sabato 11 novembre 2017

CONTRO TRUMP O CONTRO L’AMERICA? 2


IL MONOPOLIO DELLA CREDIBILITA’ E LA RELIGIONE DELLA LIBERTÀ

E ora Bush sr molesta anche Trump.

I don’t like him,” George Bush sr a 93nni scrive in un suo libro in uscita, secondo una recensione del New York Times, che non gli piace Donald Trump . 
I don’t know much about him, but I know he’s a blowhard. And I’m not too excited about him being a leader”: è uno sbruffone. Non so molto di lui, ma non mi appassiona la sua leadership. Così riferisce il sito on line di Fox news del 4 novembre.

Si apprende poi che Bush sr avrebbe anche votato Hillary Clinton nel 2016. Insomma dalla sua carrozzella il già vice di Ronald Reagan, poi 43° Potus non si trattiene e attacca un nuovo inquilino della Casa Bianca che certamente non  ha lo stile di una dinastia politica abituata al potere di Washington.
La Rochefoucauld
Per qualche tratto il vecchio George  ricorda Luigi XVI infastidito dal chiasso per la presa della Bastiglia. Peccato che non disponga di un duca de La Rochefoucauld che gli risponda alla domanda se quella di Trump è una volgare ribellione, “Non, Sire, c’est une révolution”.

Come ci ha insegnato il Novecento, non è poi che le rivoluzioni siano il paradiso in terra, e anzi si portano dietro sempre eccessi con possibili derive pericolose, talvolta tragiche o comunque sgradevoli (questo il caso del trumpismo, fenomeno che certamente non si segnala per violenze tipiche di altre vicende della storia ma per diverse sgradevolezze, sì). Non è neanche detto che le rivoluzioni non abortiscano. E negli Stati Uniti il sommovimento avviato con il voto per le presidenziali del novembre 2016 è in una fase di stallo che gli potrebbe essere fatale.

Resta comunque il fatto che una parte fondamentale della società americana si è non solo ribellata ma proprio rivoltata, sia pure con il voto, contro un ceto parlamentare in parte “bipartisan” e un articolato establishment che sembravano bloccare ogni dialettica politica, perpetuando una situazione avvertita soggettivamente come inaccettabile da settori ampi della popolazione.
 Non analizzare questo concreto processo  è il più grave peccato degli antitrumpisti, anche di quelli intelligenti, che infastiditi da una realtà non prevista si sono limitati e si limitano a esorcizzarla.

I media, centrali nel sistema di informazione liberal, innanzi tutto New York Times e Cnn, ma anche i siti liberal che si credevano non contrastabili, sono chiaramente infastiditi di non poter contare su quella situazione di quasi monopolio della credibilità di cui hanno goduto per un lungo periodo, e non si impegnano tanto a contestare i loro competitori quanto a delegittimarli: denunciano quindi gli editori che hanno una linea diversa dalla loro per irresponsabilità giornalistica, i loro reporter per essere servi umiliati e degradati, le scelte alternative alle loro come cedimenti all’audience, sollecitano il linciaggio morale di chi finanzia media conservatori. Infine c’è l’incredibile accusa, poi, che questi media conservatori “politicizzerebbero l’informazione”. Mentre i media liberal non avrebbero punti di vista “politici” ma solo sulle farfalle? Vi è dietro questa mobilitazione che appare talvolta avere tratti nevrotici, anche una convinzione ideologica: quella che la verità politica non nascerebbe dal libero confronto delle idee, ma dal conformarsi a modelli su cui i giornalisti “liberal” avrebbero l’esclusiva dell’approvazione.
Conosciamo bene in Italia questa prassi, come nel 1992 le maggiori testate nazionali (dall’Unità alla Stampa al Corriere) si coordinassero per concordare “la linea”, come poi per venti anni e passa l’élite giornalistica abbia sfornato  a ritmo serrato “le pistole fumanti” delle complicità di Silvio Berlusconi ora con la mafia ora con i soliti russi. Pur con molte botte ricevute, uno spazio di discussione aperto comunque anche da noi è stato difeso. Credo che ciò sarà ancora più semplice negli Stati Uniti dove la religione della libertà è centrale nella vita della società e dello Stato. E in questo senso, insieme con i giudici che agiscono secondo diritto e non politicamente, è centrale la necessità di difendere un sistema di media che discute “liberamente” come elemento essenziale di bilanciamento di qualsiasi sistema democratico.

Lodovico Festa

l’occidentale

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