Il britannico Christopher Henry Dawson,
essendo morto nel 1970, non ha certo potuto ascoltare l’ultima prolusione del
cardinale Angelo Bagnasco. Avrebbe ricevuto l’ennesima conferma che il suo
sacrosanto programma di promozione globale della cultura cattolica è ancora
un’utopia, a mezzo secolo di distanza dalla pubblicazione del suo saggio (1961)
sulla crisi dell’educazione in Occidente. Avrebbe udito Bagnasco constatare -
il 24 marzo 2014 - che l’«Occidente non è più il centro del mondo» e,
nonostante ciò, impone al resto del pianeta «leggi immorali» con «mezzi spesso
ricattatori». Lo avrebbe udito chiedersi sconsolato (e abbastanza isolato) se «questo
è il cammino della civiltà» europea, cara a Dawson, che non si è limitata
finora a disprezzare l’umanesimo, ma lo «vuole corrompere» con empia e
quotidiana determinazione.
È un Occidente asfittico, eutanasico,
impelagato nell’«iperindividualismo» - o nel «fondamentalismo libertario», come
lo chiama Francesco Botturi (“Avvenire”, 26 marzo 2014) -, che è «all’origine
dei mali del mondo», che corrompe i giovani tramite una scuola «ideologica e
supina», che vuole «omologare tutto, fino a trattare l’identità di uomo e donna
come pure astrazioni». Bagnasco è forse un profeta di sventura? No. Legge
semplicemente i segni dei tempi, come dovrebbero fare tutti i cristiani,
indicando in questo caso ciò che resta della nostra civiltà come «vera
dittatura». E anche Dawson lesse i segni dei tempi perché, assai prima del
Sessantotto e assai prima del personal computer, affermò che «Frankenstein
rappresenta la nostra epoca ancor più fedelmente di quanto Faust rappresentasse
l’epoca di Goethe». Voleva intendere l’epoca contemporanea, più figlia delle
due guerre mondiali che di una qualche cultura, dove l’ordine tecnologico è
sfuggito da ogni controllo umano, così come il Frankenstein di Mary Shelley
sfuggì dal controllo del suo costruttore.
Ma cosa c’è di così necessario nella
cultura cristiana, per lo storico Dawson? Essenzialmente la tutela, almeno,
della salute psichica degli studenti, la cui mente è «sopraffatta e intontita
dal volume di nuova conoscenza» - spiega in “La crisi dell’istruzione
occidentale”. Il problema è che l’«istruzione statale obbligatoria» odierna ha
due grossi difetti: l’«utilitarismo democratico» e l’«ideale della
specializzazione scientifica». Al contrario, pur con tutti i suoi limiti «la
vecchia istruzione umanistica», formatasi in ambito cristiano, studiava la
cultura classica, che «era vista come un tutto». Questo è il punto: l’Occidente
non può più offrire molto alla civiltà moderna, perché si sta disintegrando
dall’interno; ha perso il fondamento di una visione unitaria della realtà, per
perdersi dietro agli enciclopedismi e ai saperi quantitativi della
specializzazione tecnica. L’autore, da sempre interessato all’indagine
sull’impatto della religione cristiana nel mondo classico greco e romano,
ripercorre qui le tappe dell’inculturazione del cristianesimo e dimostra come,
nonostante guerre e rivoluzioni di ogni genere, la civiltà occidentale non sia
venuta mai meno, proprio per il suo carattere unificante. Dawson propone di
coinvolgere le Università in un progetto di studio sistematico della cultura
cristiana, che è poi uno studio delle nostre radici, «come mezzo d’integrazione
e di unità», per contrastare le spinte centrifughe e distruttive
dell’utilitarismo e dell’eccessiva specializzazione.
La cultura cristiana - scrive - «non è
qualcosa di cui ci si debba vergognare» ma, anzi, una garanzia della
«continuità della tradizione educativa». Se invece si attuasse una «rottura»
culturale, questo «significherebbe la morte della civiltà». Dal cristianesimo
primitivo, la cultura cristiana è passata per il periodo patristico, per il
Medioevo, per l’Umanesimo e il Rinascimento, così da approdare alla modernità.
Ne è nata non solo una cultura, ma una civiltà. Perdere di vista l’elemento
religioso significa, per l’autore, perdere la sostanza di noi stessi, che non è
tanto rintracciabile nel solo concetto di cultura, ma in quello di civiltà, che
è «l’entità che costituisce il più alto campo di studio intelligibile». La
civiltà, pertanto, «può essere descritta come una supercultura».
Ma questo, almeno dagli anni Sessanta ad
oggi, non sembra scalfire la vita quotidiana occidentale, dove gli unici valori
sono quelli nelle banche, a disposizione di pochi privilegiati. L’andazzo
difficilmente sarà invertito, per via del tracollo scolastico e universitario,
dove la specializzazione ha soppiantato una vera e propria educazione. E i
ragazzi (futuri gestori dell’ambito civile) colpiscono non tanto per la
congenita maleducazione, ma per la manifesta diseducazione che li ha formati.
Oggi la cultura - vecchio ma oculato ritornello - è «completamente
secolarizzata», come ripeteva già Dawson nel dopoguerra. E questa parodia della
cultura - sentenzia lo storico britannico - «è un mondo di fantasia in cui i
personaggi del cinema e dei fumetti sembrano molto più reali dei personaggi del
Vangelo».
Silvio Brachetta
Christopher Dawson, “La crisi
dell’istruzione occidentale”, D’Ettoris Editori, Crotone 2012, pp. 213, euro
19,90.
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