mercoledì 9 dicembre 2020

DOV’È LA VITA CHE ABBIAMO PERDUTO VIVENDO?


ELIOT, CORI DA “LA ROCCA” CANTO I°

“Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo?
Dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo?
Dov’è la sapienza che abbiamo perduto nell’informazione?
I cicli del Cielo in venti secoli
Ci portano più lontani da DIO e più vicini alla Polvere.
Viaggiavo verso Londra, alla City che è preda del tempo,
La dove il Fiume scorre con flutti stranieri.
Laggiù mi dissero: abbiamo troppe chiese,
E troppo poche osterie.
Laggiù mi dissero:
Se ne vadano i parroci.
Gli uomini non hanno bisogno della Chiesa
Nel luogo in cui lavorano, ma dove passano le domeniche.
In città non abbiamo bisogno di campane:
Che sveglino i sobborghi.
Camminai fino ai sobborghi, e là mi dissero:
Sei giorni lavoriamo, il settimo vogliamo andare in gita
Con l’automobile fino a Hindhead, o a Maidenhead.
Se il tempo è brutto restiamo a casa a leggere i giornali.
Nei distretti industriali mi dissero
Delle leggi economiche.
Nelle campagne ridenti sembrava
Vi fosse solo posto per picnic.
E sembra che la Chiesa non sia desiderata
Nelle campagne, e nemmeno nei sobborghi; in città
Solo per importanti matrimoni.

(…)

Voi siete gli uomini che in questi tempi deridono
Tutto ciò che è stato fatto di buono, trovate spiegazioni
Per soddisfare la mente razionale e illuminata.
E poi, trascurate e disprezzate il deserto.
Il deserto non è così remoto nel tropico australe,
Il deserto non è solo voltato l’angolo,
Il deserto è passato nel treno della metropolitana
Presso di voi, il deserto è nel cuore di vostro fratello.
Il buono è colui che costruisce, se costruisce ciò che è buono.
Vi mostrerò le cose che ora si stanno facendo,
E alcune delle cose che molto tempo fa furono fatte,
Così che prendiate coraggio.
Rendete perfetta la vostra volontà.
Fate che io vi mostri l’opera degli umili.

(...) 

“Sotto la sabbia, non quella australe, ma quella delle nostre parti, quella del nichilismo nostrano, sono state sepolte le nostre esigenze. Il vento del deserto rischia di cancellare dall’esistenza i segni delle evidenze più  elementari. Esigenze ed evidenze, questo zoccolo duro dell’umano che don Giussani ha chiamato esperienza elementare, o più semplicemente “cuore”. “Un complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste”, aggiungendo che “esse possono essere riassunte con diverse espressioni come: esigenza di felicità, esigenza di verità, esigenza di giustizia. Sono comunque come una scintilla che mette in azione il motore umano; prima di esse non si dà alcun movimento, alcuna umana dinamica”.

È la percezione di questo cuore che rischiamo di perdere e con esso la vibrazione della libertà, l’esperienza dell’ amore all’altro, il senso cocente di cosa è vero e di cosa è falso, di cosa è umanamente giusto e di cosa non lo è, il gusto di mettersi insieme per far andare meglio il mondo. Se ancora percepiamo il baluginare di quella scintilla di cui parla don Giussani è perché il desiderio del cuore non molla, e comunque, a tratti, lacera il grigiore del nichilismo. Non possiamo sottrarci all’impeto che ci porta a stare attivamente dalla parte di questo baluginìo, educando e costruendo a partire da esso.”

EMILIA GUARNIERI

 

 

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