DI
COSTANZA MIRIANO
Ieri ho scritto su
facebook una cosa su Hillary Clinton che ha suscitato un bel po’ di polemiche,
rispostacce anche su altri profili. Sul mio di meno, perché credo ormai si
sappia in giro che la mia politica è questa: in casa mia parla chiunque voglia
dialogare educatamente, magari anche esponendo perplessità, ma non per
litigare; gli altri li blocco e non possono più vedere il mio profilo,
esattamente per lo stesso motivo per cui a casa nostra invitiamo solo persone
che ci vogliono bene; e nessuno viene a dirti che non sei democratico – sembra
incredibile ma ogni volta il commento “bell’esempio di democrazia” viene
riproposto – perché non inviti a cena lo sconosciuto che ti ha appena mandato a
quel paese al semaforo. (Tra l’altro chi insulta non di rado è gente di
cui non posso vedere i post senza “essere amica”, mentre i miei sono visibili a
tutti).
Comunque, dopo questa noiosa
precisazione, entro nel merito. Hillary Clinton dopo aver vinto le primarie in
California, alla vigilia della vittoria definitiva, ha definito il momento
“storico”. Ha anche attaccato il pippone sul soffitto di cristallo, e i diciotto
milioni di crepe che lei gli avrebbe inferto, usando tutti gli artifici della
retorica emotiva di cui gli americani sono maestri nel mondo. Io avevo scritto:
“Definire la
vittoria della Clinton alle primarie “momento storico” (parole sue) mi pare davvero
surreale. Sarebbe un momento storico se ci fosse una candidata davvero di
rottura. Che so, qualcuno non avvezzo al potere, o magari una donna”.
Ovviamente non stavo facendo facile e
squallida ironia sulla poca femminilità della signora, che so, sulla bruttezza
o vecchiaia o non so cosa abbia pensato chi ha definito la mia “una caduta di
stile”. Io stavo alludendo alla mia riflessione lungamente esposta in libri e
conferenze e articoli su cosa sia essere donna. Chi mi conosce infatti non ha
avuto dubbi sul senso delle mie parole. Ma dai commenti letti qua e là mi sono
resa conto che viviamo in un’epoca dai punti di riferimento continuamente
rinegoziati, in cui è necessario – ha ragione mio marito che lo ripete sempre –
compilare di nuovo un dizionario di base
della lingua comune, in cui almeno alcuni termini significhino per tutti la
stessa cosa.
La donna è una creatura di sesso femminile che ha portato alla fioritura e
al compimento la sua vocazione, che è quella di rendersi disponibile ad
accogliere accompagnare sostenere la vita quando è più debole. Questo può coincidere anche con la
maternità biologica, ma non solo. La supera e la comprende, ma non si esaurisce
in quella.
Ogni donna, anche se non ha il
privilegio di generare, è madre se riconciliata con se stessa. Una donna può
fare tutto quello che fanno gli uomini, ormai lo abbiamo dimostrato
chiaramente: siamo astronaute generali segretarie di stato presidenti della
repubblica regine. A me sembra che possiamo da tempo passare alla fase due, e
sinceramente trovo quasi offensivo quando qualcuno esulta per certe imprese.
Embè? Pensavate che ci mancasse qualcosa? Certo, ci manca un po’ di forza
fisica e abbiamo un approccio al sapere molto diverso, ma sul fatto che siamo
in grado consideravo la questione chiusa da molto tempo (nelle università siamo
di più, più brave diligenti veloci eccetera eccetera). Scaliamo meno i vertici
perché siamo meno aggressive. Preferiamo mediare che andare contro, se siamo in
pace con noi. Abbiamo bisogno dello sguardo altrui e questo condiziona anche il
nostro atteggiamento del mondo del lavoro (una donna si vergogna a chiedere un
aumento, un uomo lo pretende e se non lo ottiene si arrabbia, e non per questo
pensa di valere poco). Insomma, sto aprendo una finestra dietro l’altra, per
ognuna di queste affermazioni apodittiche servirebbe un capitolo e la citazione
di chili di libri, servirebbero distinguo e chiarimenti e specificazioni. Sono
concetti tagliati con l’accetta, ma penso che qui ci si possa capire. Andiamo
avanti.
La grande sfida per noi donne non è
dimostrare che ce la possiamo fare da sole (anche se “da sola” non è
un’espressione che si adatta esattamente a Hillary Rodham, moglie di,
segretario di stato, senatrice, prima ancora figlia di industriale, studentessa
a Yale, cioè insomma una che ha anche avuto buone possibilità nella vita, e poi
certo se le è giocate molto bene) ma che ce la possiamo fare con un altro
stile.
La donna è per la vita, è profondamente
contro la morte. Quindi contro la
guerra, contro l’aborto, contro la vendita di bambini uccisi. La donna non
esulta e non ride in televisione per la morte di un nemico (come lei ha fatto per esempio per
Gheddafi), non gestisce la politica estera come se stesse giocando a
scacchi ( “la cosa migliore che può capitarci sarebbe di essere
aggrediti da qualcuno… Di fatto provocheremo un attacco perché allora
saremo al potere più di quanto chiunque possa immaginare”) dimenticando che ci
andranno di mezzo vite umane, anche delle donne di cui si dice paladina, di
certo dei loro figli.
Una donna che abbia
viscere di misericordia non dice che per far sì che tutto il mondo acceda alla
pianificazione familiare (sinistra maschera per parlare di aborto) “codici
culturali profondamente radicati, credenze religiose, e condizionamenti
strutturali dovranno essere cambiati”. Dove questo non avverrà naturalmente i
cambiamenti andranno imposti con la
forza (enforced) dice la sorridente biondina, la tenera nonna che si
preoccupa solo dei suoi, dei nipoti, mentre lavora indefessa perché in Africa
le operaie possano essere libere di stare in fabbrica dodici ore al giorno
senza dover accudire bambini (che privilegio, eh?). E grazie a questo lavoro
culturale ormai nelle università americane bisogna stare attenti a come si
parla, c’è una limitazione della libertà intellettuale e di parola pazzesca,
inimmaginabile venti anni fa (in America chi obietta contro il matrimonio gay
rischia di perdere il lavoro, pure il Papa ha tentato di difendere il diritto
all’obiezione di coscienza, ma da quelle parti la coscienza pare non sia
libera, solo il commercio lo è). Una
donna, soprattutto, non accetta copiosissimi finanziamenti da Planned
Parenthood, il gigante degli aborti accusato di vendere pezzi di bambini uccisi
nel ventre materno.
Ecco perché la mia sulla Clinton non è
stata una scivolata, una battuta infelice, una caduta di stile. Era esattamente
quello che volevo dire.
Io esulterò per una donna presidente quando non sarà una donna che si è
dovuta trasformare in un uomo, ma quando mostrerà che è possibile gestire il
potere partendo dai piccoli, dai poveri, dagli ultimi. E prima di tutto dal più
povero tra i poveri, come lo definiva Madre Teresa, il bambino nel ventre di
una madre.
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