lunedì 21 dicembre 2020

BEETHOVEN E LA DIMORA DELL'IO


Il 16 dicembre di 250 anni fa, nasceva il grande compositore. È uno degli autori più amati da don Giussani.

Da Spirto Gentil, il suo commento al Concerto per violino e orchestra op.61: «È l’emblema dell’attesa di Dio che l’uomo ha»Luigi Giussani

Il tema concretamente ultimo dell’esistenza umana può essere così sintetizzato: l’uomo nasce da, riceve tutto da. È impressionante il fatto che nulla di quello che è proprio del nostro io sia nostro. Eppure la tentazione più grave dell’uomo è quella di concepirsi autonomo. A tal punto essa è così grave che coincide con la sostanza del peccato originale.

Il Concerto per violino e orchestra di Beethoven che ascolto da quasi cinquant’anni, fin dalle prime volte in cui ho iniziato a insegnare religione al liceo Berchet di Milano, è diventato per me simbolo di quella tentazione suprema, accanita, continua dell’uomo di farsi padrone di sé, signore di sé, misura di sé, contro l’evidenza delle cose.

Da quando il Diavolo ha detto alla donna: «Non è vero che se mangi il pomo morirai; al contrario, se lo mangi, diventerai libera, adulta, sarai come Dio, conoscerai il bene e il male», da allora gli sforzi dell’uomo per rendersi autonomo come cultura e come dinamica di amore si sono solo moltiplicati.

Ma torniamo al Beethoven di quasi cinquant’anni fa. Allora avreste potuto vedere per le strade di Milano un prete che girava con un enorme grammofono. E se qualcuno gli avesse domandato: «Dove vai?», avrebbe risposto: «Vado a scuola». «E porti il grammofono a scuola?!» «Eh, la scuola non mi dà il suo e allora porto il mio.»
Una delle prime cose che facevo ascoltare a scuola era proprio il Concerto per violino e orchestra, con quel tema fondamentale che percorre tutto il pezzo: la vita dell’uomo, della società, è segnata dalla melodia dell’orchestra, dalla quale per tre volte il violino fugge per affermare se stesso e dalla quale per tre volte viene ripreso fino a riposare in pace, quasi dicesse: «Finalmente!».

Il violino – l’individuo – per affermare se stesso ha sempre la tentazione di staccarsi in uno slancio fugace, e proprio in quel tentativo lo strumento dà il meglio di se stesso. Perciò i motivi più affascinanti del concerto sono quelli del violino, del singolo che tenta di affermarsi al di sopra di tutti. Ma il violino non può resistere a lungo in questo slancio; e meno male che c’è l’orchestra – la realtà comunitaria – che lo riprende in sé.

Ricorderò sempre il brivido che percorse la classe quando feci ascoltare per la prima volta a scuola questo brano di Beethoven: il violino esprimeva una tale struggenza del sentimento che realmente ci faceva piegare sopra noi stessi. Era talmente sensibile nella sua potenza quello struggimento che una ragazza, seduta nel secondo banco vicino alla finestra che dava sul cortile, scoppiò in un singhiozzo. La classe non rise. Io, allora, dissi soltanto che il luogo della pace è dove tutti gli impeti irrazionali, o comunque incompiuti, dell’istintività sono ricomposti: nella comunità.

Infatti, che cosa permette al violino di compiere i già citati tre slanci, solitari e geniali, i tre momenti più pacificanti del concerto? L’appoggio della comunità, dell’orchestra, a cui può ritornare in ogni momento, che lo riprende, lo insegue e lo riprende ogni volta che scappa.
Il violino è l’uomo che spera nelle sue forze momentanee, sempre concepite come isolate, più che nel comune tentativo dettato da un’origine e da un destino condivisi. Comunque la si concepisca, non può essere giusta l’autonomia dell’individuo, proprio perché come tale non ha vera origine né destino e quindi non può creare storia; può suscitare un momento di emozione nel tempo, ma, subito dopo avere squassato la superficie dell’acqua non può fare nulla, non riesce ad avere un fine.
Lo struggimento che il tema fondamentale del Concerto per violino e orchestra suscita – quello che provocò il pianto improvviso della ragazzina – è l’emblema dell’attesa di Dio che l’uomo ha.

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