sabato 15 ottobre 2022

CENT’ANNI DI DON GIUSSANI

 LA FEDE COME ATTO DI RAGIONE, LA SUA EREDITA’

Il 15 ottobre avrebbe compiuto un secolo: ha rivoluzionato la vita di molti fedeli, soprattutto giovani, proponendo un’esistenza dove ogni istante valesse tutto.

Cento anni fa nasceva don Luigi Giussani. Un piccolo prete brianzolo e, in quanto tale, in apparenza fuori dal suo tempo di devoti a liturgie e templi laici, eppure tra gli spiriti che questo tempo vissero con più intensità e perciò compresero e interpretarono più a fondo. Del resto, fu lui, sacerdote, che in una lettera dell'ottobre 2004 a Papa Giovanni Paolo II nel 50° anniversario della nascita di Comunione e Liberazione, scrisse che “non ho mai inteso fondare niente”; e forse, proprio per questo, è stato, con suo stesso stupore,  uno dei grandi protagonisti della Chiesa e della cultura del secondo dopoguerra, anima di un movimento ecclesiale capace di cambiare la vita di migliaia di giovani prima e poi di lavoratori, professionisti, intellettuali e con essi di dialogare e incidere in profondità nella società italiana e dei circa settanta Paesi in cui è tuttora presente.

Quello di don Giussani, per i nostri tempi è stato un dolce terremoto iniziato da una scossa, una osservazione semplice eppure rivoluzionaria, ovvero, come Giussani scrisse nella stessa lettera a Wojtyla, generato dalla «urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti fondamentali del Cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali».

All'origine Cristo, quindi. Pare poco per un prete, eppure diventa tutto perché don Giussani non professò mai un Cristo chiuso nelle sacrestie delle chiese, ma una Presenza incontrabile tutti i giorni, nelle persone, negli avvenimenti, con cui farci i conti nella vita reale di ogni tempo. È tutta qui, in fondo, la sua rivoluzione, la sua capacità di essere figlio del suo tempo che, in qualche modo, ha le radici nella stessa origine di Giussani, figlio di una fervente cattolica e di un socialista, cioè dell'incanto del reale e dell'indomita esigenza di chiedere le ragioni di ogni cosa. “Datti ragione di tutto”, gli ripeteva sempre suo padre.

UN BEL GIORNO

Ed è proprio dalla ragione che anni dopo Giussani, brillante professore del seminario di Venegono, partirà lasciando una carriera teologica ed accademica per andare a insegnare in uno dei licei simbolo della borghesia illuminata e laica milanese, il Berchet.

Ciò che colpì Giussani, in quei primi anni Cinquanta, fu che i giovani formalmente ancora tutti cristiani, in realtà vivessero la fede solo come retaggio tradizionale, sentimentale e quindi astratto senza alcun fondamento con la ragione. Sta qui la sfida alla modernità del Gius, come l'hanno sempre chiamato i suoi: propone la fede come un atto di ragione, sperimentabile, verificabile.

Per lui era avvenuto così, a quindici anni, "un bel giorno", così lo definiva, in un incontro in cui l'annuncio cristiano si era mostrato quale unica efficace e convincente risposta alla nostalgia e allo struggimento che poi avrebbe ritrovato in tanti giovani ribelli o afflitti e che lui aveva vissuto attraverso la poesia di Leopardi tanto da sentire quel giovane di duecento anni prima che, con gli occhi al cielo, si chiedeva “Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?”, come un autentico amico con cui dialogare giorno e notte, fino a impararne a memoria l'intero canzoniere.

Questa è stata la fede per Giussani, una sequela di incontri, sempre più reali e convincenti, dai genitori, agli insegnanti del seminario, ai compagni di studio, fino ai giovani delle scuole e alle migliaia e migliaia di persone conosciute lungo i decenni e in giro per mezzo mondo dove la sua storia l'ha portato. Incontri con persone, non perfette, di carne perché  come affermava c’è «bisogno di uomini commossi, non di uomini riverenti». Occasioni, avvenimenti che rimandavano all'unico incontro decisivo, «non con un'idea ma con una Persona, con Gesù Cristo», come disse Francesco nel 2015 nel corso di una udienza con il movimento di Cl.

Questa è stata la proposta fatta a migliaia di giovani. Al cospetto di un'epoca di cuori tiepidi, in cui di eccesso in eccesso si è giunti a una normalità senza gusto e sale, dove tutto è lecito ma insapore, Giussani ha proposto un modello di vita dove ogni cosa, ogni istante, al cospetto dell'Eternità, valesse tutto. Gli avversari hanno spesso definito i ciellini "integralisti", ma in realtà ciò che il Gius ha proposto è un modello di esistenza “integra”, non perfetta, integra, possibilmente piena in ogni sua parte. Ogni battaglia, politica o sociale, così come ogni aspetto della vita, dall'amore alla ricerca del lavoro, dal metter su famiglia alla salute, dalla scuola allo sport è per Giussani un'occasione per confrontarsi con il proprio Destino, la fonte e la ragione stessa della vita. E perciò diventa testimonianza, opere, fatti, non bei sentimenti. Tutto ciò, a guardar bene, che della Chiesa, in ogni epoca, ha suscitato scandalo.

LE ETERNE DOMANDE

Una visione della vita totale, che sappia rendere ragione di ogni suo aspetto. Questa, aldilà delle battaglie vinte e perse, delle opere, della grande lezione teologica, delle decine di libri, è la grande eredità che oggi resta di don Giussani.

Un'eredità che si vede risplendere soprattutto tra le mani e negli occhi di chi Giussani non l'ha nemmeno conosciuto e tuttavia si riconosce nella storia che lui ha iniziato. In anni in cui Francesco si interroga su come rendere la proposta cristiana ancora credibile agli occhi dei giovani e nei quali lo stesso Papa chiede ai movimenti, anche a Cl, di rinnovarsi; in un'epoca senza memoria né punti di riferimento, la lezione di don Giussani continua ad attirare migliaia di giovani interrogati dalle eterne domande che dalla notte dei tempi tengono ogni uomo desto al cospetto del proprio destino.

Questa forse è la maggiore eredità che dà la misura della testimonianza del sacerdote brianzolo, oltre che la sfida alla quale il suo movimento è chiamato a rispondere. A proposito di destini, non deve essere solo uno scherzo del fato che nei giorni in cui cade il centenario della nascita di don Giussani ricorra anche il primo anniversario della morte di Luigi Amicone (avvenuta il 19 ottobre 2021), uno degli allievi più genuini e amati dal Gius proprio perché uomo non perfetto, di carne, non riverente, commosso. Una commozione che il fondatore di Tempi aveva imparato dal suo maestro e di cui si era fatto testimone senza pallidi paludamenti e timori di sbagliare, consapevole che la bellezza ricevuta deve illuminare ogni istante. Questa era l'eredità, il tesoro da reinvestire.

Non certo da seppellire sotto la morta terra di una memoria devota

MAURIZIO ZOTTARELLI  Giornalista e scrittore

Tratto da LIBERO

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