sul sito della Fraternità sacerdotale San Carlo, di cui è stato fondatore e
guida, monsignor Massimo Camisasca, attuale vescovo di Reggio Emilia-Guastalla,
ha firmato il seguente articolo sulla teoria del gender. Lo riproduciamo di
seguito.
La constatazione
che viviamo durante un’epoca di cambiamenti, anzi di trasformazioni profonde e
radicali, è così ripetuta e ovvia da divenire un luogo comune. Eppure non è
inutile. Se tutto corre vertiginosamente, c’è qualcosa che rimane e che ci
permette di cogliere quanto di prezioso e positivo c’è nel cambiamento, ma
anche ciò che vi è in esso di negativo ed anzi dannoso per l’uomo e la sua vita
presente e futura?
È compito del
vescovo operare questo discernimento assieme alla sua Chiesa e a favore della
sua Chiesa, traendo dalla Tradizione ecclesiale, in cui ha un posto particolare
la Sacra Scrittura, l’orientamento e la luce per educare il suo popolo, con
l’aiuto essenziale dello Spirito Santo. Il vescovo non è uno psicologo, un
sociologo, un filosofo e neppure propriamente un teologo. È buona cosa che sia
esperto di filosofia e teologia, può essere aiutato dalla conoscenza delle
scienze umane, ma non può certo mettersi a competere con gli esperti di ogni
singola disciplina. Deve trovare le luci che orientino il cammino, lasciando ad
altri l’approfondimento creativo e dialettico delle risposte.
È indubbio che
una delle trasformazioni più profonde che sta avvenendo sotto i nostri occhi,
ma che in realtà è in atto da alcuni secoli, riguarda la concezione che l’uomo
ha di se stesso.
Semplificando
potrei dire così: due grandi opzioni, due grandi alternative si sono poste allo
sguardo dell’uomo che si osserva vivere, agire, crescere e avviarsi verso la
maturità e la vecchiaia.
La prima: “Io sono un mistero a me stesso, mi accorgo
innanzitutto di essere stato generato, mi sono trovato al mondo, non sono io
che mi sono voluto. Certo, posso intervenire su tanti aspetti della mia
persona, fisica, psichica, morale (si pensi quanto questo è vero con lo
sviluppo e l’applicazione delle tecnologie alle scoperte della scienza), ma non
posso negare un dato incancellabile: all’origine del mio essere c’è un altro o
ci sono degli altri”. La riduzione della natura a cultura non può nascondere un
inizio che non è prodotto dal soggetto.
La seconda:
“Io sono l’artefice della mia realtà di uomo o di donna. La vita è un farsi da
sé, secondo i propri sentimenti, le proprie opzioni o idee. In questa
costruzione continua del proprio io può stare anche la costruzione della
propria sessualità, anzi della propria identità sessuale, sempre cangiante a
seconda dei desideri delle varie età della vita”.
Ognuno può
vedere come questa seconda posizione, in cui l’uomo ha, o pensa di avere, una
totale capacità di plasmare a piacimento il proprio io, sia il frutto di
filosofie e di ideologie che hanno cambiato profondamente l’uomo europeo.
Le scoperte
scientifiche, grandioso segno dell’altezza dell’ingegno umano, sganciate da
ogni considerazione etica e sociale, hanno fatto dell’uomo un nemico di se
stesso e dei propri fratelli.
Se non c’è più nessuna natura da riconoscere e
rispettare, rimane soltanto la forza e l’esito sarà una guerra terribile degli
uni contro gli altri. Papa Francesco, nella Evangelii Gaudium,
ci ha messo in guardia dalla «diffusa indifferenza relativista» che «non
danneggia solo la Chiesa, ma la vita sociale in generale.
Riconosciamo – scrive
– che una cultura, in cui ciascuno vuole essere portatore di una propria verità
soggettiva, rende difficile che i cittadini desiderino partecipare ad un
progetto comune che vada oltre gli interessi e i desideri personali» (Evangelii Gaudium, 61).
A quest’ultima
visione dell’uomo come artefice di se stesso si rifà la teoria del gender,
dei generi, apparsa per la prima volta negli Stati Uniti quasi sessant’anni fa.
In realtà essa è frutto di una lunga incubazione del pensiero occidentale, che
ha trasferito la propria attenzione sempre più dalla persona all’individuo,
slegato da ogni appartenenza e portatore soltanto di diritti.
Essa vuole
«rifondare la società su un’“umanità nuova”, “liberata” dai termini uomo e
donna, padre e madre, sposo e sposa, figlio e figlia, matrimonio e
famiglia»[1].
Divenuta norma
politica universale dalla quarta conferenza dell’ONU sulle donne del 1995, è
«da allora una delle priorità trasversali del governo mondiale. […] Benché il
suo contenuto sia di una violenza inaudita, aberrante, la rivoluzione del
gender utilizza strategie e tecniche di trasformazione sociale dolci, che la
rendono spesso impercettibile»[2].
«Questa nuova
antropologia rifiuta una natura umana comune a tutti – scrive il filosofo
Vittorio Possenti – e ritiene che l’essere umano sia una mera costruzione
sociale in cui emergono la storicità delle culture, la decostruzione e la
relatività delle norme morali, la centralità inappellabile delle scelte
individuali»[3]. La differenza corporea viene minimizzata, mentre la dimensione
strettamente culturale (il gender) è ritenuta
primaria. «L’identità sessuale diventa una scelta libera, mutabile anche più
volte»[4].
Vorrei fare
alcune osservazioni. È un bene per l’uomo e per la donna essere portati a
considerare che è senza significato avere un’identità sessuale chiara, anzi,
che sia meglio non averne nessuna? Il maschile e il femminile non sono forse
necessari per la definizione stessa della condizione umana? Non si può certo
sostenere che la differenza tra uomo e donna sia una teoria nata col cattolicesimo[5].
Essa è piuttosto un’evidenza razionale, confermata dall’insegnamento della
tradizione giudaico-cristiana.
Silviana Agacinski,
scrittrice, giornalista e filosofa francese, ricercatrice presso la Scuola di
Alti Studi e Scienze Sociali a Parigi, ha scritto numerosi libri sul rapporto
tra i sessi.
Ha riassunto le sue ricerche in un articolo pubblicato di recente
(«Vita e Pensiero», febbraio 2013): «L’idea che il genere umano è sessuato,
formato da uomini e donne, costituisce l’oggetto di un’esperienza universale,
legata al modo in cui gli umani si generano gli uni dagli altri, come la
maggior parte dei viventi. Platone definisce la differenza sessuale come una
differenza relativa alla generazione. Anche la Bibbia la lega alla fecondità,
soprattutto in uno dei due racconti dedicati alla creazione dell’uomo: […]maschio e femmina li creò (Gen 1,28). Queste
parole vertono a un tempo sull’unità e sulla dualità dell’uomo, creato da
subito plurale, maschio e femmina. Come immagine di Dio, l’uomo è uno, ma allo
stesso tempo, è due»[6].
Mi sono permesso questa lunga citazione di una
studiosa laica perché essa mette in luce l’accordo fra ragione e tradizione
giudaico-cristiana. L’Agacinski nelle sue opere sottolinea quanto la donna, dal
punto di vista culturale, abbia dovuto lottare per il riconoscimento della
propria parità. Anche attraverso i movimenti femministi.
Ma nella teoria del gender si tratta di ben altro. «Possiamo certo
ammettere – scrive – che la norma eterosessuale tradizionale pesi su chi non
può riconoscersi in essa e che sia quindi necessario interrogarla per rompere
il vecchio tabù che pesa sull’omosessualità e per rispettare gli orientamenti
sessuali di ognuno. Ma la diversità degli orientamenti sessuali non sopprime la
dualità dei sessi: la conferma, anzi. In effetti possiamo parlare di
orientamenti – eterosessuali, omosessuali o bisessuali – solo se supponiamo fin
dall’inizio che esistano almeno due sessi. Che si desideri l’altro sesso, o che
al contrario non lo si possa desiderare, significa che i due sessi non sono
equivalenti. L’assenza di equivalenza è confermata anche dalla sofferenza di
coloro, maschi o femmine, che esprimono un imperativo bisogno di cambiare
sesso»[7]. Rifacendosi alle teorie di Gaston Bachelard, l’Agacinski sostiene
che è l’ipotesi della fecondità a suggerire la differenza sessuale: «la
procreazione implica sempre il concorso dell’altro sesso. […] Anche in
laboratorio la partecipazione dei due sessi è necessaria»[8].
È interessante
notare come studiosi laici mostrino il legame stretto che esiste tra sessualità
e fecondità, illuminando così le riflessioni che già Paolo VI sviluppò
nell’enciclica Humanae vitae e che
soprattutto Giovanni Paolo II riprese nelle catechesi sull’amore umano.
Il Magistero
non vuole solo proporre una propria visione dell’uomo e della donna, radicata
nella rivelazione cristiana. Sa di parlare in questo modo di alcuni
elementi antropologici che hanno una valenza universale.
Ha detto a
questo proposito il cardinale Gerard Müller nella sua lectio magistralis con cui ha inaugurato l’Anno
Accademico della Facoltà Teologica di Milano: «Il concetto di “natura”
rappresenta quel fondamento indisponibile senza cui l’uomo non riuscirebbe più
a fissare, oltre i labili e volubili contorni delle maggioranze di ogni tempo,
i confini non negoziabili della sua dignità e identità, e quindi dei suoi
diritti e doveri. Una dignità e identità che sono “donate” all’uomo, che l’uomo
è chiamato dapprima a riconoscere e poi ad attuare, e che nessuno può
auto-fabbricarsi, pena lo smarrimento di quelle identità e dignità e un
fraintendimento di quei diritti e doveri: ciò che appunto oggi è già accaduto
ed avviene»[9].
Emblematiche, a questo proposito, anche le parole che il
cardinale Angelo Bagnasco,
presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha pronunciato il 24 marzo
scorso nella sua prolusione al Consiglio Permanente della CEI: «La lettura
ideologica del “genere” – una vera dittatura – vuole appiattire le diversità,
omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure
astrazioni».
Non posso,
poi, dimenticare l’ultimo discorso alla curia
romana di papa Benedetto XVI.
Riferendosi proprio al tema che stiamo trattando, sottolineò: l’uomo «nega la
propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma
che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione,
appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come
maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così
come Dio l’ha dato»[10]. Soltanto questa visione dell’uomo e della donna ci
permette ancora di parlare di famiglia, altrimenti svanisce il luogo pensato da
Dio per l’accoglienza e la crescita dei figli. Per questo il papa allora
concludeva: «se non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della
creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita
dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava
e la particolare dignità che le è propria».
Non a caso
l’Agacinski così chiudeva la sua analisi: «Non ci si è per nulla preoccupati
degli effetti che [l’impossibilità di risalire ai genitori biologici] potrebbe
produrre nei figli stessi. […] Adesso li conosciamo meglio, poiché molti di
questi figli rifiutano, più tardi, di essere prodotti fabbricati con l’aiuto di
provette congelate e vorrebbero sapere a quale uomo o a quale donna, in altre
parole a quali persone, debbano la vita, per potersi iscrivere in una storia
umana. […] Il problema dei bambini a venire, cioè delle future generazioni, è
che nessuno li rappresenta sulla scena politica democratica: non possono
manifestare, né essere ricevuti, né essere ascoltati. Non costituiscono alcuna
forza. Il legislatore deve però preoccuparsi delle condizioni della loro
venuta»[11].
Giustamente a
questo proposito Eugenia Scabini parla
di un «vuoto di origine: […] l’itinerario a ritroso che
l’umanità oggi rischia di percorrere trascina al ribasso la persona dal
riconoscimento al misconoscimento, all’indifferenza, all’incuria»[12].
Il panorama
culturale e sociale che abbiamo sinteticamente tracciato è certamente
drammatico, ma non deve indurci a una visione pessimistica o remissiva rispetto
al futuro. Al contrario: siamo certi che, proprio in questo contesto, più
luminosa brilla la luce di tanti uomini e donne, di tanti genitori, di tante
famiglie, che con la loro vita testimoniano la verità e la bellezza della
famiglia, del matrimonio, della vita cristiana così come Gesù Cristo, colui che
svela l’uomo all’uomo, ce l’ha mostrata.
Viviamo in un
tempo affascinante, in cui tutti siamo personalmente chiamati a riscoprire e
testimoniare pubblicamente le ragioni della nostra fede e della tradizione che
i nostri padri ci hanno consegnato.
È il tempo della testimonianza.
Massimo
Camisasca
[1] M.
Peeters, Tre miti da smascherare, in Osservatore Romano, 3-4 marzo
2014, p. 5.
[2] Ibidem
[3] V.
Possenti, Gender, deriva culturale che vuole negare
la realtà, in Avvenire, 5 marzo 2014, p. 3.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. A.
Pessina, in D. Monti, «Sì ai diritti per le coppie gay. Ma si
nasce da uomo e donna», in Corriere della Sera, 4 Gennaio 2013, p. 20.
[6] S.
Agacinski, La metamorfosi della differenza sessuale, in Vita e Pensiero, n. 2 2013.
[7] S.
Agacinski, cit..
[8] S.
Agacinski, cit..
[9] G. L.
Müller, Alcune sfide per la teologia
nell’orizzonte della «cittadinanza» contemporanea. Lectio magistralis in apertura dell’Anno Accademico
della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, Milano, 13 febbraio 2014.
[10] Benedetto
XVI, Discorso
alla Curia Romana, 21 dicembre 2012.
[11] S.
Agacinski, cit..
[12] E.
Scabini, La crisi dei fondamentali dell’umano.
Riscoprire l’attrattiva dei fondamentali, in «Tempi», 17 marzo 2014.
angelo
bagnasco benedetto
xvi eugenia scabini Gerard
Müller Giovanni Paolo II Humanae
Vitae Massimo Camisasca paolo VI papa
francesco
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