radicali e tutti gli abortisti democratici più puri e rigorosi si appellano alla Realpolitik e quindi ricorrono alla prevaricazione “cinica” dei dati di fatto e del buon senso. Se essi si sono posti sempre, anzitutto, il problema (com’è giusto) di quali siano i “principi reali” da difendere, questa volta non l’hanno fatto. Ora, come essi sanno bene, non c’è un solo caso in cui i “principi reali” coincidano con quelli che la maggioranza considera propri diritti… Perché io considero non “reali” i principi su cui i radicali e in genere i progressisti (conformisticamente) fondano la loro lotta per la legalizzazione dell’aborto? Per una serie caotica, tumultuosa ed emozionante di ragioni. Io so che la maggioranza è già tutta, potenzialmente, per la legalizzazione dell’aborto. Esso è, senza dubbio, un’enorme comodità per la maggioranza. Soprattutto perché renderebbe ancora più facile il coito a cui non ci sarebbero praticamente più ostacoli. Ma questa libertà del coito della coppia, così com’è concepita dalla maggioranza – questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi – da chi è voluta, promulgata e tacitamente fatta entrare nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. Esso si è impadronito delle esigenze di libertà diciamo così liberali e progressiste e, facendole sue, le ha vanificate, ha cambiato la loro natura. Oggi la libertà sessuale è un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore. Risultato: la libertà sessuale “regalata” dal potere è una vera e propria generale nevrosi. La facilità ha creato l’ossessione; perché è una facilità indotta e imposta…».

Adesso prendete la parola “aborto” e traducetela nel gergo attuale. “Diritto riproduttivo” lo chiamano i poteri occidentali. Così come chiamano “loveislove”, l’amoreèamore, il puro e semplice consumo sessuale.

Ps. È bellissimo poi andarsi a rivedere gli articoli nei quali, sempre sul Corriere della Sera, Pasolini in quanto omosessuale, ma non conformista, rimanda ai mittenti gli attacchi di Franco Rodano, Natalia Ginzburg, Alberto Moravia, passando per Umberto Eco e Giorgio Bocca fino a tutto il fior fiore dell’intellighenzia di sinistra.


Aprile 26, 2014 Carla Vites, TEMPI

THE DAY AFTER

"Avremmo il primo pronunciamento autorevole in cui ci si riferisce a un nuovo modello di genitorialità, entrato nel nostro Paese non dalle aule parlamentari, non per un referendum popolare, ma, ancora una volta, per sentenza, per la decisione di un pugno di giudici che fra qualche giorno ci dirà per quale motivo, in futuro, anche in Italia diversi bambini potrebbero non sapere più realmente di chi sono figli." (A. Morresi)
Albrecht Durer Apocalisse

Attenzione: non è un attacco della magistratura, bisogna scavare molto più in profondità.

Stiamo entrando in un mondo nuovo. Non costretti, non sforzati, ma volontariamente, trionfalmente, credendo di andare nella più meravigliosa delle utopie, senza sapere che è la distruzione di ogni cosa che chiamavamo buona.

CHE COS'E' LA POLITICA?

 “Alla questione sul senso della politica si può dare una risposta così semplice e convincente, da rendere in apparenza del tutto superflue ulteriori risposte.

HANNA ARENDT
La risposta è: il senso della politica è la libertà…

Ma oggi proprio questa risposta non è né ovvia né immediatamente evidente… 

La nostra domanda odierna nasce da esperienze politiche molto reali: essa è suscitata dalla sciagura che la politica ha già provocato nel nostro secolo, e da quelle ancora più grandi che rischiano di scaturirne.

La nostra domanda è dunque molto più radicale, molto più aggressiva, e anche molto più disperata: la politica ha ancora un senso? 
Il miracolo della libertà è insito in questo saper cominciare, che a sua volta è insito nel dato di fatto che ogni uomo, in quanto per nascita è venuto al mondo che esisteva prima di lui, e che continuerà dopo di lui, è a sua volta un nuovo inizio. 
Se aspettarsi miracoli è conforme al vicolo cieco in cui è incappato il nostro mondo, tale attesa non ci pone affatto al di fuori della sfera politica originaria.

Se il senso della politica è la libertà, ciò significa che in quello spazio, e in nessun altro, abbiamo realmente il diritto di aspettarci dei miracoli.
Non perché crediamo ai miracoli, ma perché gli uomini, finché possono agire, sono in grado di compiere l’improbabile e incalcolabile e lo compiono di continuo, che lo sappiano a no”.

(Hannah Arendt, Che cos’è la politica? Ediz. Di Comunità, da frammenti del 1950)


LA CRISI DELL'ISTRUZIONE OCCIDENTALE

Il britannico Christopher Henry Dawson, essendo morto nel 1970, non ha certo potuto ascoltare l’ultima prolusione del cardinale Angelo Bagnasco. Avrebbe ricevuto l’ennesima conferma che il suo sacrosanto programma di promozione globale della cultura cattolica è ancora un’utopia, a mezzo secolo di distanza dalla pubblicazione del suo saggio (1961) sulla crisi dell’educazione in Occidente. Avrebbe udito Bagnasco constatare - il 24 marzo 2014 - che l’«Occidente non è più il centro del mondo» e, nonostante ciò, impone al resto del pianeta «leggi immorali» con «mezzi spesso ricattatori». Lo avrebbe udito chiedersi sconsolato (e abbastanza isolato) se «questo è il cammino della civiltà» europea, cara a Dawson, che non si è limitata finora a disprezzare l’umanesimo, ma lo «vuole corrompere» con empia e quotidiana determinazione.



È un Occidente asfittico, eutanasico, impelagato nell’«iperindividualismo» - o nel «fondamentalismo libertario», come lo chiama Francesco Botturi (“Avvenire”, 26 marzo 2014) -, che è «all’origine dei mali del mondo», che corrompe i giovani tramite una scuola «ideologica e supina», che vuole «omologare tutto, fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni». Bagnasco è forse un profeta di sventura? No. Legge semplicemente i segni dei tempi, come dovrebbero fare tutti i cristiani, indicando in questo caso ciò che resta della nostra civiltà come «vera dittatura». E anche Dawson lesse i segni dei tempi perché, assai prima del Sessantotto e assai prima del personal computer, affermò che «Frankenstein rappresenta la nostra epoca ancor più fedelmente di quanto Faust rappresentasse l’epoca di Goethe». Voleva intendere l’epoca contemporanea, più figlia delle due guerre mondiali che di una qualche cultura, dove l’ordine tecnologico è sfuggito da ogni controllo umano, così come il Frankenstein di Mary Shelley sfuggì dal controllo del suo costruttore.

Ma cosa c’è di così necessario nella cultura cristiana, per lo storico Dawson? Essenzialmente la tutela, almeno, della salute psichica degli studenti, la cui mente è «sopraffatta e intontita dal volume di nuova conoscenza» - spiega in “La crisi dell’istruzione occidentale”. Il problema è che l’«istruzione statale obbligatoria» odierna ha due grossi difetti: l’«utilitarismo democratico» e l’«ideale della specializzazione scientifica». Al contrario, pur con tutti i suoi limiti «la vecchia istruzione umanistica», formatasi in ambito cristiano, studiava la cultura classica, che «era vista come un tutto». Questo è il punto: l’Occidente non può più offrire molto alla civiltà moderna, perché si sta disintegrando dall’interno; ha perso il fondamento di una visione unitaria della realtà, per perdersi dietro agli enciclopedismi e ai saperi quantitativi della specializzazione tecnica. L’autore, da sempre interessato all’indagine sull’impatto della religione cristiana nel mondo classico greco e romano, ripercorre qui le tappe dell’inculturazione del cristianesimo e dimostra come, nonostante guerre e rivoluzioni di ogni genere, la civiltà occidentale non sia venuta mai meno, proprio per il suo carattere unificante. Dawson propone di coinvolgere le Università in un progetto di studio sistematico della cultura cristiana, che è poi uno studio delle nostre radici, «come mezzo d’integrazione e di unità», per contrastare le spinte centrifughe e distruttive dell’utilitarismo e dell’eccessiva specializzazione.

La cultura cristiana - scrive - «non è qualcosa di cui ci si debba vergognare» ma, anzi, una garanzia della «continuità della tradizione educativa». Se invece si attuasse una «rottura» culturale, questo «significherebbe la morte della civiltà». Dal cristianesimo primitivo, la cultura cristiana è passata per il periodo patristico, per il Medioevo, per l’Umanesimo e il Rinascimento, così da approdare alla modernità. Ne è nata non solo una cultura, ma una civiltà. Perdere di vista l’elemento religioso significa, per l’autore, perdere la sostanza di noi stessi, che non è tanto rintracciabile nel solo concetto di cultura, ma in quello di civiltà, che è «l’entità che costituisce il più alto campo di studio intelligibile». La civiltà, pertanto, «può essere descritta come una supercultura».

Ma questo, almeno dagli anni Sessanta ad oggi, non sembra scalfire la vita quotidiana occidentale, dove gli unici valori sono quelli nelle banche, a disposizione di pochi privilegiati. L’andazzo difficilmente sarà invertito, per via del tracollo scolastico e universitario, dove la specializzazione ha soppiantato una vera e propria educazione. E i ragazzi (futuri gestori dell’ambito civile) colpiscono non tanto per la congenita maleducazione, ma per la manifesta diseducazione che li ha formati. Oggi la cultura - vecchio ma oculato ritornello - è «completamente secolarizzata», come ripeteva già Dawson nel dopoguerra. E questa parodia della cultura - sentenzia lo storico britannico - «è un mondo di fantasia in cui i personaggi del cinema e dei fumetti sembrano molto più reali dei personaggi del Vangelo».

Silvio Brachetta
Christopher Dawson, “La crisi dell’istruzione occidentale”, D’Ettoris Editori, Crotone 2012, pp. 213, euro 19,90.


DROGA, UNA PESSIMA LEGGE AVANZA NEL SILENZIO

di Alfredo Mantovano 29-04-2014
DA lanuovabussolaquotidiana


C’è una bella differenza fra essere menagrami, essere profeti di sventura ed essere realistici. Portare sfortuna o credere che qualcuno la porti ha molto a che fare con l’irrazionalità; diverso è l’atteggiamento di chi intuisce che da una scelta potrà venire fuori una sciagura, e mette in guardia per quel che può: Cassandra aveva visto giusto, non è stata creduta dai suoi concittadini, e certamente non era simpatica. Ma invece, prevedere che determinati comportamenti provocheranno dei danni e darne le ragioni, è qualcosa che non ha nulla di superstizioso né di profetico: è un atto di buon senso, che meriterebbe considerazione. È quello che hanno provato a fare, all’inizio della discussione alla Camera del decreto legge sulla droga davanti alle Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali, gli esperti tossicologici e i responsabili delle comunità: la risposta di larghissima parte del Parlamento e del Governo è andata nella direzione opposta. E, per di più, allorché il testo è arrivato in Aula, il Governo ha stroncato ogni discussione e ieri sera ha posto la fiducia.

Il provvedimento che oggi sarà votato da Montecitorio è una pessima legge: fa tornare indietro di dieci anni e pone le condizioni perché riprendano a crescere i consumi di droga e i decessi per uso di stupefacenti, calati a partire dal 2007, e perché diminuiscano gli incentivi verso i recuperi, che erano aumentati proprio dal 2007, a seguito dell’inizio di operatività della Fini-Giovanardi. Dalla sua applicazione, soprattutto dopo i peggioramenti apportati alla Camera, lo spaccio di ogni tipo di droga trarrà un impulso inaspettato, grazie al ripristino della non punibilità per uso personale; con la Fini-Giovanardi un decreto del ministro della Salute stabiliva per ogni droga la quantità di sostanza al di sotto della quale vi è solo un illecito amministrativo e oltre la quale l’illecito è invece reato: un confine fisso, senza margine di dubbi. Grazie a un emendamento approvato dalle Commissioni, importare, comprare, detenere droga non costituiranno più reato – vi sarà solo sanzione amministrativa – se tali condotte saranno tenute “per farne uso personale”. A far presumere questa destinazione, oltre il limite di quantità, varranno le “modalità di presentazione” della droga, il “confezionamento frazionato” o “altre circostanze dell’azione”: da parametri oggettivi si passa così alla estrema genericità, che legittimerà le applicazioni più estese, come è già accaduto in passato nelle interpretazioni giurisprudenziali, allorché esisteva una norma simile. È un emendamento che potrebbe definirsi “salva-dama bianca”: in assenza del solo limite quantitativo oggettivo, nessuno può escludere che chi – come è accaduto il 13 marzo all’aeroporto di Fiumicino alla signora Federica Gagliardi – verrà sorpreso con chili di cocaina, importati e detenuti con discrezione, non frazionati né confezionati in dosi, si difenderà sostenendone la destinazione per proprio uso personale, e potrà essere dichiarato non punibile. Una benedizione per trafficanti e spacciatori!

È un testo sul quale sarà arduo intervenire al Senato: trattandosi di un decreto e dovendo essere convertito in legge entro 60 giorni dalla pubblicazione, va votato nella versione definitiva entro il 20 maggio; a Palazzo Madama restano pochi giorni utili, e non è facile immaginare modifiche che lo facciano tornare in tempo utile alla Camera. Quel che sconcerta non è che in questo precipizio ci si trovi, per l’ennesima volta, in virtù di una sentenza della Corte costituzionale (che pure si è basata su una questione di forma e non è entrata nel merito). Né meraviglia lo sforzo che, contro ogni evidenza scientifica e statistica, le forze politiche collocate a sinistra hanno posto in essere in Commissione per distruggere una delle poche riforme che hanno prodotto risultati positivi. Né sorprende l’assenza quasi totale di informazione: per gran parte dei media la quota di componenti di elezione diretta del prossimo Senato merita spazio di gran lunga superiore alla quotidiana tragedia della droga, e alla possibilità di limitarne i danni con norme adeguate.
Quel che meraviglia è che questo disastro stia per diventare legge senza l’attenzione e la discussione che merita, dentro e fuori il Palazzo. La Consulta ha disarticolato passaggi significativi della Fini-Giovanardi con la motivazione che queste disposizioni sono state introdotte nel 2006 in sede di conversione di un decreto-legge che trattava altra materia, e quindi non ne ha affrontato le questioni di sostanza; a sua volta, la depenalizzazione di fatto dello spaccio e la reintroduzione della erronea distinzione fra droghe “leggere” e “pesanti” avvengono senza problemi con un decreto d’urgenza, senza dibattito e senza approfondimento dei suoi singoli passaggi proprio perché il governo pone la fiducia! Quali sono le ragioni per le quali di qualcosa di così grave diventa impossibile perfino parlare? Quando era in corso la stesura della Fini-Giovanardi, certamente non mancò il confronto sui media, in convegni e in Parlamento: vi fu una lunga trattazione in Commissione al Senato: adesso si calpestano le conclusioni scientifiche e i dati oggettivi senza nemmeno spiegare perché.

Soprattutto meraviglia la sostanziale indifferenza verso un colpo di mano come quello senza che nessuno solleciti alla riflessione. La partita del voto di fiducia di oggi è importante in sé, per quanto fin qui riassunto. Ma è importante pure perché segna un punto a favore della rivincita dell’ideologia post-sessantottina, che nella Legislatura in corso punta al maggior numero di obiettivi. Guai a perdere di vista il legame esistenza fra: a) lo sforzo di scardinare la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna – il divorzio sprint, in discussione alla Camera, b) la sostanziale equiparazione al matrimonio, per come finora è stato disciplinato, dei diritti e dei doveri derivanti dall’unione civile, anche fra persone dello stesso sesso, in discussione al Senato, c) l’ammissibilità della fecondazione eterologa, reso possibile dalla Consulta, che consentirà a queste unioni di “avere figli”, d) le sanzioni penali del d.d.l. Scalfarotto, con cui dovrà fare i conti chi oserà obiettare qualcosa in proposito. Nel frattempo, canna libera, e non solo canna, per tutti e senza ostacoli…

No, non c’è bisogno di scomodare né la mala sorte né Cassandra. È solo il caso di svegliarsi, mettendo da parte un torpore che forse non è solo da cannabis.


martedì 29 aprile 2014

IL BERLUSCONIANO RENZIANO

Un nuovo spettro si aggira nella scena politica italiana: il berlusconiano che smania per Matteo Renzi. 

Non è Bondi, attenzione: lui esagera per eccesso di zelo e finisce per deragliare. No, il berlusconiano che si aggrappa a Renzi pensando di fare cosa furba sta dentro Forza Italia, crede di interpretare gli umori profondi del Capo, attenua con la contemplazione estatica del giovane rampante il rimpianto per le occasioni perdute in un ventennio, vede in Renzi, più che un fratello, un’ancora di salvezza. Si rispecchia in lui. Cerca disperatamente di credere a ciò che la sinistra più conservatrice dice di Renzi: che è uno «di destra», clone berlusconiano. Il berlusconian- neorenziano pensa di guadagnare tempo prima della disfatta. E invece il tempo scadrà il 25 maggio, quando Renzi entrerà nel paradiso elettorale, e Forza Italia sprofonderà nelle urne.

A furia di dire che Renzi sta compiendo il lavoro che aveva iniziato Berlusconi, il berlusconian-renziano pensa di consolarsi, ma lavora per chi molto presto potrebbe disfarsi con un colpo solo dell’appoggio che oggi Forza Italia gli sta dando. Il giorno dopo le elezioni, il potere contrattuale di Berlusconi si azzererà. Le riforme istituzionali potranno essere varate senza di lui. Renzi avrà ottenuto nel voto la legittimazione che gli manca dopo aver brutalmente spodestato Enrico Letta con una congiura di palazzo. Dicono: ma lui realizza il nostro programma. Messaggio per l’elettore: allora votiamo lui, non Forza Italia. Dicono baldanzosi e tronfi: sta facendo fuori i «comunisti ». E allora l’anti-sinistra, quella che ha visto Berlusconi come un baluardo contro il «comunismo», perché dovrebbe dar credito a un movimento in declino, a un politico al tramonto e non invece al giovane nella cui energia cerca di intravvedere qualcosa del berlusconismo delle origini?

Il berlusconian-renziano, in cuor suo, ha una certezza che non può comunicare pubblicamente: che il berlusconismo è finito. Non sa elaborare una successione, un dopo, un postberlusconismo, un avvenire, una speranza, un messaggio valido per chi abbia meno di trent’anni. E allora si inventa che Renzi è il «vero» successore di Berlusconi. Ma si sbaglia. Renzi è di un’altra ditta. Potrà dire cose giuste o sbagliate. Ma dice cose renziane, non berlusconiane. Chi, dentro Forza Italia, spera che non sia così, è destinato a una disillusione cocente.

La fine del berlusconismo trascina con sé anche l’esaurirsi di ogni autonomia «ideologica» al centrodestra, sia a quello berlusconianamente ortodosso, sia quello, sbiadito e ministerialista, degli alfaniani. Tra poche settimane, mentre si profilerà un nuovo bipolarismo tra Renzi e Grillo, il centrodestra diventerà una semplice ruota di scorta che Renzi potrà cambiare e usare secondo le sue convenienze. Chi si crede troppo furbo scoprirà troppo tardi l’errore commesso.


mercoledì 23 aprile 2014

APPELLO POLITICO AGLI ITALIANI

L’Osservatorio Cardinale Van Thuân, presieduto dall’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi e diretto da Stefano Fontana, ha pubblicato un “Appello politico agli italiani” dal titolo “Un Paese smarrito e la speranza di un popolo” (Cantagalli, Siena 2014). Si tratta di una proposta globale e organica per la rinascita dell’Italia, fatta da cattolici e rivolta a tutti ma non su misura per tutti. All’interno ci sono scelte nette, proposte incisive, e sono indicati cambiamenti anche radicali e controcorrente. L’Appello si inserisce nella storia degli sforzi che, in momenti di difficoltà, i cattolici hanno sempre fatto in passato per contribuire a vivificare la loro nazione


Un Appello… In un’epoca di dispersione come la nostra, scrivere un Appello richiede un certo coraggio. Si tratta infatti di una sintesi, mentre oggi prevale il frammento. Si tratta anche di guardare con fiducia in avanti mentre oggi prevale la stanchezza. Chiediamo a Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio, dove sia stata trovata questa voglia di fare.
E’ stata trovata in due elementi. Il primo è la convinzione e la fiducia che dalla fede cattolica derivi uno slancio intellettuale e morale per la costruzione della comunità degli uomini soprattutto nei momenti difficili. Il secondo è l’eredità di tutto il lavoro di analisi e studio che l’Osservatorio ha fatto in questi suoi primi dieci anni di vita. Questo bagaglio ora ci ha permesso di fare questa proposta.

Più che una proposta… Un Appello è una chiamata a raccolta in vista di un progetto comune. In passato Appelli di questo genere hanno sempre preceduto la nascita di partiti. E’ anche il vostro caso?
Il nostro Appello nasce anche dalla delusione su come sono andate le cose negli ultimi anni. Mi riferisco alla dispersione dei cattolici in politica. Il nostro Osservatorio non è però un partito, né un movimento, è un organo di ricerca e studio dedicato alla Dottrina sociale della Chiesa. Il nostro Appello viene proposto, altri soggetti ed altre mediazioni potranno eventualmente farsene carico sul piano anche politico, non noi.

Il titolo fa riferimento ad un Paese smarrito. Cosa intendete?
L’Italia è in grave crisi di identità, questo lo vediamo tutti. Non ci sono solo le difficoltà economiche. Tutto il tessuto si è lacerato e per la sua ricomposizione non si sa da dove cominciare. Si fatica a cogliere che la crisi è morale e spirituale e che gli attacchi alla vita e alla famiglia non sono privi di conseguenze anche per l’economia e lo sviluppo. Non c’è un settore in Italia che non aspetti di essere riformato, ma manca uno sguardo d’insieme per poterlo fare, perché gli orizzonti si sono ristretti, l’entusiasmo si è indebolito e le anime si sono internamente lacerate. L’Appello si fa carico di tutti gli aspetti di questo smarrimento e reagisce con una ripresa di un’ottica del tutto. Questa, del resto, è la politica, fin dai tempi di Platone.

Nel titolo si parla anche de “la speranza di un popolo”. Popolo in che senso?
In Italia c’è ancora un popolo, oppure ormai c’è solo una massa? Nella Chiesa cattolica c’è ancora un popolo? Noi crediamo che ci sia ancora un popolo, che però ha bisogno di essere risvegliato e animato, mentre in molti si danno da fare per frantumarlo. Un popolo è tenuto insieme da qualcosa di più grande di lui, dal proprio passato, dalla speranza del proprio futuro, dalla sua anima nazionale, dalla fede religiosa, dai valori fondanti come quello della famiglia. Se di questi valori esso viene espropriato, se la nazione viene schiacciata tra il globale e il locale, se la burocrazia spegne la sussidiarietà solidale, se le famiglie sono terreno di conquista del mercato e dei nuovi desideri trasformati in diritti, il popolo perde i propri legami e diventa massa. Come può esserci un futuro per l’Italia senza un soggetto comunitario che se ne renda responsabile? 

Da anni tutti parlano di riforme. Anche l’attuale governo è lì per fare le riforme. Non bastava tutto ciò? Perché avete ritenuto che ci fosse bisogno anche del vostro Appello?
Perché le riforme hanno bisogno di un’anima, affinché non siano solo riforme ma ricostruzione. E il motivo per cui finora non sono state fatte non è la mancanza di conoscenze tecniche su come farle, ma la mancanza di un’anima, di una spinta morale e intellettuale di carattere corale, popolare. Nel nostro Appello, per esempio, parliamo di un nuovo patto costituzionale sostanziale. Quanti discorsi abbiamo sentito sulla riforma della Costituzione? Ma mentre si tenta di riformare il dettato costituzionale sta venendo meno la coesione degli italiani su quel patto pre-costituzionale (la costituzione sostanziale appunto) che lacera la convivenza. Ne deriva che anche la Costituzione e le stesse riforme costituzionali vengono adoperate ideologicamente o per interessi. Nel nostro Appello ci sono le cose da fare, ma c’è anche lo spirito con cui farle.

Si accusa i cattolici di concentrarsi quasi solo su vita e famiglia. Nell’Appello, invece, c’è anche tutto il resto, mi sembra.
Vita, famiglia, libertà di educazione non sono solo valori ma principi architettonici della vita sociale. Nell’Appello essi ci sono in questa veste. Né da soli, come se esaurissero i problemi sociali, né come valori da mettersi sullo stesso piano di altri valori. Poi c’è anche tutto il resto: scuola e lavoro, riforma dello Stato e della Costituzione, partiti e legge elettorale, rapporti con l’Europa, immigrazione e riforma della giustizia e così via. Una grande funzione è svolta dal principio di sussidiarietà, perché esso esprime un fascio di impellenti necessità di vitale importanza per il nostro Paese, che ha bisogno di liberare energie responsabili e non centrifughe. Energie sepolte per troppo tempo sotto le corporazioni, le burocrazie, le norme camicia-di-forza, lo statalismo ideologico che si è trasferito anche negli enti regionali e locali.

Come vede il futuro di questo Appello?
La sua ricaduta dipende da noi ma non solo da noi. Ne faremo delle presentazioni pubbliche e cercheremo di suscitare approfondimenti e confronti sulle idee che abbiamo esposto. Ringrazio fin d’ora coloro che lo esamineranno e si faranno interpellare da esso e tutti coloro, singole persone, movimenti ed associazioni, che lo assumeranno, non per farlo passivamente proprio, ma per esaminarlo, discuterlo, promuoverlo.


venerdì 18 aprile 2014

LA CROCE, UN AMORE CHE SI PERPETUA NEL TEMPO

di Gloria Riva


Crocefisso scuola Giottesca; Sestino, Montefeltro
Lo conoscono in pochi questo paesino sperduto tra gli Appeninni, proprio sotto il Sasso Simone e Simoncello, dove la parte marchigiana del Montefeltro, confina con la Toscana. Si chiama Sestino ed era la sesta provincia romana, la più vicina al Mare Adriatico. Qui, oltre a un museo che raccoglie i resti dell'antica provincia romana, si possono ammirare due crocefissi di scuola (giottesca) riminese.

Entri nella pieve di san Pancrazio e non puoi fare a meno di sollevare lo sguardo. Nel catino absidale pende una croce dipinta bellissima e maestosa, carica di simbologia. Forse unica nel suo genere.

Il Cristo maestoso e bianchissimo adagia le braccia sulla croce come per raggiungere i confini della terra. Le trafitture dei chiodi gettano rigoli di sangue e i piedi sono inchiodati insieme e non separatamente, com'era d'uso nei crocefissi fino all'XI secolo. Questo è già il Christus Patiens col volto dolente e gli occhi chiusi. Dal suo fianco ferito zampillano sette rigagnoli di sangue che cadono idealmente sopra l'altare sottostante. Gli altri due rigagnoli di sangue corrono lungo il corpo del Salvatore. Questa ferita è la sorgente dei sette sacramenti e del comandamento nuovo dato da Gesù ai suoi (l'amore a Dio e l'amore al prossimo). Da qui nasce la nuova Eva, la Chiesa, simboleggiata dalla Madonna e da San Giovanni che si trovano nei terminali del braccio orizzontale della croce. Ma quello che più sorprende è il simbolo del pellicano che campeggia proprio sopra il capo di Cristo, tra la scritta INRI e la cimasa.

Il pellicano, che secondo la tradizione si ferisce il petto per nutrire con la sua carne i piccoli, è immagine di Cristo, Pie pellicáne, Jesu Dómine lo definisce, infatti San Tommaso nell'Adoro te devote. Il pellicano è, dunque, un potente richiamo simbolico al Giovedì Santo, al momento in cui Cristo istituisce la nuova Pasqua nel suo sangue. Il pane e il vino distribuiti nell'ultima cena ai suoi, segno del suo Corpo dato e del suo Sangue versato, rivelano tutta la pregnanza di significato nell'ora della croce. Sulla croce, davvero Cristo è il pio pellicano che dà se stesso in cibo.



Lo scomparto collocato nella parte più alta del braccio verticale, la cimasa, presenta il Cristo Pantocratore, Signore di tutte le cose; il Giudice, colui che verrà a giudicare i vivi e i morti per mezzo della sua Parola potente, una spada a doppio taglio che penetra fino alle midolla rivelando all'uomo la verità. L'immagine è classica: Cristo ci guarda fisso, con il libro in mano e lo sguardo benedicente, veste di rosso e di blu, colori che rimandano alle sue due nature: quella umana e quella divina. Nella mano sinistra tiene stretto il libro della Parola e porta il pettorale del sommo sacerdote: è il Cristo, giudice, re e sacerdote, rientrato in quella gloria che già possedeva prima che il mondo fosse.

Al fedele che si accosta all'altare o che partecipa alla liturgia della Messa nella pieve di san Pancrazio, la croce racconta sinteticamente i giorni più importanti dell'anno liturgico: il triduo pasquale. Sono i giorni fondanti la nostra fede e narrano il kèrigma: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor, 15, 3-5). Non a caso sotto il pellicano ci sono quattro piccoli, simbolo di quegli evangelisti che in tutto il mondo hanno diffuso la volontà del loro Signore: compiere ovunque quel gesto in memoria di Lui.
Sì, Cristo ha patito per noi e si è liberamente consegnato alla morte per la nostra salvezza. E che quest'uomo crocefisso si sia liberamente dato, si evince dalla maestà del suo morire e dal simbolo del pellicano che, appunto, liberamente dà la sua carne. E ciò avviene non principalmente per una espiazione, ma per la vita dei suoi piccoli.

Allo stesso modo, che il Pantocratore della cimasa non sia un giudice implacabile che incute timore, ma un Dio misericordioso e fedele, lo dice ancora il pellicano e l'offerta sacrificale sulla croce: il Signore Gesù giudicherà il mondo a partire dalla misura di questo amore.


Così le croci dipinte, pur nell'abbondanza dei rigoli di sangue e nell'evidenza del pallore mortale, non vogliono rappresentare un dolore, ma vogliono rivelare un amore la cui grazia santificante si perpetua nel tempo grazie alla liturgia della Chiesa. Tanto nella Pasqua di ogni anno che nella pasqua settimanale.

GLI EVENTI PRECIPITANO


Gli editoriali di SamizdatOnLine

Abbiamo cominciato con mercoledì, quando la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il divieto della fecondazione eterologa.
E' stato il primo, vero grande colpo alla legge 40, che aveva resistito per dieci anni a tutti gli attacchi dei vari tribunali, attacchi fatti sempre dallo stesso gruppuscolo di avvocati (sempre gli stessi, i nomi che girano). Adesso non si sa bene quel che succederà, nel senso che finché non saranno depositate le motivazioni della sentenza, non si sa bene come muoversi per attuarla. Se fosse vero quel che ha fatto sapere la Consulta con uno stringatissimo comunicato subito dopo, ci sarebbero un bel po’ di problemi per praticare l’eterologa in Italia. E comunque si dovrà passare per forza per il parlamento, visto il vuoto normativo che si è creato, e nonostante la gran faccia tosta di tanti centri e giuristi e commentatori che hanno letteralmente parlato a vanvera, dicendo di essere in grado di partire subito. Non è vero, è una bugia, e sono loro stessi per primi a saperlo: se non si stabilisce se un bambino nato da eterologa ha diritto o meno a conoscere il genitore genetico, come si fa a fare il consenso informato, e come si possono “raccogliere” i gameti?


Vista la faccenda dell’eterologa, è quasi passato inosservato quanto successo in parlamento, sempre mercoledì. Camera dei Deputati, Commissione Giustizia: sempre “grazie” alla Corte Costituzionale che ha smantellato la Fini-Giovanardi sulla droga, si rischia una legalizzazione strisciante di certe droghe; approvato poi all’unanimità un testo di legge sul cosiddetto divorzio breve, ridotto a un anno il tempo di attesa, che diventa nove mesi (diconsi nove mesi), se non ci sono minori e se c‘è consenso. Stesso giorno, Commissione Giustizia, Senato: vanno avanti legge su omofobia e legge su unioni civili, che chiaramente ha incluso le proposte sul matrimonio omosessuale. 
Venerdì mattina abbiamo saputo della prima donna morta in Italia connessa alla RU486, la pillola abortiva, a Torino. E’ il quarantesimo caso nel mondo: finora erano 27 le donne morte dopo aborto chimico, a cui vanno aggiunte altre 12 persone morte dopo aver preso la RU486 per altri scopi, non abortivi. Abbiamo scritto un libro, io e Eugenia Roccella, “La favola dell’aborto facile”, per spiegare di cosa si tratta, quando si parla di aborto chimico, un metodo la cui mortalità è dieci volte maggiore di quella dell’aborto chirurgico, e che viene usato per introdurre l’aborto a domicilio, quello "fai-da-te", dove l'aborto diventa un atto medico privato, e addio prevenzione.  Domani l’autopsia della donna. E poi vedremo quel che succederà, se per esempio in Toscana vorranno ancora dare la RU486 nei consultori.
Oggi abbiamo letto dello scambio di embrioni in un ospedale romano, il Pertini. Pare che una donna aspetti due gemelli non suoi: se così fosse, sembrerebbe una brutta trama di un film di fantascienza, considerato che al momento non si sa neppure di chi sono i bambini, cioè con chi sarebbe stato fatto il presunto scambio. Per saperlo, tutte le coppie che hanno avuto il trasferimento embrionale nello stesso giorno dovrebbero fare l’amniocentesi, o aspettare di partorire per capire chi è figlio di chi. Con enormi problemi giuridici: in Italia i figli, legalmente, sono di chi li partorisce, per esempio, per non parlare del fatto di avere in grembo un figlio non tuo, e di tutte le decisioni che nel frattempo devi prendere per la tua vita e per la gravidanza (per es.: chi decide se fare il cesareo o meno?). Qualche folle parla pure della possibilità di abortire i figli non suoi. Un caso di eterologa involontaria, che però chiarisce bene, e drammaticamente, tutte le contraddizioni di questa pratica. Potremmo dire che è la prima eterologa dopo la sentenza della Corte. Ci torneremo su, purtroppo.  
E' iniziata una nuova era. Siamo precipitati nel Mondo Nuovo, gente, e siamo solo all’inizio. Qualcuno parlerebbe di Mordor, Regno di Sauron.

Assuntina Morresi 



lunedì 14 aprile 2014

IL DOVERE DEI PAPI: DIFENDERE IL GREGGE DALLA DITTATURA DEL MONDO

Andrea Riccardi ha rivelato, in un suo libro, il contenuto della “deposizione” che il cardinale Carlo Maria Martini rese al processo per la canonizzazione di Karol Wojtyla.
Le sue parole hanno fatto una triste impressione, non solo perché egli giudica inopportuna l’elevazione agli altari di Giovanni Paolo II (desideratissima invece dal popolo cristiano: avverrà in piazza San Pietro il 27 aprile prossimo). Ma soprattutto per il modo e per gli argomenti usati.

CRITICHE


C’è chi ha scritto che è stata “la vendetta del cardinal Martini”, che “opponendosi alla canonizzazione di Papa Wojtyla si è voluto prendere una rivincita”.
Ma non voglio credere che il cardinale coltivasse (ri)sentimenti del genere, anche perché proprio Giovanni Paolo II lo aveva nominato arcivescovo di Milano, lo aveva creato cardinale e – come Ratzinger – aveva sempre avuto parole di stima personale nei suoi confronti.
Qualche caduta di stile si nota, però, nella deposizione di Martini. Il quale critica Wojtyla, fra l’altro, per le sue nomine, precisando: “soprattutto negli ultimi tempi” (la sua fu una nomina dei primi tempi).
Inoltre il prelato attacca Giovanni Paolo II per il suo appoggio ai movimenti ecclesiali. Questo livore martiniano contro le nuove realtà suscitate dallo Spirito Santo gli impedì di vedere quanto papa Wojtyla avesse rinnovato la Chiesa, valorizzando i carismi e gli impetuosi movimenti di rinascita della fede, che sono i veri frutti positivi del Concilio.
Ci sono anche altre critiche di Martini, in quella deposizione, che sconcertano. Per esempio afferma che Giovanni Paolo II si pose “al centro dell’attenzione, specie nei viaggi, con il risultato che la gente lo percepiva un po’ come il vescovo del mondo e ne usciva oscurato il ruolo della Chiesa locale e del vescovo”.
Questa desolante considerazione dimentica che papa Wojtyla dovette confortare nella fede e ridare coraggio a milioni di cristiani che negli anni Settanta erano perseguitati e incarcerati in Oriente e umiliati e silenziati in Occidente.
Inoltre i pellegrinaggi di Giovanni Paolo II dettero un formidabile slancio missionario proprio alle chiese locali (basti pensare ai sedici viaggi in Africa e alla rinascita della fede che ne è seguita in quel continente).
Martini riconosce pure qualche lato positivo a papa Wojtyla, per esempio “la virtù della perseveranza”, ma subito aggiunge che fu eccessiva perché decise di restare papa fino alla fine: “personalmente riterrei che aveva motivi per ritirarsi un po’ prima”.
A dire il vero lo stesso Martini, concluso il suo episcopato milanese, per raggiungimento dell’età canonica, invece di ritirarsi a vita di preghiera, come aveva annunciato, intensificò il suo presenzialismo mediatico. E indurì le sue critiche alla Chiesa. Un comportamento che sconcertò molti fedeli.
D’altra parte il cardinale di Milano, per tutto il pontificato di Wojtyla (e pure di Ratzinger), è stato esaltato dai media laicisti come il loro (anti)papa.
E non si può dire che egli abbia fatto degli sforzi visibili per sottrarsi alle insidiose lusinghe di anticattolici, mangiapreti e miscredenti. I quali facevano a gara per osannarlo, intervistarlo e amplificare le sue critiche alla Chiesa.

O CESARE O DIO

Papa Wojtyla – col suo carisma personale e la sua fede accorata – ha affascinato i popoli, milioni di persone andavano a cercarlo per ascoltarlo. Però non è mai stato amato dai poteri di questo mondo. Anzi, è stato letteralmente detestato.
Fin dall’inizio fu bollato come reazionario, anticomunista, bigotto, “troppo polacco” e via dicendo. Poi – vista la forza del suo carisma e l’amore che suscitava nelle folle – ritennero che non conveniva loro opporvisi frontalmente e cercarono di logorarlo in altri modi.
Ma il grande Giovanni Paolo non ha mai annacquato la verità. Nel suo amore per Cristo e per gli uomini, ha sempre chiamato bene il bene e male il male.

Joseph Ratzinger, con la sua recente testimonianza raccolta da Wlodzimierz Redzioch nel libro “Accanto a Giovanni Paolo II”, ha insistito proprio su questo:
“Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni, ed era pronto anche a subire colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di primo ordine della santità. Solo a partire dal suo rapporto con Dio è possibile capire anche il suo indefesso impegno pastorale. Si è dato con una radicalità che non può essere spiegata altrimenti”.

Ratzinger già alla morte di Paolo VI, il 10 agosto 1978, disse:
“un Papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede”.

Infatti, diventato lui stesso papa, Benedetto XVI, indifesa dei piccoli e dei poveri denunciò “la dittatura del relativismo”. E sempre affermò che il ministero di Pietro era legato al martirio.
Un martirio fisico per i papi dei primi tre secoli. Un martirio morale per i papi di oggi (ma Wojtyla sparse anche il suo sangue).
Non che i cristiani debbano cercare l’odio del mondo, ovviamente. Ma le “potenze dittatoriali” delle ideologie o del nichilismo sono realtà e minacciano o condizionano pesantemente la Chiesa.
Gesù stesso nel discorso della montagna aveva ammonito i suoi a restare liberi e sottrarsi ai condizionamenti:
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc 6, 24-26). 

I veri discepoli di Gesù infatti sono segno di contraddizione per i poteri mondani:
“Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo (…) il mondo vi odia. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 16, 18-20).
Gesù arrivò a indicare ai suoi questa beatitudine:
“Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli” (Lc 6, 20-23).
Non significa che si debba cercare la persecuzione, ma che non si deve essere succubi dei poteri e delle ideologie di questo mondo. Pietro deve sempre insegnare che fra obbedire a Cesare e obbedire Dio, bisogna scegliere Dio.

FRANCESCO E I MEDIA

E non basta nemmeno dichiarare apertamente la scelta giusta, perché la “dittatura” del “politically correct” è insidiosa. Esemplare e inquietante è il modo in cui si piegano certe frasi di papa Francesco verso questo “pensiero unico”.
Mentre vengono ignorati certi suoi interventi molto decisi, come quelli di venerdì scorso, contro l’aborto, l’eutanasia e per la famiglia naturale uomo-donna (“occorre ribadire il diritto del bambino a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare in relazione alla mascolinità e alla femminilità di un padre e di una madre”).

Il Papa – in chiaro riferimento all’attualità – ha anche invitato a “sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. A questo proposito” ha aggiunto “vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del “pensiero unico’ ”.

Nella notte del “pensiero unico” queste parole sono luce e libertà per tutti come lo sono state quelle di Wojtyla e Ratzinger.




Antonio Socci

NELLA CORSA PER AFFERRARLO

 A chi di noi non piacerebbe essere qui questa sera con la stessa faccia tutta spalancata, tutta tesa, tutta desiderosa, piena di stupore, di Pietro e Giovanni in cammino verso il sepolcro la mattina di Pasqua?

Chi di noi non desidererebbe essere qui con quella tensione a cercare Cristo, che vediamo nei loro volti, con il cuorepieno di quell’attesa di trovarLo ancora, di rivederLo di nuovo, di essere attratti, affascinati come il primo giorno? Ma chi di noi aspetta veramente che possa succedere una cosa come questa?

Come loro, anche noi facciamo fatica a dare credito all’annuncio delle donne, cioè a riconoscere il fatto più sconvolgente della storia, a darvi spazio dentro di noi, a ospitarlo nel cuore perché ci trasformi. 

Anche noi, come loro, sentiamo il bisogno di essere di nuovo
afferrati, perché si ridesti in noi tutta la nostalgia di Cristo.
Domandiamo insieme allo Spirito Santo di ridestare in ciascuno di noi l’attesa, il desiderio di Lui.

Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione
Rimini, 4 aprile 2014

Appunti dall’Introduzione di Julián Carrón 

IL MIRACOLO DI GIACOMO, VISSUTO 19 ORE

MASSIMO PANDOLFI  12 aprile 2014

Piero della Francesca Madonna del Parto
Il miracolo di Giacomo. Nato e morto dopo 19 ore, 4 minuti e 12 secondi. Era un condannato a morte Giacomo. Senza speranza. L’ecografia, al terzo mese di gravidanza, non aveva lasciato spazio al minimo dubbio: il bimbo era anencefalico, cioè privo di scatola cranica. Possibilità di sopravvivenza: zero per cento. E infatti Giacomo è morto.
Eppure questo lampo di vita inutile, o presunto tale, ha dato e sta dando dei frutti incredibili: ed è questo il miracolo.
Oggi, a Bologna, all’ospedale Sant’Orsola, con un convegno internazionale, si comincia un percorso importante che porterà il reparto di Neonatologia a diventare praticamente il primo in Italia che si prenderà istituzionalmente cura, in modo diverso, dei bambini nati e condannati a vivere pochi minuti o poche ore. Si seguiranno percorsi alternativi, come è stato fatto per Giacomo. Per quelle 19 ore, 4 minuti e 12 secondi, Giacomo ad esempio non è stato in una incubatrice, in una sala rianimazione o in chissà quale tecnologico marchingegno. E’ rimasto in camera con mamma Natascia e papà Mirco: così, semplicemente,fra le braccia dei suoi genitori. Ed è stato coccolato anche dai suoi fratellini, Federico e Francesca, che sapevano che avrebbero potuto giocare per poco, pochissimo, con Giacomino.
Si chiama «Percorso Giacomo» il protocollo che in queste settimane hanno studiato al Sant’Orsola e vogliono mettere in pratica. Unito a un’assistenza medica continua con la famiglia.
E sono tutti d’accordo, cattolici e laici. Perchè la bellezza e la singolarità della storia nata con Giacomo è che non se n’è fatta una questione etica. Quelli schierati da una parte e quelli schierati dall’altra. No, un fatto, un’esperienza ha impedito che si finisse incartati fra infinite e irrisolte bagarre ideologiche.
Il tutto ha ancora più dell’incredibile perchè Natascia, la mamma, aveva già avuto un’altra figlia, undici anni fa, nata con la stessa malformazione di Giacomo. Anche lei è morta subito dopo il parto.
Quando hanno scoperto che Giacomo avrebbe avuto lo stesso destino, il ginecologo le disse: «Non faccia la pazzia dell’altra volta».
Natascia — che pure è cattolica, convinta, praticante — ha urlato forte, dentro di sè: «Signore, ma dove c...sei?». Voleva abortire.
Poi sono successe tante cose, il cardinale di Bologna Carlo Caffarra ha preso la famiglia per mano e Natascia, alla fine, ha rifatto questa ‘pazzia’. «Che senso ha avuto tutto questo? Faccio un esempio: Da due anni anche il matrimonio andava così così, tutto era diventata un incastro di cose, la famiglia, il lavoro, i bambini. Così la vita la sciupi, la sopporti. Abbiamo ripreso ad amare la realtà. Le 19 ore di Giacomo hanno inciso più dei miei 40 anni di vita».

INTERVISTA ALLA MAMMA

Signora Natascia, perché ha fatto nascere un bimbo destinato a morire in un lampo?
«A dire il vero, quando seppi della malformazione di Giacomo, pensai di abortire. Il ginecologo mi disse: ‘Non faccia la pazzia di undici anni fa’».
Che sarebbe?
«Mi era capitata la stessa cosa. Ho portato avanti la gravidanza di Michela, morta pochi attimi dopo il parto. Come Giacomo».
Che senso ha tutto questo?
«Me lo sono chiesto anch’io. Urlavo forte al Signore, un anno fa: ‘Ma dove sei, dove sei?’».
Quanto ha influito la sua forte fede cattolica?
«Non me la potevo cavare con un ‘la vita è un dono’ e quindi andare avanti a testa bassa. Stavolta di sicuro non mi bastava più».
E cosa ha fatto?
«Ne ho parlato con mio marito, Mirco, che mi ha detto: ‘Ti seguo, sono con te, fai la cosa che ti fa meno male’».
E lei?
«Temevo che sarebbero stati sei mesi inutili»
E’ vero che l’ha convinta il cardinale Caffarra a non abortire?
«Guardi, la prima volta che sono andata da lui pensavo di incastrarlo. Volevo fargli dire che questa non è vita. Gli ho posto tre domande, arrabbiata».
Che erano?
«Prima: il bimbo che porto in grembo non ha cervello. E’ una vita? Poi: è la seconda volta che mi capita, non sarà un disegno del diavolo? Terza: dov’è adesso Michela, la mia prima figlia nata morta? E dove andrà Giacomo?»
Le risposte di Caffarra?
«La prima: è un bambino vero, e soprattutto è tuo figlio. Seconda: è un dono di Dio, perché il Diavolo non può dare e togliere la vita. Può solo allontanarti dalla verità ed è quello che sta cercando di fare. Terza: Michela è tra le braccia di Dio, Ci andrà anche Giacomo».
Convinta?
«Scossa, ma serviva di più».
E cosa ha fatto Caffarra?
«Mi ha preso le mani, me le ha strette forte e mi ha detto: io sarò sempre con te. Vai ogni giorno a San Luca, chiedi alla Madonna di aiutarti a correre come ti viene chiesto, ora non ce la fai perchè sei troppo lacerata. Ma chiedi aiuto! Chiedi, chiedi».
Torniamo a monte: che senso ha avuto tutto questo?
«Le rispondo con un esempio. Da un paio d’anni il matrimonio andava così e così, eravamo travolti dalle cose da incastrare, avevamo perso il cuore di tutto. Così la vita la sciupi, la sopporti. Non amavo più la realtà. Ora è cambiato tutto».
Miracolo di Giacomo...
«Io per Giacomo ho chiesto per mesi e mesi anche il miracolo vero e proprio, la guarigione. Ho scritto ai due Papi, Francesco e Benedetto, che mi hanno risposto, con tenerezza. Mi sono rivolta ovunque. Ho alzato bandiera bianca all’ecografia del sesto mese. Allora ho detto: ‘Mi arrendo, però Gesù ora dimostrami la tua tenerezza e la tua potenza’».
Risultato?
«Le 19 ore di Giacomo hanno inciso più di 40 anni della mia vita».
Gli altri due suoi suoi figli, Federico e Francesca?
«Hanno giocato per quelle 19 ore con lui, lo coccolavano, anche se erano preparati al lutto. Francesca, la più piccola, disegna la nostra famiglia e ci mette sei persone. Anche Giacomo e Michela».
E ora l’ospedale Sant’Orsola lancia il percorso Giacomo.

«Vedevo in corsia tutto questo via vai di medici, infermiere, ostetriche. Io mi chiedevo: ma cos’hanno visto? Una caposala ha risposto: ‘Ho visto un bambino che non doveva esserci e c’era. E una famiglia che lo amava’».