mercoledì 30 ottobre 2024

HARRIS : PUNTARE TUTTO SU “TRUMP FASCISTA” E “FORZA ABORTO” NON FUNZIONA

 Cercando solo la demonizzazione dell’avversario la vice di Biden ha disperso tutto il vantaggio registrato nei mesi scorsi nelle intenzioni di voto. Un errore già visto molte volte. «I democratici non hanno imparato proprio niente?»

 

La candidata del Partito democratico alla presidenza degli Stati Uniti Kamala Harris durante un comizio elettorale a Philadelphia, Pennsylvania, 27 ottobre 2024 (foto Ansa)

 C’è un motivo se anche i più ascoltati aruspici dei sondaggi elettorali dicono che stavolta le probabilità di vittoria tra i due candidati alla Casa Bianca stanno veramente a 50 e 50, e che non si può scommettere su Donald Trump o Kamala Harris senza rischiare di ritrovarsi il 5 novembre nettamente smentiti dal risultato delle elezioni.

Insomma, il quadro negli Stati Uniti è parecchio diverso rispetto a quello dipinto dalla stampa quest’estate, quando il vento sembrava avere cambiato direzione e gonfiare decisamente le vele della vice subentrata allo sfinito Joe Biden nella corsa alla presidenza. Esauritosi l’entusiasmo per l’ingresso in campo di Kamala Harris, è rimasto quello che tutti conoscevano già, ovvero un’opinione tutt’altro che positiva di lei e del suo operato politico, opinione condivisa anche e innanzitutto dai sostenitori del Partito democratico. E non sembra che la strategia di paragonare l’avversario a Hitler e di dargli apertamente del «fascista», come ha fatto la Harris la settimana scorsa nel town hall in Pennsylvania con la Cnn, stia funzionando.

«Insalate di parole» e accuse a Trump

Nei vari comizi e nelle interviste nei salotti tv tendenzialmente “friendly”, la vice di Biden sembra davvero non avere molto altro da proporre agli elettori oltre al ritornello “Trump è un fascista e per vostra fortuna io non sono lui”. Eppure le intenzioni di voto non si schiodano dal sostanziale pareggio e semmai è “Adolf Trump” adesso a risalire nei sondaggi, perfino tra neri e ispanici,  come confermano le rilevazioni più recenti. Il fatto è che Kamala Harris era agli occhi di tutti, e agli occhi dei suoi potenziali elettori innanzitutto, la peggiore candidata possibile per i democratici dopo Biden (ricordate che cosa si diceva di lei soltanto a febbraio?). È dura nasconderselo per tre mesi e passa.

In tutto questo tempo sarebbe stato utile entrare nel merito, abbozzare un programma, dettagliare che cosa è stato sbagliato in questi quattro anni di governo e che cosa di diverso intenda fare una volta eletta presidente, invece niente. Kamala Harris ha scelto di concentrare la sua campagna quasi esclusivamente sul “pericolo Trump”. Emblematica da questo punto di vista proprio la pubblica intervista di mercoledì scorso con la Cnn, dove anche secondo diversi autorevoli osservatori e consiglieri democrat la vicepresidente è stata «troppo evasiva» nelle risposte a domande puntuali sul suo programma, diluendo questioni ben precise in abbondanti «insalate di parole» (così il leggendario David Axelrod), sperando che bastasse insistere sul presunto fascismo di Trump per convincere gli indecisi.

Le critiche del New York Times e dei sostenitori

Perfino il più pro Harris tra i giornali mainstream, il New York Timesha espresso questa impressione, criticando la Harris per aver perso la migliore occasione di “vendersi” davanti a oltre 3 milioni di spettatori e perché a pochi giorni dall’election day «si trova ancora a lottare tra la necessità di definire se stessa agli elettori che non hanno avuto il beneficio di una lunga stagione elettorale e il desiderio di concentrarsi sul suo avversario» e sul «pericolo che lui rappresenta per la democrazia».

Ed è sempre il New York Times a riportare i messaggi di allarme diramati via email da Future Forward, il principale super Pac a sostegno di Harris. I super Pac sono comitati che raccolgono fondi per sostenere indirettamente le campagne dei candidati e Future Forward aiuta Kamala Harris anche valutando con precisi indicatori l’efficacia della sua comunicazione agli elettori. «Attaccare il fascismo di Trump non è persuasivo», si legge «in neretto» in una di queste email. E ancora: «Gli attacchi puramente negativi alla persona di Trump sono meno efficaci dei messaggi contrapposti che comprendono in positivo dettagli sui programmi con cui Kamala Harris intende affrontare le quotidiane necessità degli americani».

Un déjà-vu del 2016

Come spesso capita, a trovare le parole migliori per dirlo è Andrew Sullivan, giornalista di orientamento conservatore ma profondamente antitrumpiano che nelle scorse settimane ha dichiarato il proprio voto per la Harris, pur pensandone il peggio possibile. Puntare tutto sulla paura di Trump, ha scritto Sullivan venerdì nel suo The Weekly Dish, «non basterà per vincere».

Donal Trump serve patatine  al Drive-thru
nella contea di Buck in Pennsylvania
«Lo abbiamo visto nel 2016. Ricordate il referendum sulla Brexit, dove il “Progetto Paura” è stato il principale argomento utilizzato da quanti volevano che il Regno Unito restasse nell’Ue? Fu un
fallimento. Le tattiche allarmistiche della Clinton hanno prodotto risultati altrettanto scarsi prima ancora che Trump avesse trascorso un minuto in carica. E oggi, dopo che Trump è già stato presidente per quattro anni e il suo consenso è ai massimi storici, rieccoci al “Trump è Hitler”. […] Intanto “Hitler” serve panini da McDonald’s come un simpatico nonno in grembiule e guadagna sostegno come mai prima d’ora da… giovani neri e latinos». 

Non basta dire «almeno non sono Hitler»

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Aborto unico principio «non negoziabile»

 Infine l’aborto. O meglio “i diritti riproduttivi”. Ecco in effetti un tema su cui Kamala Harris è riuscita a esprimersi con chiarezza e senza tanto cincischiare intorno alle parole. È successo di nuovo proprio la settimana scorsa quando, rispondendo alla giornalista che le ha chiesto se sia disposta da presidente a cercare compromessi in materia di aborto (pardon: diritti riproduttivi), per esempio riconoscendo ai medici il diritto all’obiezione di coscienza, la Harris ha detto di no, perché «non dovremmo fare concessioni quando si tratta della libertà fondamentale di prendere decisioni sul proprio corpo».

E così ha commentato la decisione della Corte suprema di ribaltare la sentenza Roe v. Wade che nel 1973 riconobbe il diritto costituzionale all’aborto: «Alle donne americane è stata portata via una libertà basilare, la libertà di decidere del proprio corpo, e questo non è negoziabile: dobbiamo ripristinare le tutele della Roe v. Wade, questo è quanto». L’aborto come unico principio «non negoziabile». Decisamente i democratici non hanno imparato niente.


Di Pietro Piccinini

30 Ottobre 2024 TEMPI

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