sabato 5 ottobre 2024

KAMALA HARRIS : GREEN NEW DEAL ADDIO


Fra tutti i ripensamenti e dietrofront di Kamala Harris, questo è uno dei meno dibattuti, almeno al di fuori degli Stati Uniti.

E’ più noto il fatto che la candidata democratica ha rinnegato tutte le sue posizioni di quattro anni fa sull’immigrazione e sull’ordine pubblico.

Ma la politica ambientale è stata egualmente l’oggetto di “aggiustamenti” clamorosi.

Nel 2020 Harris prometteva di mettere fuorilegge l’estrazione di energie fossili attraverso la tecnica del fracking; voleva rendere obbligatorie le auto elettriche; abbracciando il Green New Deal fissava l’obiettivo di eliminare completamente entro dieci anni il consumo di gas petrolio carbone.

Ora non c’è più nulla di tutto ciò nel suo programma elettorale, anzi la campagna Harris dice esplicitamente di aver cancellato questi tre temi.

Il resto del mondo non se n’è accorto. Ancora pochi giorni fa qui a New York, durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite, solo la possibilità di una vittoria di Donald Trump il 5 novembre è stata discussa come una battuta d’arresto per l’agenda ambientalista.

Quello che non sembra essere stato presente nella consapevolezza di questi negoziatori, è che non solo nell’eventualità di un Trump bis, ma anche con Kamala Harris alla Casa Bianca l’agenda ambientalista dell’America ha già imboccato la strada di un ridimensionamento. E' in atto da tempo sotto l’Amministrazione Biden-Harris.

È stato rivelatore il dibattito televisivo di questa settimana fra i due candidati alla vicepresidenza, J.D. Vance e Tim Walz. Il democratico si è vantato del fatto che durante la presidenza Biden la produzione di petrolio e gas sul territorio Usa ha raggiunto il massimo storico. Non è un’affermazione nuova perché proprio Biden il 31 agosto lo aveva annunciato sui social media: “Sotto la mia guida gli Stati Uniti hanno aumentato in modo responsabile la produzione di petrolio in modo da soddisfare i nostri bisogni immediati – senza ritardare o rallentare la nostra transizione verso l’energia pulita”. Da notare che quando la Casa Bianca parla di “energia pulita” vi include il nucleare, del quale è in corso un rilancio. Di recente il Dipartimento dell’Energia ha garantito un prestito da 1,5 miliardi di dollari per la riapertura di una centrale nucleare nel Michigan.

Un’analisi del programma elettorale di Kamala Harris non lascia dubbi sulla sterzata compiuta nell’arco di questi quattro anni. A partire dal 2018 quando era senatrice, e poi nel 2020 come candidata alla nomination democratica, Kamala Harris era una orgogliosa firmataria del Green New Deal (insieme con la giovane leader dell’ala sinistra del suo partito, Alexandria Ocasio Cortez). Obiettivo proclamato: eliminare il consumo di energie fossili entro dieci anni. Da vicepresidente, Harris usò il suo potere di voto al Senato per far passare la legge da un trilione (mille miliardi di dollari) che conteneva finanziamenti e sussidi per le energie rinnovabili. Oggi la sua campagna presidenziale dice esplicitamente: Kamala Harris ha ritirato il suo appoggio al Green New Deal.

 

Harris a COP 28 Dubai parla in appoggio
al Green New Deal
Nel 2020 Harris annunciò che se eletta avrebbe vietato la tecnica del fracking per l’estrazione di energie fossili, seguendo la linea della sinistra ambientalista. (E’ una tecnica che spruzza getti di acqua mista a solventi chimici per “separare” petrolio e gas da rocce e sabbie bituminose). Alla convention democratica di Chicago ha annunciato il dietrofront anche su questo: il fracking potrà continuare a essere utilizzato.

Sempre quando era senatrice, Harris fu co-firmataria del disegno di legge che avrebbe voluto vietare tutte le automobili con motore a combustione entro il 2040. Il suo Stato, la California, le ha già messe al bando per il 2035. Oggi la posizione ufficiale della campagna elettorale è netta: “Kamala Harris non appoggia più quella proposta di legge, né alcuna forma di obbligo di acquistare auto elettriche”.

Che cosa ha spinto Kamala Harris a ripudiare il Green New Deal? In breve, tre fattori: consenso, realtà, sicurezza.

Fattore consenso: ovvero la sostenibilità sociale. Basta dare un'occhiata al listino prezzi della Tesla per capire che certe fughe in avanti della sinistra benestante californiana impongono costi troppo elevati per il resto della popolazione. Già Hillary Clinton pagò un prezzo politico fatale per questa insensibilità. Nel 2016 andò a dire alle regioni minerarie che il loro futuro consisteva nel trasformarsi in tante Silicon Valley. Perché naturalmente è facile per un minatore 55enne riconvertirsi al design delle app digitali... Guarda caso i collegi elettorali delle regioni minerarie finirono a Trump.

Fattore realtà: piano piano si è fatta strada la consapevolezza che abbandonare le energie fossili è un obiettivo di lungo periodo. Nel breve e anche nel medio termine non c'è altro modo, ad esempio, per produrre i fertilizzanti per l'agricoltura. E se crediamo che il pianeta possa sfamare otto miliardi di persone con l'agricoltura biologica, allora questo ambientalismo è superstizione, non scienza.

Fattore sicurezza: se l'Europa si era consegnata nelle braccia di Putin con la sua dipendenza dal gas russo, l'America rischia di fare lo stesso con la sua dipendenza da Xi Jinping per batterie elettriche e pannelli solari. Altra ragione per rallentare la decarbonizzazione e subordinarla a una reindustrializzazione. A questo proposito, ecco un altro caso di conflitti tra obiettivi: l'Amministrazione Biden si è accorta che i suoi piani per riportare sul suolo americano produzioni strategiche - a cominciare dai microchip - sono rallentati proprio dall'accumulo di regole e controlli ambientali. Sicché ha deciso di esentare le nuove fabbriche di semiconduttori dalle procedure sull'impatto ambientale.

Nella nuova versione un po' più realista dell'ambientalismo che si fa strada ai vertici del partito democratico, c'è più spazio per le strategie di "adattamento", quelle che investono per renderci meno vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico in corso. E anche per la cosiddetta geo-ingegneria che cerca di ridurre l'effetto-serra con interventi sull'atmosfera, un tema che è sempre stato tabù per gli ambientalisti-apocalittici, quelli che predicano la rinuncia allo sviluppo economico.

 

Tratto dalla newsletter di Federico Rampini

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