Ambientalismo miope, vincolistica stringente, incompetenze, tagli di spesa e manutenzione insufficiente. Tutti gli errori della Regione dietro al disastro di questi giorni. Parla il geologo Claudio Miccoli
Sono migliaia
gli sfollati per l’alluvione che ha colpito nel fine settimana
l’Emilia-Rom
agna, causando anche una vittima. Milioni di euro di danni,
centinaia di interventi dei vigili del fuoco per salvare persone in difficoltà,
numerosi blackout e la richiesta da parte della Regione di un nuovo stato di
emergenza: la pioggia caduta nelle scorse ore ha colpito terreni già saturi. A
settembre la Romagna era già stata colpita da un’alluvione, con quattro fiumi
esondati, diversi Comuni allagati e circa mille persone sfollate. Molti hanno
richiamato alla memoria la tragica alluvione di maggio 2023, che provocò nella
regione allagamenti, straripamenti e frane facendo 17
vittime e 10 miliardi di euro di danni.
Come è
possibile che – dopo l’esperienza così recente, i fondi stanziati dal governo e
le promesse che mai più si sarebbe ripetuta una cosa simile,
siamo da capo? Tempi lo ha chiesto a Claudio Miccoli, geologo ed ex dirigente del Genio civile e della
Regione, responsabile per decenni di tanti lavori in mare e per la sicurezza
idraulica dei fiumi.
«Le situazioni sono diverse, intanto perché un territorio e delle infrastrutture che hanno subìto quello che hanno subìto lo scorso anno sono oggettivamente più fragili, anche là dove avevano resistito: tutto il sistema è stressato. Probabilmente, però, non tutti gli interventi necessari a far sì che non si ripetesse una situazione analoga sono avvenuti come dovevano avvenire. Di sicuro non è stata tenuta un’attenzione alta in tutte le aree che erano state segnalate – sia nel piano di assetto idraulico che nel piano regolatore generale delle acque – come aree critiche. Traversara, ad esempio, era una di quelle. Ma a monte di tutto questo c’è il fatto che il paradigma di difesa del suolo della Regione Emilia-Romagna, non è oggettivamente più valido, non è attuale, perché impostato su quanto osservato e studiato trenta-quarant’anni fa»
Nel frattempo
sono cambiati il clima e la distribuzione delle piogge
Sì, e si fa anche meno manutenzione di un tempo, anche a causa di vincoli ambientali sempre più stringenti, e questo ha una ricaduta negativa sulla sicurezza idraulica. Poi si sono dimenticati che le piene si formano in montagna, e la montagna è stata abbandonata. Tutti i lavori di manutenzione che facevano gli agricoltori una volta quando la montagna era vissuta non ci sono più. Quelle micro-manutenzioni fatte da tante persone alla fine formavano un ottimo sistema di manutenzione, tanto che negli anni Sessanta venne fatta dallo Stato una grandissima operazione di bonifica con le comunità montane, con la realizzazione di migliaia di piccoli sbarramenti e invasi per trattenere le acque. Questa volta il 4 per cento delle frane è stato nelle zone argillose, che nell’immaginario collettivo sono le zone più a rischio, mentre il 96 per cento dove c’è la marnosa arenacea, cioè rocce che uno pensa possano “tenere botta”. Sarebbe così, ma tutto il cotico erboso che si è formato sopra queste rocce è partito perché non c’è più un governo delle acque, che infatti sono arrivate in pianura a una velocità incredibile. Il tema allora non è solo quanto piove, ma quanto il territorio non reagisce più alle piogge.
La presidente
ad interim dell’Emilia-Romagna, Irene Priolo, ha chiesto lo stato d’emergenza
dicendo che non si sarebbe potuto fare nulla per evitare i danni.
Non è vero: se mettiamo insieme tutto quello che ho detto prima crolla l’assioma che ha portato avanti la Regione fin dal primo momento, cioè che avrebbe piovuto talmente tanto che era impossibile gestirla. Ha piovuto tantissimo, nessuno lo nega, ma quando c’è un disastro c’è sempre una causa e ci sono delle concause, in questo caso tutte di origine umana, eliminate le quali si eviterebbe il problema, o almeno se ne minimizzerebbero gli effetti. L’area di Traversara, dove il fiume Lamone ha rotto l’argine già due volte nelle ultime settimane, è un esempio di quello che voglio dire: era considerata a rischio e non l’hanno difesa, è saltato una volta, poi è tracimato una seconda volta e domenica s’infiltrava ancora.
Il fiume Lamone ha tracimato dal cantiere di ricostruzione dell’argine
allagando la zona rossa di Traversara (foto Ansa)
L’inondazione di Traversara non è da attribuire ai cambiamenti climatici, ma al fatto che hanno lavorato male. Nel momento in cui le amministrazioni locali, la Provincia, i Comuni, la Regione vincolano a bosco tutti i fiumi, li inseriscono all’interno dei Siti di Importanza Comunitaria e delle Zone di Protezione Speciale, non si possono più a tagliare gli alberi. E uno potrebbe dire “che bello il fiume nel bosco”, peccato che il fiume non sia stato “costruito” per fare da bosco, ma per portare le acque in sicurezza da monte a valle. Se li si fa boscare la corrente si rallenta, la quota dell’acqua si alza e iniziano i problemi.
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22 Ottobre 2024
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