BADA COME PARLI (ABBIAMO UN PROBLEMA CON LA LIBERTA')
Prima ci
rendiamo conto che siamo ormai in regime di “libertà condizionata”, meglio (o
meno peggio) è.
Teoricamente,
l'articolo 21 della costituzione è sempre in vigore, ma di fatto il suo primo
comma, quello che tutti ricordano e sbandierano: «Tutti hanno diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione», viene sempre più fagocitato dall'ultimo, che
nessuno cita mai: «Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e
tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume».
La
questione è: chi decide che cos'è il buon costume? La risposta è
semplice: lo decide chi detiene il potere. Quello reale, non quello formale (i
titolari del potere formale sono, in pratica, degli esecutori). Quando i
costituenti scrissero quell'articolo era chiaro a che cosa si riferivano («o
gran bontà dei cavalieri antichi!»), e del resto vivevano in un'Italia in cui
quell'espressione aveva un senso immediatamente comprensibile a tutti, perché
c'era un ethos condiviso. Ma oggi?
Oggi i
controllori del discorso pubblico impongono in maniera sempre più sfacciata e
impudente che buon costume è ciò che pensano loro.
L'altro
giorno, per esempio, un mio amico, don Francesco Pieri, si è fatto, ad alta
voce, una domanda - che io voglio riproporre in termini più “asettici” perché
risalti meglio la sua indiscutibile legittimità: "il numero di individui
appartenenti alla specie umana la cui morte è stata causata, direttamente o
indirettamente, dall'attività di Salvatore Riina è maggiore o minore di quello
degli individui appartenenti alla specie umana la cui morte è stata causata,
direttamente o indirettamente, dall'attività di Emma Bonino?"
Ciascuno,
ovviamente, ha il diritto di considerare questa domanda sbagliata, malposta,
oziosa, assurda, oppure provocatoria, scandalosa, ripugnante eccetera eccetera,
ma la campagna mediatica che si è immediatamente scatenata nei confronti
dell'autore del quesito, reo oltretutto di essere un prete cattolico, serve
oggettivamente a ribadire nella testa della gente il concetto che espressioni
del pensiero di quel genere sono «contrarie al buon costume». Per ora non sono
ancora legalmente perseguibili (forse), ma - come diceva Napoleone - l'intendece
suivra.
(Frattanto
qui da me, a Cesena, il comune si è già portato avanti, stabilendo - per via
amministrativa! - come discriminare i buoni dai cattivi nella possibilità di
manifestazione pubblica del pensiero).
Contro
tutto questo, c'è un principio evidente a cui dovremmo stare attaccati come
ostriche: la libertà di espressione del pensiero non è reale se non
viene garantita anche ai pensieri (che noi consideriamo) aberranti, moralmente
ripugnanti, inaccettabili. Siamo liberi, anzi abbiamo il dovere morale
e politico di combatterli con tutte le armi intellettuali di cui disponiamo, ma
dobbiamo tutelarne la libertà.
Altrimenti
la libertà di cui cianciamo continuamente non è diversa da quella di cui si
gode in Corea del Nord, dove tutti sono liberi di dire “Viva Kim Jong Un!”.
L'unico problema è che possono dire solo quello. Noi possiamo dire qualche cosa
di più, ma è una differenza solo quantitativa, non qualitativa.
LEONARDOLUGARESI.WORDPRESS.COM
Nessun commento:
Posta un commento