sabato 14 marzo 2020

CHI È QUEST'UOMO?


 DI PIERRE-MARIE DUMONT

Rembrandt dipinse questa tela nel 1630 circa quando aveva ventiquattro anni. Ha combattuto con le unghie e con i denti per tutta la sua carriera per aggrapparsi a questo giovane capolavoro fino a quando non è stato costretto a venderlo nel 1656 per cancellare i suoi debiti. 
Perché quello che rappresentava qui era la salvezza che sperava dopo la straziante disperazione che doveva affrontare così spesso: le morti spaventose e incomprensibili di una persona cara l'una dopo l'altra, finché non ce n'era nessuna. 
E poi Rembrandt ha avuto il dono della compassione, non derivante da alcun sentimentalismo da parte sua, ma da un'imitazione voluta di Cristo che offre la più grande prova d'amore.

Era convinto di questa verità: che l'obiettivo finale del potere del male è mettere l'amore a morte. E ha i mezzi per farlo. Infatti, con il suo disegno malevolo, il male trionfa in modo sicuro e tragico su tutti gli sforzi dell'uomo, per quanto irrisori, per portare l'amore vivo e sostenerlo persino sul nostro Calvario. Tranne questo unico uomo, che il Vangelo di Giovanni descrive come il più umano degli uomini, il caro amico di Lazzaro, Marta e Maria; forse un uomo fin troppo umano che piangeva lacrime di sale sull'amico: guarda come lo amava!esclamò la gente. Un uomo così umano che piange davanti al dolore di coloro che rimangono dietro - un dolore che Rembrandt conosceva fin troppo bene dopo aver visto sua madre, suo padre, i suoi figli, sua moglie e i suoi amici orribilmente schiacciati dalla malattia prima di essere rapiti nelle mascelle di morte. Sì, il potere del male trionfa sempre - tranne che quest'uomo che piange, fin troppo umano com'è, all'improvviso dice: io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà.

E Rembrandt, che aveva perso così tanti cari, crede in lui. Più significativo in questa tela è il gioco del chiaroscuro: la luce che dilata le ombre, l'amore che sradica il male più potente della sofferenza che soffre la carne, la vita che alla fine trionfa sulla morte. Un intenso raggio di luce che scorre dal centro a sinistra lancia un raggio obliquo nel mezzo della scena prima di colpire la tomba di Lazzaro. I presenti al miracolo - Marta retroilluminata, Maria in piena luce e i dignitari ebrei - sono incantati. La figura del Signore forma l'asse verticale che divide la composizione: un Gesù di volto umano, ancora colpito dal dolore, ma un Cristo di statura sovrumana. Due volte l'altezza delle altre figure, la sua mano destra magistralmente sollevata, con il potere di Dio comanda al suo amico di alzarsi. Se i morti non vengono risuscitati , siamo solo persone pietose , come dice San Paolo (1 Cor 15:14); ma, da Betania a Emmaus, Rembrandt illustra che la nostra fede non è vana .

The Raising of Lazarus (c. 1630–1632), Rembrandt van Rijn (1606–1669), Los Angeles County Museum of Art, CA, USA. © akg-images / Album.
Tratto da MAGNIFICAT

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