Sovranista e populista sono
i due termini usati per tratteggiare il profilo dei nuovi partiti di destra che
si stanno affermando in tutto il mondo. Ampiamente indeterminate e per certi
versi confuse, sono però queste le parole utilizzate dai leader emergenti per
marcare una discontinuità dall’eredità neo-liberista e globalista di Reagan e
Thatcher.
Discontinuità che viene cercata nel momento
in cui il modello della globalizzazione non è più in grado di creare
integrazione attraverso una crescita trainata dalla liberalizzazione dei
mercati finanziari. Il cambio di direzione è netto: per affrontare la stagione
nella quale viviamo occorre una nuova centralità dello stato come attore
fondamentale per difendere gli interessi nazionali in un contesto diventato
molto più turbolento e conflittuale.
È questa la via lungo la quale diventa
possibile — nella prospettiva dei partiti della nuova destra — riannodare i fili
della crescita economica, dell’integrazione sociale e del consenso politico.
Come in tutti i cambiamenti di fase, il nuovo schema spiazza il modo di pensare
abituale e produce effetti inattesi: non deve dunque stupire che, in tutto il
mondo, vi siamo schiere di esperti che non capiscono quelle che sta accadendo.
Nè che siano i ceti popolari quelli che in America votano per un miliardario
come Trump o che da noi approvano la flat tax, manifestamente a vantaggio dei
più ricchi.
Nelle scorse settimane, l’abilità di
Salvini è stata quella di attirare il M5S lungo questa strada che costituisce sin
dall’inizio l’obiettivo della sua azione.Per quanto scaltra — tanto da essere
riuscita a portare a casa, contro tutto e tutti, l’inedita compagine di governo
guidata da Conte — la mossa del leader leghista è destinata a scontrarsi con
due questioni che saranno poi determinanti nel segnare il destino della Lega,
del governo e dell’Italia.
La nuova destra — sovranista e
populista — nasce
dal naufragio dell’ordine liberale sorto con il 1989. Nel mondo multipolare nel
quale ci troviamo oggi a vivere, sono gli stessi interessi economici a rendersi
conto di aver bisogno di una politica forte per gestire le tensioni interne
(vedi la centralità delle immigrazioni) ed esterne (come si vede dal ritorno di
temi quali i dazi o la sovranità monetaria). Per giocare la partita della
«seconda globalizzazione» — dove vi sono attori politici diversi in aperta
competizione tra loro — occorre una stato autorevole. Esigenza talmente forte
da tradursi fuori dall’occidente nella moltiplicazione di regimi autocratici. E
proprio qui sta il punto: nel quadro della Ue, l’Italia ha la forza e la stazza
per giocare da sola questa partita? In positivo, la sfida di Salvini potrebbe
costituire l’occasione per rinegoziare i trattati europei in un modo più
favorevole rispetto agli interessi italiani. In negativo, il rischio è che il
gioco sia troppo difficile e che il leader leghista sia costretto a venire
risucchiato nella logica indipendentista del «fuori euro». Esito che — tenuto
conto del livello del debito e di credibilità che abbiamo — porterebbe
all’Italia solo un sacco di guai.
Il secondo nodo ha a che fare con le
contraddizioni che derivano dal contratto siglato con i M5S. In effetti, con il
passaggio elettorale e la formazione del governo, il movimento di Grillo ha
ormai subito una doppia trasformazione. Da un parte, si è meridionalizzato: a
sorpresa, la rete si è rivelata il canale attraverso cui si sono coagulati gli
interessi di quei gruppi che, concentrati nelle regioni più marginali, non
riuscivano a far sentire la propria voce; effetto enfatizzato dalla scelta di
un leader napoletano come Luigi Di Maio. Dall’altra parte, il Movimento ha
ulteriormente accentuato la propria propensione «statalista»: per affrontare
gli interessi che lo hanno votato, la soluzione adottata é anche la più
semplice, e cioè la vecchia idea di stato visto come ente pagatore in ultima
istanza.La proposta del reddito di cittadinanza è la sintesi di questa doppia
metamorfosi. Il problema è che ciò è destinato a creare un corto circuito col
disegno di Salvini: quanto più lo stato sarà spendaccione e assistenzialista,
realizzando le pro-messe del contratto di governo, tanto più perderà di
credibilità, finendo così per indebolirsi.
Gli esiti di questa secondo
contraddizione possono essere solo due: o l’uscita
dall’Euro sull’onda dall’ipotesi che la sovranità monetaria possa essere la via
per concretizzare le promesse fatte agli elettori. Tesi falsa, che
condannerebbe l’italia a un destino greco-argentino. Oppure la distruzione
della coalizione di governo, spingendo le Lega a ricostruire il centro destra
dopo aver spaccato il M5S. Esito molto più probabile. Ma non si tratterà
comunque di un «ritorno a casa», quanto piuttosto di una profonda mutazione:
una nuova destra post-berlusconiana, molto più conservatrice e nazionalista nei
modi e nei toni, tentata di usare registri fortemente antieuropei e
antistranieri, strumentalizzando i riferimenti cristiani come base culturale
delle proprie posizioni. Insomma, un’altra storia.
9 giugno 2018 CORRIERE DELLA SERA
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