Il giustizialismo e alcuni magistrati non bastano all’ammucchiata progressista per vincere le elezioni. Ma entrambi gli schieramenti hanno dei problemi.
Risultati
elezioni Liguria 2024: al termine di uno spoglio al cardiopalmo, Marco Bucci
vince con il 48,77%, battendo Orlando che si ferma al 47,36%Il neo governatore Marco Bucci
Nella sorpresa generale, dopo un pomeriggio di battaglia all’ultima scheda, il centrodestra si è ripreso la Liguria. I sondaggi anche degli ultimi giorni lasciavano poche incertezze, ma in senso opposto: il centrosinistra sembrava avere la vittoria già in tasca. Evidentemente qualcosa è cambiato a ridosso del voto. E il patatrac è tutto interno alla sinistra: qui agli errori della prima ora – come la scelta di un candidato amato dagli apparati di partito ma non dagli elettori – si sono sommati gli autogol della vigilia, tipo l’espulsione di Beppe Grillo dal M5s decretata mentre si chiudeva la campagna elettorale. Il fondatore del Movimento, genovese, non è andato a votare e così avranno fatto molti suoi seguaci. Sono assenze pesantissime, soprattutto quando la sconfitta dell’ex ministro Andrea Orlando è quantificabile in meno di 10mila voti di scarto. Assenze che sono andate a ingrossare le file dell’astensionismo (46% la quota di votanti), che in questo appuntamento elettorale ha colpito entrambi gli schieramenti.
Aver vinto in Liguria,
sia pur per pochi voti e con pochi votanti (meno del 50%), è stata per il
centrodestra un’impresa rilevante che peserà sul quadro politico nazionale,
perché ha dimostrato che la coalizione che governa l’Italia è in grado di
sviluppare un’iniziativa politica articolata, mentre il centrosinistra quando
ha compattato la sua matrice ex comunista come con Andrea Orlando e Claudio
Burlando, ha perso la capacità di attrarre sia una fetta
di elettori moderati sia di quelli radicali.
In questo senso c’è un altro dato politico rilevante da
sottolineare: il voto ligure è anche espressione di un solido rifiuto di un
ampio arco dell’elettorato della pretesa della magistratura militante di
scegliersi i presidenti di Regione, di fare la politica estera italiana, di
decidere come si difendono i confini e di proteggere un articolato sistema di
dossieraggio.
Ora a destra il vento della vittoria spazzerà via le
magagne, ma è il caso che nel centrodestra si faccia un’approfondita analisi
interna. La coalizione ha
tenuto, tuttavia la vittoria è dovuta in gran parte ai passi falsi degli
avversari. Con Toti bastonato dalla magistratura, il centrodestra ha
impostato una campagna elettorale sulla difensiva. Di sicuro, a differenza del
Pd, ha scelto il candidato giusto, un simbolo di buona amministrazione che gode
di apprezzamento trasversale e non è divisivo come il suo avversario, uomo dell’apparato
ma non del popolo. La Meloni è corsa a esultare sui social: “Il centrodestra
unito ha saputo rispondere alle aspettative dei cittadini, che confermano la
loro fiducia nelle nostre politiche e nella concretezza dei nostri progetti”. Ma
il dato che deve più preoccupare la premier è proprio quello di Fratelli
d’Italia, che alle europee avevano
preso il 26,8%, e ieri il 15%. Ciò dimostra che una grossa fetta del consenso
al partito su scala nazionale è in realtà un voto d’opinione per
la Meloni che non si riflette localmente.
E a sinistra? Non è la manciata di voti che ha dato la Liguria a Bucci a far male, neppure il crollo dei 5 Stelle o la sparizione degli elettori moderati che Andrea Orlando non ha attratto. Non sono queste le cose che fanno male. Fa male che, di fronte a un’elezione arrivata per gli arresti e le dimissioni di Toti, di fronte ad un governo di centrodestra fiaccato da dimissioni e scandali, di fronte ad uno scenario nazionale deteriorato in materia economica, di fronte a tutto questo, gran parte dei potenziali elettori dello pseudo “campo largo” siano rimasti a casa.
Orlando, Schlein, Conte, Fratoianni
Il che fa capire come sia
complessa la strada che porta la governo. Se le europee avevano dato alla
Schlein le chiavi del Partito democratico, aperta la porta si ritrova tra i
soli compagni che si danno di gomito e si esaltano, ma alla fine quelli sono. E
paiono replicare la strada dell’amato Berlinguer: una forza destinata strutturalmente all’opposizione senza
avere alcuna possibilità di governo. Avere degli alleati simili, e che
si appiattiscono, non amplia la base elettorale e mostra un limite enorme sulla
capacità di proporre soluzione ai problemi. Dall’immigrazione alla precarietà,
dalla sanità pubblica alla crisi industriale, quelle forze non hanno, almeno
per gli elettori liguri, la capacità di dire qualcosa che li faccia smuovere.
Eppure, va ridetto, mai
un’elezione era così pesantemente condizionata dagli elementi esterni. Le
inchieste sul sistema Genova, con Toti che si dimette, avevano spalancato la
porta ad Andrea Orlando
che ha, semplicemente, fallito un rigore a porta vuota.
Servirà anche qui una riflessione per superare questa fase. Da
tempo Prodi suggerisce di aprire le braccia ed accogliere i moderati. Predica
un nuovo Ulivo con una forte gamba centrista e mette in guardia dalla
radicalizzazione delle posizioni che danno tante soddisfazioni al Pd, che si
guarda allo specchio pavoneggiandosi, ma poi resta a mani vuote. Un po’ com’erano i Ds di
D’Alema. Primi nella coalizione, ma incapaci di guidarla alla vittoria
elettorale.
Serve, e servirà, anche capire cosa farà Conte. La sua strada è
irta e perigliosa. Fatta di insidie e di una guerra appena cominciata con il fondatore Grillo. Inoltre, i temi classici
che lo hanno portato in auge, dal superbonus al reddito di cittadinanza, sono
ormai roba vecchia che tutti hanno scordato. E non basta ricordare i bei tempi
andati. Al massimo qualche nostalgico ti vota, ma diventi del tutto influente
fino a sparire.
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