domenica 8 maggio 2011
NARCISISMO E UMANITARISMO UN TANTO AL CHILO
La chiacchiera viscerale d’occidente
Il numero di stupidate scritte in occasione dell’esecuzione di Osama bin Laden è impressionante. Tom Friedman e Barbara Spinelli, Repubblica e New York Times: due giornali, due mondi
C’è chi ha Tom Friedman e chi ha Barbara Spinelli.
E’ la differenza tra l’analisi e la retorica, la politica e la chiacchiera, il ragionamento e l’emozione umorale, un discreto amore per l’umanità e il narcisismo etico nella forma dell’umanitarismo, la cultura fredda e la cultura umida, la comprensione dell’umiltà del male e la ignoranza del carattere luciferino del perbenismo puritano.
Due editorialisti, due giornali (il New York Times e Repubblica), due mondi. Friedman pensa all’ingrosso le stesse cose che pensa o affetta di pensare la Spinelli. La speranza è che ora i movimenti contro le tirannie arabo-musulmane facciano la loro parte: lotte pacifiche, in nome della dignità e della libertà umane, con l’obiettivo della democrazia costituzionale, insomma con l’assunzione di un modello di vita occidentale nelle condizioni storiche date. E questa speranza, che nessuna persona sensata può non condividere, dovrebbe stare salda su una percezione limpida, sebbene controversa e discutibile, della nostra identità.
Ma per esporre la medesima tesi, i due partono da premesse opposte. Friedman, prima di dare la parola alla speranza del ballot, del principio di maggioranza come elemento risolutore del cambiamento di paradigma, dice dell’esecuzione di Bin Laden: “Abbiamo fatto la nostra parte. Abbiamo ucciso Bin Laden con un proiettile (bullet). Ora sta agli arabo-musulmani di fare la loro parte – uccidere il binladenismo con le elezioni (ballot) – vere elezioni, vere costituzioni, veri partiti politici e una politica di progresso”. Semplice, chiaro, efficace.
Invece la Spinelli, e con lei Michele Serra che per l’occasione si fa cattolico romano, prova “più sconcerto che chiarezza, più vertigine che sollievo” di fronte al leone e profeta del terrorismo islamista giustiziato.
Le sue contorsioni viscerali esprimono il ribrezzo di sé dell’intellighenzia europea legata a una visione apocalittica della realtà storica, che all’occidente riserva sistematicamente la parte dell’aggressore, anche quando sia aggredito: “Le guerre americane ed europee posteriori all’11 settembre” sono “gemelle” dell’offensiva terroristica, Guantanamo è fratello di Abu Ghraib, “terrorismo e guerra al terrorismo sono violenze sui popoli”, e via con tutta la litania di concetti la cui estrema e irrimediabile stupidità politica s’imbelletta, ultima grottesca e senile mascheratura ideologica, nelle ansie di cambiamento dei giovani di tutto il mondo.
La chiacchiera emotiva dilaga. Il dialogo ne è la farcitura, i luoghi comuni ne sono l’ordito sociologico, il giornalese ne struttura il linguaggio. Di fronte a un fatto nudo e tragico, patetici negazionisti a parte, si staglia il gioco della personalità espansiva, tenera, compassionevole, repellente a ogni elemento di cultura storica e politica. Ciascuno lotta per il suo posto in prima pagina, come se l’esecuzione del più fiero nostro nemico, e del più prolifico tra gli assassini di crociati cristiani ed ebrei, oltre che di musulmani, fosse l’occasione ultima e propizia per la passerella delle opinioni in libertà.
Le semplici domande di chi ama il mondo, anche il proprio mondo, e lo vuole libero dalla paura, dal terrore, dalla guerra fatta in nome di Dio, di chi riconosce agli Stati Uniti d’America e ai figli dell’America caduti in battaglia, in uno con i combattenti delle nazioni alleate, il crisma di una dura missione che ci riguarda direttamente, non interessano la ciacola sentimentale e pacioccona di chi prova vertigine e turbamento ora che Osama bin Laden e il suo fantasma sono stati eliminati.
Pensate, lettori del Foglio, quale onore e delizia intellettuale rappresenta esserci sottratti per molti anni programmaticamente, senza cedimenti, con studio e senza ira, a questa poltiglia, a questa pappa del cuore che spaccia sensi di colpa punitivi, impossibili vie alternative, come una verità storica e una via ideologica alla speranza. Ama il tuo nemico, sii perfetto come il padre mio celeste: sono parole del discorso della montagna. Significano che il nemico esiste, che la perfezione divina agisce ed opera senza mai potersi incarnare nell’umanità gravata dal peccato e dalla storia, cui resta solo, ed è già molto, il paradosso cristiano, l’appello incoraggiante alla perfezione celeste che in terra è esclusa, perché il regno cristiano non è di questo mondo. Il contrario simmetrico della predicazione coranica e della pratica islamista nella storia del califfato maomettano.
“E’ la formula performativa che non si è sentita, ad Abbottabad”, scrive narcisisticamente e malamente la Spinelli. Performativo o no, si è sentito uno sparo.
da ILFOGLIO
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