La Chiesa perde
così la trascendenza rispetto al proprio tempo e finisce per assimilarne le
categorie mondane e perfino il linguaggio. Essa termina di combattere, perché
non vede più il proprio tempo dal punto di vista dell’eternità e quanto muta
dal punto di vista di quanto non muta. Accettando la modernità per motivi
pastorali, la Chiesa finisce per accettarne la dottrina. Nel caso del
referendum irlandese la Chiesa ha brillato per afasia ed assenza.
L’esito del referendum irlandese sull’aborto è una tragica sconfitta per
l’Irlanda che comincerà a uccidere sistematicamente i propri
figli. L’approvazione di una legislazione abortista uccide una nazione e un
popolo, perché lo fa andare contro-natura nel punto più delicato e importante,
gli fa negare l’accoglienza nel momento sorgivo e più decisivo, lo educa a
pensare che ciò che è legale sia anche buono, abituandolo a non distinguere più
tra carnefice e vittima. Il
riconoscimento legale dell’aborto è per un popolo una morte spirituale che lo
priva della sua coscienza, lo obbliga a vivere perennemente col rimorso senza
chiamarlo tale, lo lacera in quanto c’è di più originariamente sacro e mette
nelle mani dei cittadini l’indisponibile. Quando l’indisponibile diventa
disponibile tutto è perduto.
La sconfitta della vita, del buon
senso, della naturale umanità, della
maternità e della paternità che è seguita al referendum irlandese conferma tre
punti di grande rilevanza per la lettura della storia dei nostri tempi.
Il primo è che la secolarizzazione
religiosa porta con sé sempre anche la secolarizzazione etica. L’Irlanda, forse ultima in Europa, ha subito negli ultimi decenni un forte
processo irreligioso che le ha fatto raggiungere velocemente il deserto già
raggiunto da tempo da altri Paesi europei. Si è trattato di un processo
devastante e violento che ha sradicato da quel popolo il suo legame naturale e
storico con la fede cattolica. I fautori della laicità direbbero che ciò non
rappresenta di per sé un pericolo, perché la società può comunque coltivare e
difendere valori naturali legati alla vita e alla famiglia anche senza il
sostegno della religione. Ma questo non è vero, e proprio il referendum
irlandese è lì a dimostrarlo.
Il piano della ragione naturale, che in linea di diritto dovrebbe essere in grado di riconoscere il valore
assoluto della vita anche senza fare riferimento alla rivelazione cristiana, in
realtà non ci riesce senza essere sostenuto in ciò dalla fede cattolica. Dio ha
voluto che anche la legge naturale fosse oggetto di rivelazione e ha posto la
Chiesa a sua tutela. Se la rivelazione e la Chiesa sono estromesse dalla scena
pubblica, la legge naturale viene perduta.
Il secondo è che quando un popolo si
modernizza è inevitabile che succeda
quanto ho descritto nel primo punto, ossia che venga escluso Dio dalla vita pubblica e, di seguito, anche i più naturali
tra i valori vengano dissolti. Non mi sembra che esistano esempi storici che
contraddicano questa constatazione. Ciò significa che nella modernità c’è
qualcosa di essenzialmente inquinato ed inquinante.
Intendo qui per modernità non un’epoca cronologica ma una categoria culturale, che
sostituisce la natura con la storia, la verità con la libertà, l’intelligenza
con la volontà, la volontà con la prassi, i doveri con i diritti, i diritti con
i desideri, la realtà con la coscienza, la conoscenza con l’interpretazione.
L’ingresso nella modernità intesa in questo senso comporta sempre dei danni
spirituali e una decomposizione del quadro di senso che nelle epoche precedenti
era coeso e solido. Nel modo di pensare proprio della modernità come categoria
mentale ci sono degli errori fondamentali le cui influenze fanno trattenute e
combattute, in caso contrario l’esito confermato anche in Irlanda è inevitabile.
Il terzo è il pericolo che
l’ingresso di un popolo nella modernizzazione alla
lunga spinga la Chiesa stessa ad entrarvi, pensando, nel caso contrario, di non
poter incontrare pastoralmente l’uomo contemporaneo. Solo che, nell’illusione di incontrare l’uomo contemporaneo
collocandosi essa stessa nel suo orizzonte di modernità, essa finisce per
accettare la modernità come categoria mentale e morale. La modernità in
senso cronologico (incontrare l’uomo contemporaneo) viene confusa con la
modernità in senso culturale e morale (con tutti i suoi errori). La Chiesa perde così la trascendenza
rispetto al proprio tempo e finisce per assimilarne le categorie mondane e
perfino il linguaggio. Essa termina di combattere, perché non vede più il
proprio tempo dal punto di vista dell’eternità e quanto muta dal punto di vista
di quanto non muta.
Accettando la modernità per motivi
pastorali, la Chiesa finisce per accettarne la dottrina. Nel
caso del referendum irlandese la Chiesa ha brillato per afasia ed assenza.
Nessuna mobilitazione di popolo, nessun intervento da Roma, nessun aiuto da
parte degli episcopati europei, eppure si trattava dell’ultimo Paese del nostro
continente ad avere finora resistito contro la morte di Stato. É sotto gli
occhi di tutti, del resto, che la Chiesa ha da tempo cessato di combattere per
la vita e di mobilitare sistematicamente le coscienze contro l’aborto. Ciò
significa che le categorie intellettuali della modernità sono penetrate a fondo
anche dentro di essa e l’hanno resa mondanamente innocua.
Stefano Fontana da
lanuovabussola
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