venerdì 31 luglio 2020

“IL MALE SUPREMO DEI CRISTIANI È LA PERDITA DELL’IDENTITÀ”

A fine luglio, esattamente cinquanta anni fa, il vescovo Biancheri fece venire a Rimini don Luigi Giussani. Ecco un estratto di quello che disse il fondatore di GS-CL alla tre giorni del clero diocesano: parole di sorprendente attualità.
Nota di redazione
Nei giorni 29-31 luglio 1970 i sacerdoti della diocesi di Rimini si riunirono alla Casa dei Ritiri per un corso d’aggiornamento, tema “Annunciare la parola di Dio”, relatore don Luigi Giussani. La trascrizione da registrazione delle tre lezioni svolte fu pubblicata nella “Rivista Diocesana Rimini – ufficiale per gli atti del Vescovo e della Curia vescovile. Nuova serie”, n. 59-60 (1971), pagg. 16-46. Le frasi di don Giussani che qui pubblichiamo sono estratte dalla pubblicazione del 1971, da noi consultata presso la Biblioteca Gambalunga di Rimini. Le introduzioni agli argomenti sotto forma di domanda sono della redazione. Editing a cura di Paolo Facciotto.
Qual è il problema numero uno dei cristiani?
«Il male supremo dei cristiani, ha detto il cardinale Wright, è la perdita della loro identità, cioè della coscienza della propria personalità; infatti il valore, il contributo originale, che possiamo portare al mondo, la nostra utilità, è nella misura in cui abbiamo una nostra personalità, non nella misura in cui ci confondiamo, in cui mettiamo acqua altrui nel nostro vino. Oggi, purtroppo, nella storia del mondo, manca la persona “diversa”: non c’è l’identità cristiana.»
Che cosa definisce l’essere prete?
«Ciò che definisce la nostra personalità è il fatto per cui Dio ci ha scelti: la consapevolezza netta dell’essere eletti, inviati – “andate” – per annunciare il disegno del Padre, per dare al mondo la cosa di un Altro che è per il mondo: questo è tutto quanto possiamo dire di noi. Abbiamo grinta nel mondo e di fronte a noi stessi, abbiamo consistenza nella nostra vita, e perciò possibilità di gusto e senso di sicurezza – senza sicurezza non si costruisce nulla – nella misura in cui abbiamo questa coscienza.»
Qual è il contenuto dell’annuncio cristiano?
«Il contenuto dell’annuncio è che Dio si è coinvolto, ha assunto tutta quanta la nostra realtà umana, come uno di noi, in mezzo a noi: Dio, cioè Tutto, è diventato uno di noi: non abbiamo più bisogno di nient’altro. San Tommaso in un brano dice: “sicut qui haberet librum ubi esset tota scientia, non quaereret nisi ut sciret illum librum, sic et nos non oportet amplius quaerere nisi Christum” (nota*). Ma come è difficile toglierci dalla impressione che si tratti di esagerazione, di “per modo di dire”! E’ questa impressione che ci rende così inincidenti nel mondo: noi non siamo nulla se non siamo nella posizione di san Tommaso; soltanto così abbiamo una faccia diversa, siamo personalità nuove, abbiamo da dire qualche cosa, abbiamo da portare la salvezza.»
Come annunciare il Vangelo alle persone?
«Bisogna porsi con chiarezza oltre che con amore, così da aspettare che vengano. La chiarezza non è l’andare in fabbrica a dire “Gesù, Gesù!”. Ma nel dire che tu sei comunione, affinché sappiano chi sei; senza pretendere che lo siano anche loro, ma sia chiaro chi sei tu: questo è il martirio, e non solo in senso etimologico. Porsi con chiarezza, esplicitamente, aver la propria faccia, la propria identità: verranno quando Dio li farà venire. Non pretendere nulla. Condividere con un proprio metodo. Quello che deriva, ad esempio, dalla antropologia marxista non può essere il metodo che nasce dall’antropologia cristiana; la giustizia del marxista non è la mia; perché se il bisogno umano cui si intende rispondere è identico, la risposta in quanto è definitoria, in quanto è concezione, è diversa; e la differenza, in un modo o nell’altro, salterà fuori.»
La Chiesa cattolica oggi è tesa alla missione?
«Se c’è un sintomo del nostro abominio presente è proprio l’aver non solo lasciato andare la tensione missionaria, ma addirittura l’aver teorizzato questo, “per rispettare le coscienze”. L’azione missionaria non è solo quella in Africa o in Brasile, ma quella della comunità, di tutti coloro che sono nella comunità. L’azione missionaria è dovunque il cristiano è, in qualunque situazione la comunità è: nel quartiere, nello stabilimento, nella scuola, in politica, nel sindacato, in casa, tra gli amici … perché l’azione missionaria è parte integrante, è dimensione normale dell’autenticità della vita cristiana. E’ uno struggimento – come dice S. Paolo – affinché Cristo sia riconosciuto, accettato, domini: non c’è altro amore vero agli uomini che questo struggimento.»

Qual è il contributo delle nuove tendenze teologiche?

«Il pensiero è riflesso, è coscienza espressa criticamente, sistematicamente, di sè e della propria esperienza. I teologi di oggi sono come gli architetti di oggi, che han fatto chiese orrende in nome della modernità: sono sgorbi, perché non esprimono nessuna esperienza di comunità, nessun mistero di Chiesa, sono costruzioni intellettualistiche; così la teologia di oggi spesso è intellettualistica. La teologia che fa “tirare il fiato” è quella biblica, quella che ci fa meditare sulla Bibbia e sulla storia della Chiesa.»

Che cos’è la povertà e qual è il suo valore per il cristiano?

«II “povero” cristiano è l’uomo la cui speranza è il ritorno di Cristo, e basta: tutto quanto tocca, lo tocca perché è la condizione per andare alla meta, lo tocca secondo la sua natura, con precisione, ma per andare là; tocca come se non toccasse. La “kenosi” come coscienza di sè diventa “povertà”: ma non nel senso in cui si sente nominare in questi tempi: è un orrore mettere in primo piano quella che è conseguenza discretamente lasciata alla grazia dello Spirito che suggerisce e alla libertà del cuore che risponde. “Come se non”: questa è la formula; uno ha, “come se non”. Una povertà perciò non banalmente oggettivata, meccanicamente formulata, aver 100 lire invece di 100.000, ma continuamente espressione di una vigilanza, della coscienza di sè come mandati, della coscienza di sè come nulla.»

E la povertà intesa in senso materiale?

«Il mondo, inteso come situazione di bisogno, attende il messaggio che siamo stati mandati a portare; altrettanto, il mondo inteso come interpretazione umana di questi bisogni, è contro, non è Cristo, perché l’interpretazione vera non può essere che una. Descritto sinteticamente questo distacco, si pone allora il problema della povertà anche fisica: con che discrezione S. Paolo (1Cor 16; 2Cor 8 e 9) chiede a quelli di Corinto di dare per Gerusalemme: “secondo quello che potete, anche interiormente, perché Dio vuole quello che si può dare con spontaneità”. Povertà fisica e distacco dalle cose sono segno, sacramento; diversamente ci fanno diventare diabolici, diventando pretesto e strumento per farsi valere, per erigersi a Dio, per giudicare gli altri.»
Quale dialogo e quale collaborazione con gli “altri”?
«Collaborare con tutti, ma generare la propria collaborazione da propri giudizi, non mutuando il giudizio altrui, alienandosi in tutte le teorie moderne: il giudizio deve nascere dalla propria esperienza di comunione, mai confondendo Cristo con Belial, perché Cristo è uno.»
Che rapporto ha il cristiano con il mondo?
«La comunità cristiana è il giudizio sul mondo già in azione, perché chi crede nel Figlio di Dio è giudice del mondo, e chi non crede è già giudicato. La comunione cristiana è l’inizio del giudizio sul mondo, su tutto quello che capita, secondo tutta la discrezione e rispetto della storia. Cristo è venuto a giudicare il mondo.»
Che cosa attende dal futuro un sacerdote?
«Il desiderio fondamentale che consegue la verità in noi della nostra nullità, del fatto che siamo totalmente descritti nell’essere mandati, è il desiderio della seconda venuta di Cristo, del suo ritorno: “venga il Tuo regno”. A che cosa tende il prete quando si alza la mattina, quando va in chiesa, quando confessa, quando parla ai giovani, quando dà l’estrema unzione, quando soffre coi bisogni della gente, se non che venga il Suo regno? Che cosa ci differenzia radicalmente da tutti gli avvenirismi, seppure proclamati con generosa intenzione, da tutti i progetti di salvezza dell’umanità attraverso la scienza, il partito, o la sociologia, se non la consapevolezza che nulla può risolvere l’uomo, nulla è la salvezza dell’uomo? Tutto può far progredire un po’; ma la salvezza, il compimento dell’uomo è un’altra cosa: l’uomo starà male fino a quando Lui non sarà ritornato.»
Nota*
“Se, ad esempio, qualcuno avesse un libro dove ci fosse tutta la scienza, non cercherebbe altro che conoscere questo libro; così anche a noi non occorre altra cosa che cercare di conoscere il Cristo”: S. Tommaso d’Aquino, Commento al Corpus Paulinum, vol. 4, traduzione di Battista Mondin, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2007, pag. 627.
http://www.riminiduepuntozero.it/il-male-supremo-dei-cristiani-e-la-perdita-dellidentita/

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