di Marco Bertoncini
Il presenzialismo di Giuseppe Conte ostenta un presidenzialismo senza
appoggio costituzionale. A palazzo Chigi si accettano soltanto interviste
chilometriche nelle quali non si risponde a richieste che la gente comune
avanzerebbe, mentre l'intervistato ostenta
il proprio ruolo di guida indiscussa della nazione.
Se il mancato supercommissario Domenico Arcuri si è ridotto a semisilente
operatore (tuttora da verificare sui risultati) e Angelo Borrelli emerge
tristemente nelle angosciose comunicazioni di funeree cifre, in compenso
perfino le riunioni del governo si sono ridotte. Senz'altro Conte sente, ormai
in videoconferenza, tecnici ed esperti, i quali però, ogni giorno di più,
rivelano, almeno sui mezzi di stampa, laceranti difformità di pensiero. E poi
colloquia con qualche ministro e pochi politici.
Però di affrontare a viso aperto sia la
stampa sia, e soprattutto, il Parlamento, il megapresidente non ha voglia
alcuna. Si capisce perfettamente che le obiezioni a fare
svolgere, se non normalmente certo adeguatamente, i lavori parlamentari gli
servono per evitare confronti sgraditi. Non era finora successo che i gruppi di
opposizione dovessero bussare al Quirinale per ottenere il minimo
costituzionale nei confronti del governo: rispondere alle Camere.
Vi sono decreti-legge che attendono modifiche richieste dall'interno
medesimo della maggioranza, così come si vi sono atti amministrativi, specie
dpcm, che sarebbe indispensabile fossero illustrati alle Camere in vista delle
future riscritture. Per Conte sarebbe sgradevole. Se al Cav si rimproverava il suo faso-tuto-mi, che dire del
presidenzialismo instaurato da chi è salito sulla poltrona per un caso che più
casuale non si potrebbe immaginare?
Tratto da ITALIA OGGI
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