Non gli è riuscito di sbatterlo in galera e di abbattere il profilo
minimalista e colossale di un tizio che li surclassa da vent’anni. E ora lo
sbaffo. Frustrazione e grettezza delle lorprimefirme di Repubblica di fronte al
cuore di Berlusconi
Uno sbaffo di merda è
dire poco. Le pagine enfatiche e lungodegenti dedicate da Repubblica
all’infarto di Berlusconi, alla sua valvola cardiaca, sono da manuale.
L’operazione non è priva di rischi: ma va? La convalescenza sarà lunga: ma va?
Il medico suggerisce riposo invece che campagne elettorali e stress: ma va? Domande e ipotesi compiaciute, miste a
rancori mai sopiti, impaginazioni e previsioni che si risvegliano in un’ora
di tramonto e di pena per i loro avversari, un’ora di rivincita e di sollievo
per tutti loro.
Le penne al veleno di questi vent’anni, cronisti
commentatori e titolisti, sono emblemi di frustrazione e di grettezza.
Campeggia la voglia di dichiararlo morto in anticipo sui tempi. Di registrarne
la sterilità: niente eredi, niente di fatto, zero risultati, una canna secca. Di raccontare la faida intorno al capezzale del
rincoglionito che adesso si è pure sentito male. Di cominciare a deridere le
ambizioni all’eredità politica, inventate, di questo nulla. Non dirò grandezza,
quella è proprio fuori della portata, ma un elementare spirito civile, un senso
del tempo se non della storia, una resipiscenza consapevole al di là della
faziosità da cani che latrano la voce dei loro padroni, questo è quello che
manca. E per ragioni forti, che lo
spirito inconsapevolmente iettatorio, bugiardo e villano di quelle pagine
definisce alla perfezione.
Lorfirmaioli di Repubblica
sanno benissimo come stanno le cose. Non
gli è riuscito di sbatterlo in galera. Non gli è riuscito di abbattere il
profilo insieme minimalista e colossale di un tizio che li ha surclassati per
oltre vent’anni e che li fa adombrare
anche nella sua estrema vecchiaia, nella sua debolezza, nella malattia, e con
tenacia li mostra nudi di umanità minima, di sapienza politica, di capacità di
racconto, di ironia, che poi sarebbe il loro mestiere.
Questi eroi del bunga bunga mentale, estremi onanisti
della critica e dell’interpretazione da caserma dei fatti della vita, si accostano con
malagrazia a notizie cliniche che sperano fatali, non sanno stabilire il
confine tra una vita che li ha beffati, che li ha selvaggiamente esclusi dalla
comprensione della società e della politica, problema pubblico e privato di una generazione di cervelli all’ammasso, e
la morte che ci riguarda tutti, che invoca naturalmente, con misura, con
saggezza, il registro della pietà e di una nuova, definitiva,
intelligenza delle cose sottratta al nostro comune precariato mentale e
corporale.
Peggio. La beffa ha
proposto l’eredità politica, linguistica e culturale non a destra, dove
lorprimefirme cercano l’introvabile e lo sanno, ma a sinistra; e non tra
vecchioni impalatabili ma tra scout giovanissimi, strane figure di un paese cambiato da Berlusconi e riplasmato dalla sua
sfrenatezza e libertà. Renzi è stata la Nemesi, l’articolo 18 che ha
sancito il modo curioso e tortuoso di affermarsi della verità politica in
Italia. L’esperimento è in corso. E’ una filiazione, lo sanno tutti ma non
hanno il coraggio di dirlo che a tratti, solo per motivi polemici e quando
decisamente obbligati a farlo dalle circostanze. La sinistra è uscita
modificata, e geneticamente, da vent’anni di scontro all’arma bianca con il
berlusconismo. Molto più di quanto la destra, che non è mai esistita se non
nell’impersonificazione del Cav., sia oggi evidentemente frantumata e dispersa.
La stessa tribuna, Repubblica, su cui si è spalmato lo sbaffo di ieri, è venuta
a compromesso, tra mille incertezze e tremolamenti, con il nuovo regime che
allude ogni giorno a quello vecchio, e alle mille panzane retrograde di questi
finti utopisti: l’uomo solo al comando, il mercato come trascinatore dei posti
di lavoro e dell’innovazione tecnica, la comunicazione politica svelta, non
legnosa, rischiosa, magari brutta ma efficace, una certa libertà di tono che
era sempre mancata da queste parti.
I pettegoli del
cerchio magico, eredi dei guardoni del comune senso del pudore, scrittori
dell’osceno che è nel privato di tutte le persone voluttuosamente perbeniste,
si sono ritrovati l’incubo, la berlusconizzazione universale, in casa loro, in
redazione, nella proprietà editoriale, nella direzione, e lo esorcizzano adesso
con pagine di piccola abiezione maniacale, in cui trapela un istinto mortuario
alimentato dalla deludente prestazione in vita. Non riescono proprio a tirarsi
fuori dalla pozza afferrandosi per i capelli, operazione principesca, baronale,
difficile ma che ogni persona che sia in sé per una volta ha tentato nella
vita. Delusi da una vita spericolata e luccicante, che non sarà mai la loro,
tristi nella dimensione ombelicale dei loro interessi parapolitici, affondano
nel risentimento, nella cattiva coscienza, nella maldicenza come necessità di
stile, come seconda pelle.
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