Cercando solo la demonizzazione dell’avversario la vice di Biden ha disperso tutto il vantaggio registrato nei mesi scorsi nelle intenzioni di voto. Un errore già visto molte volte. «I democratici non hanno imparato proprio niente?»
La candidata
del Partito democratico alla presidenza degli Stati Uniti Kamala Harris durante
un comizio elettorale a Philadelphia, Pennsylvania, 27 ottobre 2024 (foto Ansa)
Insomma, il quadro negli Stati Uniti
è parecchio diverso rispetto a quello dipinto dalla stampa quest’estate, quando
il vento sembrava avere cambiato direzione e gonfiare decisamente le vele della
vice subentrata allo sfinito Joe Biden nella corsa alla presidenza. Esauritosi
l’entusiasmo per l’ingresso in campo di Kamala Harris, è rimasto quello che
tutti conoscevano già, ovvero un’opinione tutt’altro che positiva di
lei e del suo operato politico, opinione condivisa anche e innanzitutto dai
sostenitori del Partito democratico. E non sembra che la strategia di
paragonare l’avversario a Hitler e di dargli apertamente del «fascista», come
ha fatto la Harris la settimana scorsa nel town hall in Pennsylvania con la
Cnn, stia funzionando.
«Insalate di parole» e accuse a Trump
Nei vari comizi e nelle interviste
nei salotti tv tendenzialmente “friendly”, la vice di Biden sembra davvero non
avere molto altro da proporre agli elettori oltre al ritornello “Trump è un
fascista e per vostra fortuna io non sono lui”. Eppure le intenzioni di voto
non si schiodano dal sostanziale pareggio e semmai è “Adolf Trump” adesso a
risalire nei sondaggi, perfino tra neri e ispanici, come confermano le rilevazioni più recenti.
Il fatto è che Kamala Harris era agli occhi di tutti, e agli occhi dei suoi
potenziali elettori innanzitutto, la peggiore candidata possibile per i
democratici dopo Biden (ricordate che cosa si diceva di lei soltanto a febbraio?).
È dura nasconderselo per tre mesi e passa.
In tutto questo tempo sarebbe stato
utile entrare nel merito, abbozzare un programma, dettagliare che cosa è stato
sbagliato in questi quattro anni di governo e che cosa di diverso intenda fare
una volta eletta presidente, invece niente. Kamala Harris ha scelto di concentrare la sua campagna
quasi esclusivamente sul “pericolo Trump”. Emblematica da questo punto
di vista proprio la pubblica intervista di mercoledì scorso con la Cnn, dove
anche secondo diversi autorevoli osservatori
e consiglieri democrat la vicepresidente è stata «troppo
evasiva» nelle risposte a domande puntuali sul suo programma, diluendo
questioni ben precise in abbondanti «insalate di parole» (così il leggendario
David Axelrod), sperando che bastasse insistere sul presunto fascismo di Trump
per convincere gli indecisi.
Le critiche del New York Times e dei sostenitori
Perfino il più pro Harris tra i
giornali mainstream, il New York Times, ha espresso questa impressione,
criticando la Harris per aver perso la migliore occasione di “vendersi” davanti
a oltre 3 milioni di spettatori e perché a pochi giorni dall’election day «si trova ancora a lottare tra la necessità
di definire se stessa agli elettori che non hanno avuto il beneficio di una
lunga stagione elettorale e il desiderio di concentrarsi sul suo avversario» e
sul «pericolo che lui rappresenta per la democrazia».
Ed è sempre il New York Times a
riportare i messaggi di allarme diramati via email da Future Forward, il
principale super Pac a sostegno di Harris. I super Pac sono comitati che
raccolgono fondi per sostenere indirettamente le campagne dei candidati e
Future Forward aiuta Kamala Harris anche valutando con precisi indicatori
l’efficacia della sua comunicazione agli elettori. «Attaccare il fascismo di
Trump non è persuasivo», si legge «in neretto» in una di queste email. E
ancora: «Gli attacchi puramente negativi alla persona di Trump sono meno
efficaci dei messaggi contrapposti che comprendono in positivo dettagli sui
programmi con cui Kamala Harris intende affrontare le quotidiane necessità
degli americani».
Un déjà-vu del 2016
Come spesso capita, a trovare le
parole migliori per dirlo è Andrew Sullivan, giornalista di orientamento
conservatore ma profondamente antitrumpiano che nelle scorse settimane ha
dichiarato il proprio voto per la Harris, pur pensandone il peggio possibile.
Puntare tutto sulla paura di Trump, ha scritto Sullivan venerdì nel suo The Weekly Dish,
«non basterà per vincere».
Donal Trump serve patatine al Drive-thru nella contea di Buck in Pennsylvania |
fallimento. Le tattiche allarmistiche della Clinton hanno prodotto risultati altrettanto scarsi prima ancora che Trump avesse trascorso un minuto in carica. E oggi, dopo che Trump è già stato presidente per quattro anni e il suo consenso è ai massimi storici, rieccoci al “Trump è Hitler”. […] Intanto “Hitler” serve panini da McDonald’s come un simpatico nonno in grembiule e guadagna sostegno come mai prima d’ora da… giovani neri e latinos».
Non basta dire «almeno non sono Hitler»
(....)
Aborto unico principio «non negoziabile»
Infine l’aborto. O meglio “i diritti
riproduttivi”. Ecco in effetti un tema su cui Kamala Harris è riuscita a
esprimersi con chiarezza e senza tanto cincischiare intorno alle parole. È
successo di nuovo proprio la settimana scorsa quando, rispondendo alla giornalista che le ha chiesto se sia disposta da presidente a
cercare compromessi in materia di aborto (pardon: diritti riproduttivi), per
esempio riconoscendo ai medici il diritto all’obiezione di coscienza, la Harris
ha detto di no, perché «non dovremmo fare concessioni quando si tratta della
libertà fondamentale di prendere decisioni sul proprio corpo».
E così ha
commentato la decisione della Corte suprema di ribaltare la sentenza Roe v. Wade che
nel 1973 riconobbe il diritto costituzionale all’aborto: «Alle donne americane
è stata portata via una libertà basilare, la libertà di decidere del proprio
corpo, e questo non è negoziabile: dobbiamo ripristinare le tutele della Roe v.
Wade, questo è quanto». L’aborto come unico principio «non negoziabile».
Decisamente i democratici non hanno imparato niente.
30 Ottobre 2024 TEMPI
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