Il "modello Italia" ieri ha
superato il Regno Unito per numero di morti per Covid-19. Siamo i primi in
Europa secondo il conteggio dell'Agenzia France Presse, il bilancio totale
delle vittime è a quota 64.036, prima del nostro paese gli Stati Uniti (296.105
morti su 328 milioni di abitanti), il Brasile (180.437 morti su 209 milioni di
abitanti), l'India (142.628 su 1,3 miliardi di abitanti) e il Messico
(113.019 morti su 126 milioni di abitanti). I numeri sono freddi, ma raccontano
perfettamente il dramma di un paese di 60 milioni di abitanti che fino a due
mesi fa nelle dichiarazioni dei suoi governanti si auto-promuoveva come un
modello per tutti gli altri. Gli angeli sono caduti a terra. (dati del 13
dicembre)
Siamo arrivati a
questo punto pur essendo stati i primi in Occidente a scoprire la minaccia,
dicendo che "tutto è sotto controllo" (premier Giuseppe Conte, 31
gennaio), dopo un durissimo isolamento alla pechinese, affermando poi che
"la situazione è sotto controllo, niente più lockdown" (premier
Giuseppe Conte, 31 agosto), disquisendo in autunno sulle virtù del nostro
sistema di contrasto, alzando la bandiera bianca in inverno di fronte
all'inesorabile fatto che il sistema delle tre T (test, trattamento,
tracciamento) all'italiana era crollato miseramente.
Il fallimento è
prima di tutto del governo che non ha mai fatto una seria e necessaria
autocritica e ha accusato gli italiani di non essere un popolo responsabile
delle proprie azioni. Se questa fosse la causa del boom dei contagi e dei morti
in Italia, chi governa dovrebbe trarre la conclusione che non è capace di
guidare il proprio popolo. La guida di una nazione è il mix di una serie di
elementi, quelli caratteristici del comando: l'autorità va sposata
all'autorevolezza, le leggi emanate all'efficacia, l'azione in sintonia con il
messaggio. Tutto questo è mancato, la prova è nella crisi che si è aperta nella
maggioranza in questi giorni. Un esecutivo che va in testacoda con la pandemia,
un collasso economico devastante, la sfida della ricostruzione, una campagna di
vaccinazione globale alle porte e la più grande rivoluzione dei rapporti
internazionali dal dopoguerra a oggi, dovrebbe avere un altro passo e un altro
tono. Quello che sta mancando ha un nome, si chiama politica.
Mentre scorrono i
titoli di coda del 2020, annus horribilis, si sente in lontananza
il cigolio del 2021. Siamo tra la paura e la speranza, tra il ferro e il fuoco,
tra la luce e il buio. Abbiamo la certezza dei vaccini, è arrivata la
cavalleria della scienza, ma l'emergenza sanitaria finirà quando la campagna di
vaccinazione sarà dispiegata sul territorio e per farlo serve una grande
organizzazione logistica, una mobilitazione del paese. Sta avvenendo? Siamo
sulla torre di Babele, parlano tutti, il rumore è sovrano.
Il Regno Unito ha
cominciato la distribuzione del vaccino da qualche giorno, gli inglesi si
possono criticare finché si vuole, ma sono arrivati primi; gli Stati Uniti sono
in pista, hanno centrato il risultato storico di aver prodotto due vaccini per
primi (Pfizer e Moderna) e avranno l'impulso di una nuova presidenza che non
può mancare il bersaglio; in Europa la Germania è il paese più attrezzato, come
sempre, l'Italia appare in ritardo e non solo su questo fronte. Siamo
agganciati all'Unione europea, questa è una speranza e un antidoto contro la
nostra anarchia, ma preferiamo essere prudenti e realisti, perché il recente
passato ci ha insegnato a osservare i fatti e poi confrontarli con le parole
dette in anticipo.
In questo scenario, la
frattura che si aperta nel governo sulla istituzione di una cabina di regia del
Recovery Fund è una conseguenza dell'assenza di una visione politica, il vero
deficit di Palazzo Chigi. Matteo Renzi, può piacere o meno, ha aperto una discussione
necessaria e Conte non potrà glissare: non si possono gestire oltre 200
miliardi con un comitato di tecnici che espropria le competenze dei ministri e
del parlamento perché il risultato sarebbe il caos. Inoltre, come ha
sottolineato Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna, non si
può neppure immaginare di rendere esecutivi i progetti senza le Regioni.
L'Italia è un sistema istituzionale complesso, articolato su più livelli e il
titolo V della Costituzione riserva grandi competenze agli enti locali. Senza
la collaborazione di tutti, non si va lontano, si resta fermi e sarebbe
letale.
L'Italia non può fallire questi
due obiettivi: la vaccinazione e la ricostruzione, perché il 2021 comincerà a
proiettare l'ombra del debito pubblico decollato in maniera esponenziale (oltre
il 160% del prodotto interno lordo) con una logica non di investimento ma di
sola emergenza (è la differenza che passa tra il debito buono e quello cattivo
di cui parlò - inascoltato - Mario Draghi mesi fa).
La realtà busserà alla porta e il
contraccolpo della fine delle misure straordinarie sarà improvvisamente
visibile sul fronte del lavoro (e siamo già a 622 mila occupati in meno),
interi settori sono stati ristrutturati dalla crisi pandemica e si preparano a
affrontare la realtà del mercato, la "stay home economy" è
destinata a restare in molti campi, è cambiata l'agenda della contemporaneità.
Ecco perché la discussione che
si è aperta sul governo e il premier Conte è necessaria e opportuna. O il
governo si rafforza e cambia passo, o si volta pagina prima che sia troppo
tardi. Non è un problema personale, non è in gioco la biografia di Conte o la
fortuna politica di Renzi, è un tema che riguarda l'intera nazione. Per andare
avanti, servono idee chiare, leadership, capacità di trascinare il paese verso
un'altra era, siamo entrati in un nuovo mondo.
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