Mario Adinolfi sorprendente e
spiazzante
Un
ragionamento da sinistra, sorprendente e spiazzante, denso di dati e cifre, sui
temi controversi del nostro tempo: matrimonio omosessuale, aborto, eutanasia
infantile, diagnosi prenatale, “dolce morte”, omogenitorialità, uteri in
affitto, transessualità, rapporti familiari.
Facendosi accompagnare da Pasolini e De André, un intellettuale controcorrente compie un viaggio con al centro la figura della donna e l’esaltazione della maternità.
Questo è
l’ultimo capitolo del libro.
CAP. 15.
CONCLUSIONI ANCHE POLITICHE
Sono una
persona di sinistra. Di sinistra non generica, non da bar. Ho contribuito alla
fondazione del più grande partito della sinistra italiana, sono stato candidato
alla segreteria nazionale alle sue primarie fondative nel 2007, sono stato
membro della direzione nazionale e della commissione che ne ha scritto lo
statuto. Sono stato orgogliosamente un deputato della Repubblica iscritto al
gruppo parlamentare del Partito democratico. Non vengo da una formazione
marxista, provengo dall’esperienza del popolarismo italiano (ri)fondato da Mino
Martinazzoli, ma mi sono sempre considerato dentro l’esperienza vasta e
complessiva della sinistra italiana. Non per caso, ripeto, non per una
chiacchiera da bar, ma per una precisa collocazione intellettuale. Norberto
Bobbio nel suo illuminante “Destra e sinistra” spiegava come orientarsi nella
dicotomia tra queste due parole chiave della politica e della storia contemporanea:
chi è di destra tende a privilegiare il valore della libertà, chi è di sinistra
si identifica di più con il valore dell’uguaglianza. Ecco, io ho sempre
considerato prioritariamente intollerabili le disuguaglianze, le ingiustizie,
le prepotenze derivanti da un sistema che se non si fonda su un’economia
sociale di mercato, diventa invece di capitalismo liberista senza limitazioni e
produce storture terribili i cui effetti si vedono nella terrificante
condizione delle donne e delle giovani generazioni nel contesto contemporaneo.
Sono una persona di sinistra perché per istinto e per ragione sto con il
soggetto più debole: se c’è un diritto da tutelare, viene prima quello di chi
non ce la fa a tutelarlo da solo. Lì deve intervenire l’azione della politica,
lì sono intervenuto io nella mia azione di esponente di sinistra e di
parlamentare impegnato in particolar modo nella difesa dei diritti dei più
giovani, schiacciati tra precarietà non solo economica ma ormai esistenziale e
un blocco ormai prolungato di qualsiasi forma di ascensore sociale. Ho speso la
mia vita politica a sostegno dei diritti delle persone più deboli, con
cognizione di causa e impegno costante, avendo come faro il valore
dell’uguaglianza da mettere prima delle storture derivanti dal totem della
libertà individuale: questo fa di me, senza dubbio alcuno, una persona di
sinistra.
Ebbene, alla
sinistra è rivolto questo libro. A tutti, certo, ma in particolar modo alla
sinistra che attraversa la più profonda crisi della sua storia. E’ una crisi di
identità, innanzi tutto: non si sa più cosa significhi essere di sinistra. Anzi
ci sono alcuni, molti, che ritengono superata la dicotomia analizzata da
Bobbio: ci dicono, destra e sinistra sono categorie superate dalla storia, non
ci si può più definire con queste categorie obsolete. Io non lo credo. Credo
sia anzi sempre più evidente la diversità tra chi mette al centro della propria
azione la tutela del totem della libertà individuale e dei falsi diritti che ne
deriverebbero e chi invece agisce politicamente spinto dalla necessità di
tutelare le persone dalla violenza della disuguaglianza, dell’ingiustizia,
della prepotenza del più forte sul più debole.
Credo però
che la sinistra, nello sforzo di definire una propria leggibile identità nel
percorso complesso della contemporaneità, stia commettendo il più tragico degli
errori: ha deciso di camuffarsi, di aderire acriticamente allo “spirito del
tempo”, di dimenticare i propri valori fondanti. Complice una sempre più vasta
ignoranza, una spaventosa desertificazione culturale e intellettuale, la
sinistra prova a ridefinirsi inseguendo le mode. La più sciocca è quella dei
cosiddetti “diritti civili”, che già solo nella definizione fa sorridere, come
se esistessero diritti che sono incivili.
In Spagna
con le modifiche scellerate al diritto di famiglia e alla legge sull’aborto di
José Luis Zapatero, in Francia con il “mariage pour tous” di François Hollande,
persino negli Stati Uniti con lo zigzagare di Barack Obama sul tema del
matrimonio omosessuale, la sinistra ha deciso di definirsi dimenticando la
radice della propria ragion d’essere: la difesa del soggetto più debole. I
leader che hanno seguito questa strada ne sono stati travolti: Zapatero, dopo
aver governato una legislatura, non ha potuto neanche ricandidarsi alle
successive elezioni e il suo stesso partito ha fatto di tutto per far
dimenticare la sua figura; Hollande in Francia è al minimo storico di consensi
di un presidente nella storia della République; quanto a Obama, consiglio una
passeggiata negli Stati Uniti per capire quanto poco sia considerato. Aggiungo
un purtroppo.
In questo
delirio dissolutivo, in molti a sinistra hanno pensato che definirsi partendo
dall’attacco alla famiglia tradizionale sostituendola con l’ambiguo plurale “le
famiglie”, sostenendo posizioni a mio avviso chiaramente di destra estrema e
nazista, non a caso figlie di un’ideologizzazione del totem della libertà
individuale, come quelle a favore dell’eutanasia infantile, delle diagnosi
preimpianto, della “dolce morte” e dell’aborto liberalizzato per tutti e in
tutte le condizioni, potesse essere un modo di rimediare al vuoto.
La
conseguenza è stata una ridefinizione, sì, ma completamente errata rispetto
alle premesse. Si è di sinistra solo se si sostiene il soggetto più debole. Tra
un neonato che è poggiato sul petto di sua madre dopo il parto e una coppia di
ricchi omosessuale che si sono comprati quell’utero facendo leva sulla
condizione di bisogno della donna e ora vogliono strappare il bimbo al seno
della mamma, una persona di sinistra istintivamente con chi sta? Non ho neanche
bisogno di rispondere, credo. Invece a sinistra si è fatta strada l’idea che in
nome dei cosiddetti “diritti civili” sia un grande mito di progresso consentire
il matrimonio omosessuale, rompere la sacralità della maternità, renderla
oggetto di compravendita perché il diritto a sposarsi comporta il diritto a
“mettere su famiglia” e nelle legislazioni dove si consente il matrimonio
omosessuale si consente di fatto alle procedure di gestazione per altri, cioè
di utero in affitto e altre bestialità.
Tutto si
tiene. Se a sinistra mettiamo in crisi il concetto centrale del sostegno al più
debole, diventando di fatto di destra per difendere il totem della libertà
individuale e dei falsi diritti che ne derivano, allora si capisce come si
smetta di difendere il bambino senza voce che ha diritto a nascere molto di più
di quanto la donna abbia il diritto di abortirlo, l’anziano e il malato grave
che ha bisogno di assistenza e non di sentirsi un peso per la società e la
famiglia da eliminare con una “dolce” morte di Stato, la famiglia che fa fatica
a portare avanti la carretta dell’educazione e della crescita dei figli,
sostenendo magari in casa altre persone non autosufficienti.
La sinistra
che attacca e vuole cancellare la figura chiave della madre, sostituendo i
concetti decisivi e radicali di maternità e paternità, con una confusa
“genitorialità” che si sostanzia nelle figure generiche e politicamente
corrette del “genitore 1″ e “genitore 2″, fa venire davvero in mente la notte
di Hegel, quella in cui tutte le vacche sono nere. In assenza di identità, si
vuole far finire tutto nell’indistinto. Errore culturalmente, politicamente,
umanamente mortale.
No. Io
voglio la mamma. A conclusione di questo percorso vedo un’unica possibilità di
futuro: tornare a star vicino ai soggetti più deboli di una società in crisi.
Dovremmo trasformarci tutti in mamme, provare tutti verso il nostro prossimo
l’immensa tenerezza che prova una mamma verso il proprio figlio. E’ istintiva,
è inspiegabile, è inattaccabile perché è naturale. E’ la tenerezza
profondamente umana, di cui cresce il bisogno.
Siamo ai
saluti. Ringrazio prima le mie figlie, Livia e Clara, senza le quali non avrei
ovviamente potuto scrivere queste righe: non sono stato il migliore dei padri,
ma sono state fortunate perché hanno avuto madri clamorosamente brave e
coraggiose. Ringrazio i tanti che hanno letto le anticipazioni di questo libro
sui social network, scatenando migliaia di commenti e condivisioni, in un clima
non facile ma con tanta voglia di costruttività, anche di molti di coloro che
non apprezzano le idee qui esposte: è stato un modo nuovo di scrivere un libro,
ma sono un figlio della rete e non avrei saputo fare diversamente. Ringrazio i
compagni e gli amici del Pd, partito al quale per la prima volta quest’anno non
mi sono iscritto e che alle elezioni non ho votato, sperando che queste parole
producano un qualche ravvedimento o almeno un dibattito: sono comunque la mia
famiglia politica, anche se ormai so che “morrò pecora nera”. Ringrazio la mia
Chiesa, il magistero del Beato papa Giovanni Paolo II il Grande, la finezza
intellettuale di Benedetto XVI, la figura carica d’amore per il prossimo di
papa Francesco, i fedeli tutti e la comunità parrocchiale romana di Santa Maria
Liberatrice al Testaccio dove per sette anni ho orgogliosamente servito Messa:
ho scritto queste righe non da cattolico, nulla di quel che è contenuto qui ha
a che fare con una dimensione religiosa ma è stato scritto laicamente da un
laico, peraltro platealmente peccatore, ma quando si parla tanto di omofobia a
me non può non venire in mente la “cattolicofobia” che fa strage vera di
cristiani in ogni angolo della Terra e che rende difficile anche solo
proclamare il nome di Gesù, di cui resto un soldato anche se non mi accosto
all’Eucarestia, ripetendo però dal profondo del mio cuore che “non sono degno
di partecipare alla Tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato”.
Ringrazio la mia sorellina Ielma che mi ha fatto ragionare tanto, dalla notte
tra il 5 e il 6 ottobre del 1997, sul valore della vita e sulla terrificante
decisione del darsi la morte. Ringrazio Silvia, per le incomprensibili ragioni
del suo amore per me e per aver accettato l’8 giugno 2013 di sposare a Las
Vegas a mezzanotte un ciccione con i pantaloni della tuta, le Nike giallo
fluorescenti e in testa una paglietta dei mobsters, i mafiosi dell’epica
fondazione di Sin City, mentre lei era bellissima in abito bianco, il bianco
della purezza del suo essere, del suo amare, del suo essere moglie e madre.
Ringrazio il mio papà e tanto la mia mamma, come potrei non farlo alla fine di
un libro così: stanno insieme da tanti anni, invecchiano borbottando ma
volendosi bene, lei ancora conserva come una reliquia la pietra con cui schiacciavo
da bimbo i pinoli al parco e il piatto che decorai all’asilo con la scritta “Ti
voglio bene mamma”, la scritta è ancora valida. Ringrazio Pier Paolo Pasolini,
esempio di vita controvento e di intellettuale libero davvero, figura
cristologica del nostro tempo. Ringrazio voi che vi siete letti tutto questo,
voi che lo farete leggere ad altri, voi che avete apprezzato, voi che non
condividete nulla di quanto scritto. Non c’è astio, non c’è faccia feroce, non
c’è compiacimento e non c’è soddisfazione. Ora mi sento, finalmente, vuoto. Che
sarebbe come dire, in pace. Tutto quello che da tempo mi teneva in subbuglio
l’ho riversato qui.
Ora, per
tutti, un sorriso.
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