di
Gloria Riva
Crocefisso scuola Giottesca; Sestino, Montefeltro |
Lo conoscono in pochi questo paesino sperduto tra gli
Appeninni, proprio sotto il Sasso Simone e Simoncello, dove la parte
marchigiana del Montefeltro, confina con la Toscana. Si chiama Sestino ed era
la sesta provincia romana, la più vicina al Mare Adriatico. Qui, oltre a un
museo che raccoglie i resti dell'antica provincia romana, si possono ammirare
due crocefissi di scuola (giottesca) riminese.
Entri nella pieve di san Pancrazio e non puoi fare a meno di sollevare lo sguardo. Nel catino absidale pende una croce dipinta bellissima e maestosa, carica di simbologia. Forse unica nel suo genere.
Il Cristo maestoso e bianchissimo adagia le braccia sulla croce come per raggiungere i confini della terra. Le trafitture dei chiodi gettano rigoli di sangue e i piedi sono inchiodati insieme e non separatamente, com'era d'uso nei crocefissi fino all'XI secolo. Questo è già il Christus Patiens col volto dolente e gli occhi chiusi. Dal suo fianco ferito zampillano sette rigagnoli di sangue che cadono idealmente sopra l'altare sottostante. Gli altri due rigagnoli di sangue corrono lungo il corpo del Salvatore. Questa ferita è la sorgente dei sette sacramenti e del comandamento nuovo dato da Gesù ai suoi (l'amore a Dio e l'amore al prossimo). Da qui nasce la nuova Eva, la Chiesa, simboleggiata dalla Madonna e da San Giovanni che si trovano nei terminali del braccio orizzontale della croce. Ma quello che più sorprende è il simbolo del pellicano che campeggia proprio sopra il capo di Cristo, tra la scritta INRI e la cimasa.
Entri nella pieve di san Pancrazio e non puoi fare a meno di sollevare lo sguardo. Nel catino absidale pende una croce dipinta bellissima e maestosa, carica di simbologia. Forse unica nel suo genere.
Il Cristo maestoso e bianchissimo adagia le braccia sulla croce come per raggiungere i confini della terra. Le trafitture dei chiodi gettano rigoli di sangue e i piedi sono inchiodati insieme e non separatamente, com'era d'uso nei crocefissi fino all'XI secolo. Questo è già il Christus Patiens col volto dolente e gli occhi chiusi. Dal suo fianco ferito zampillano sette rigagnoli di sangue che cadono idealmente sopra l'altare sottostante. Gli altri due rigagnoli di sangue corrono lungo il corpo del Salvatore. Questa ferita è la sorgente dei sette sacramenti e del comandamento nuovo dato da Gesù ai suoi (l'amore a Dio e l'amore al prossimo). Da qui nasce la nuova Eva, la Chiesa, simboleggiata dalla Madonna e da San Giovanni che si trovano nei terminali del braccio orizzontale della croce. Ma quello che più sorprende è il simbolo del pellicano che campeggia proprio sopra il capo di Cristo, tra la scritta INRI e la cimasa.
Il pellicano, che secondo la tradizione si ferisce il
petto per nutrire con la sua carne i piccoli, è
immagine di Cristo, Pie pellicáne, Jesu Dómine lo definisce,
infatti San Tommaso nell'Adoro te devote. Il pellicano è, dunque, un
potente richiamo simbolico al Giovedì Santo, al momento in cui Cristo
istituisce la nuova Pasqua nel suo sangue. Il pane e il vino distribuiti
nell'ultima cena ai suoi, segno del suo Corpo dato e del suo Sangue versato,
rivelano tutta la pregnanza di significato nell'ora della croce. Sulla croce,
davvero Cristo è il pio pellicano che dà se stesso in cibo.
Lo scomparto collocato nella parte più alta del
braccio verticale, la cimasa, presenta il Cristo Pantocratore,
Signore di tutte le cose; il Giudice, colui che verrà a giudicare i vivi e i
morti per mezzo della sua Parola potente, una spada a doppio taglio che penetra
fino alle midolla rivelando all'uomo la verità. L'immagine è classica: Cristo
ci guarda fisso, con il libro in mano e lo sguardo benedicente, veste di rosso
e di blu, colori che rimandano alle sue due nature: quella umana e quella
divina. Nella mano sinistra tiene stretto il libro della Parola e porta il pettorale
del sommo sacerdote: è il Cristo, giudice, re e sacerdote, rientrato in quella
gloria che già possedeva prima che il mondo fosse.
Al fedele che si accosta all'altare o
che partecipa alla liturgia della Messa nella pieve di san Pancrazio, la croce
racconta sinteticamente i giorni più importanti dell'anno liturgico: il triduo
pasquale. Sono i giorni fondanti la nostra fede e narrano il kèrigma: «Cristo
morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il
terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici»
(1Cor, 15, 3-5). Non a caso sotto il pellicano ci sono quattro piccoli, simbolo
di quegli evangelisti che in tutto il mondo hanno diffuso la volontà del loro
Signore: compiere ovunque quel gesto in memoria di Lui.
Sì, Cristo ha patito per noi e
si è liberamente consegnato alla morte per la nostra salvezza. E che quest'uomo
crocefisso si sia liberamente dato, si evince dalla maestà del suo morire e dal
simbolo del pellicano che, appunto, liberamente dà la sua carne. E ciò avviene
non principalmente per una espiazione, ma per la vita dei suoi piccoli.
Allo stesso modo, che il Pantocratore della cimasa non
sia un giudice implacabile che incute timore, ma un Dio misericordioso e
fedele, lo dice ancora il pellicano e l'offerta sacrificale sulla croce: il
Signore Gesù giudicherà il mondo a partire dalla misura di questo amore.
Così le croci dipinte, pur
nell'abbondanza dei rigoli di sangue e nell'evidenza del pallore mortale, non
vogliono rappresentare un dolore, ma vogliono rivelare un amore la cui grazia
santificante si perpetua nel tempo grazie alla liturgia della Chiesa. Tanto
nella Pasqua di ogni anno che nella pasqua settimanale.
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