IL
MONOPOLIO DELLA CREDIBILITA’ E LA RELIGIONE DELLA LIBERTÀ
E ora Bush sr molesta anche Trump.
“I
don’t like him,” George Bush sr a 93nni scrive in un suo libro in uscita,
secondo una recensione del New York Times, che non gli piace Donald Trump
.
“I don’t know much about him,
but I know he’s a blowhard. And I’m not too excited about him being a leader”: è uno sbruffone. Non so
molto di lui, ma non mi appassiona la sua leadership. Così riferisce il sito on
line di Fox news del 4 novembre.
Si apprende poi che Bush sr avrebbe anche
votato Hillary Clinton nel 2016. Insomma dalla sua carrozzella il già vice di
Ronald Reagan, poi 43° Potus non si
trattiene e attacca un nuovo inquilino della Casa Bianca che certamente
non ha lo stile di una dinastia politica abituata al potere di
Washington.
La Rochefoucauld |
Per qualche tratto il vecchio George
ricorda Luigi XVI infastidito dal chiasso per la presa della Bastiglia. Peccato
che non disponga di un duca de La
Rochefoucauld che gli risponda alla domanda se quella di Trump è una
volgare ribellione, “Non, Sire, c’est une révolution”.
Come ci ha insegnato il Novecento, non è poi
che le rivoluzioni siano il paradiso in terra, e anzi si portano dietro sempre
eccessi con possibili derive pericolose, talvolta tragiche o comunque
sgradevoli (questo il caso del trumpismo, fenomeno che certamente non si
segnala per violenze tipiche di altre vicende della storia ma per diverse
sgradevolezze, sì). Non è neanche detto che le rivoluzioni non abortiscano. E
negli Stati Uniti il sommovimento avviato con il voto per le presidenziali del
novembre 2016 è in una fase di stallo che gli potrebbe essere fatale.
Resta comunque il fatto che una parte fondamentale della società
americana si è non solo ribellata ma proprio rivoltata, sia pure con il voto,
contro un ceto parlamentare in parte “bipartisan” e un articolato establishment
che sembravano bloccare ogni dialettica politica, perpetuando una
situazione avvertita soggettivamente come inaccettabile da settori ampi della
popolazione.
Non
analizzare questo concreto processo è il più grave peccato degli antitrumpisti, anche di quelli
intelligenti, che infastiditi da una realtà non prevista si sono limitati e si
limitano a esorcizzarla.
I media, centrali nel sistema di informazione liberal, innanzi tutto New
York Times e Cnn, ma anche i siti liberal che
si credevano non contrastabili, sono chiaramente infastiditi di non
poter contare su quella situazione di quasi
monopolio della credibilità di cui hanno goduto per un lungo periodo, e non si impegnano tanto a contestare i loro
competitori quanto a delegittimarli: denunciano quindi gli editori che
hanno una linea diversa dalla loro per irresponsabilità giornalistica, i loro
reporter per essere servi umiliati e degradati, le scelte alternative alle loro
come cedimenti all’audience, sollecitano il linciaggio morale di chi finanzia
media conservatori. Infine c’è l’incredibile accusa, poi, che questi media
conservatori “politicizzerebbero l’informazione”. Mentre i media liberal non
avrebbero punti di vista “politici” ma solo sulle farfalle? Vi è dietro questa
mobilitazione che appare talvolta avere tratti nevrotici, anche una convinzione ideologica: quella che
la verità politica non nascerebbe dal libero confronto delle idee, ma dal
conformarsi a modelli su cui i giornalisti “liberal” avrebbero l’esclusiva
dell’approvazione.
Conosciamo bene in Italia questa prassi, come nel 1992 le
maggiori testate nazionali (dall’Unità alla Stampa al Corriere) si coordinassero per concordare “la linea”,
come poi per venti anni e passa l’élite giornalistica abbia sfornato a
ritmo serrato “le pistole fumanti” delle complicità di Silvio
Berlusconi ora con la mafia ora con i soliti russi. Pur con molte
botte ricevute, uno spazio di discussione aperto comunque anche da noi è stato
difeso. Credo che ciò sarà ancora più semplice negli Stati Uniti dove la religione della libertà è centrale nella
vita della società e dello Stato. E in questo senso, insieme con i giudici
che agiscono secondo diritto e non politicamente, è centrale la necessità di
difendere un sistema di media che discute “liberamente” come elemento
essenziale di bilanciamento di qualsiasi sistema democratico.
Lodovico
Festa
l’occidentale
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