Bambini separati dalle famiglie: è ora di
rimettere insieme politica e cuore
La politica anti immigrazione di
Donald Trump divide le famiglie messicane: anche la moglie Melania è contro di
lui. Diario da un Paese che ha perso il cuore.
RIRO MANISCALCO
Esiste un modo per osservare i fatti e
giudicarli secondo criteri certi, veri, radicali, quelli iscritti nell'anima di
ognuno? Detto con le parole che Melania Trump ha tirato fuori l'altro giorno,
si può essere un paese che osserva le leggi ma che governa col cuore?
Mentre l'Europa litiga e si sfilaccia
sulla questione degli immigrati, noi, l'America, la terra divenuta casa di
milioni e milioni di immigrati "liberi" e "coraggiosi"
(come cantiamo nell'inno nazionale) osserviamo la tragedia di famiglie separate
in nome della legge: oltre duemila bambini strappati alle loro mamme e raccolti
in strutture rimediate, da capannoni dismessi di Walmart a scuole abbandonate.
Oltre duemila tra i confini del Texas e le strade a pedaggio del New
Jersey e tutti radunati in queste ultime settimane.
Certamente non c'è solo Melania a
sollevare dubbi sull'operato dell'amministrazione Trump in questo tentativo di
inasprimento radicale dell'immigrazione clandestina. Santa Romana Chiesa ha
sempre avuto una posizione netta rispetto alla questione e proprio in questi
ultimi giorni l'arcivescovo José Gomes, vicepresidente della Conferenza
episcopale statunitense, ha pubblicamente denunciato questa pratica di separare
genitori e figli, quantificandola sia come entità (ogni giorno una sessantina
di bambini sono strappati alle loro famiglie) che come inutile costo per il
paese (oltre 200 dollari persona/giorno). Ci sono persino vescovi che invocano
"penalità canoniche" contro chi armeggia alla messa in atto di queste
policies di violenza alle famiglie ed alla vita in quanto tale, paragonabili —
parole dei vescovi — alla pratica dell'aborto.
A leggere le storie di questa gente vien
da piangere. Tutti in fuga da miseria, violenza, tutti alla ricerca di un
briciolo di sogno americano, magari in edizione tascabile e super-economica
sotto forma di un tetto per i propri figli ed un lavoro qualsiasi nella
speranza di un domani. Storie diverse da quelle che vivete voi eppure
profondamente uguali: ci sono Messico, Guatemala, Honduras, El Salvador invece
del Middle East e del Nord Africa, il Rio Grande invece del Mediterraneo,
povertà e criminalità feroce invece di guerre, tutte piaghe incurabili che
nessuno sa guarire. E noi dall'altra parte del muro, di là del mare alla
ricerca di un criterio giusto, intrappolati come siamo tra un comprensibile
voler tutelare quello che riteniamo essere il nostro interesse ed il cuore che
ancora c'è e non ama confini di nessun genere. Allora magari arriva la politica
a soccorrerci, a levarci dallo stomaco il peso di una scelta e di un sacrificio
che capiamo essere imminente ma al tempo stesso sconosciuto. Lasciamo allora
che sia la politica, che siano le forze dell'ordine e magari gli accordi
internazionali ad imporre il criterio "giusto" — purché non costi
nulla a me, al mio benessere, alla mia quotidianità, ai miei soldi.
C'è un modo disumano di guardare
all'umanità, soprattutto all'umanità ferita, ed è quello di pensare che a me
non è chiesto nulla. Chi ci ha insegnato a guardare l'altro come un estraneo e
non come un fratello? Proprio ieri mi son ritrovato a fissare la prima pagina
del New York Times. Leggevo e sentivo qualcosa di stonato, poi ho
capito. Non da voi, ma da noi ieri era "Father's Day", la "Festa
del Papà" — e su cos'era l'articolo principale del NY Times?
Sulla mancanza di tutela della maternità negli Stati Uniti d'America.
Verissimo, ma perché tirarlo fuori nel giorno dei "Padri" quasi a
voler generare distanza, rivalità o inimicizia? Forse che un padre può essere
tale senza una madre?
Che la politica si adoperi per trovare
quegli equilibri la cui creazione è parte del suo compito, e che tutti gli
uomini di buona volontà quando dicono "Padre Nostro" permettano al
cuore di capirne il significato elementare ed alla ragione di indicare il
passo.
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