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«La situazione dell'Italia era senza via d'uscita [...]. Non vi era alcuno spazio per una trattativa [...] ma Badoglio e il re non se ne resero conto e si dimostrarono del tutto incapaci di affrontare la situazione, trascinando l'Italia con la loro inazione nel più grave disastro militare della sua storia. Preoccupati del loro destino personale, più che di quello del paese, misero in secondo piano l'esigenza di prendere le misure necessarie per essere preparati al momento dell'annuncio dell'armistizio, e si preoccuparono soltanto di mantenere il segreto per non dare ai tedeschi l'occasione per un colpo di stato». (Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando. L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, Il Mulino, Bologna 2003, p. 80)
Mia moglie non si capacita che io la
sera, prima di addormentarmi, legga preferibilmente libri di storia della
seconda guerra mondiale. Il fatto è che la memoria di quel gran disastro
passato – da cui pure i miei genitori sono scampati (si sposarono il 19 gennaio
del 1945, nella cripta di una chiesa bombardata; la mia mamma aveva un cappotto
che si era fatto con una coperta militare e mia zia preparò una torta con uova
farina e zucchero regalati dai soldati inglesi che erano alloggiati a casa
nostra, e fu quella tutta la festa) – mi è di paradossale conforto nel guardare
al disastro presente e nell'immaginare quello futuro che i miei figli e nipoti
dovranno affrontare.
Certo fa impressione che l'Italia,
proprio come allora, nella catastrofe abbia sempre Vittorio Emanuele III e
Badoglio a capo dello stato e del governo.
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